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CAV - Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese ODV

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Lettera d’amore e fatica a una figlia adolescente
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Raffaella Pollini
Per la festa della mamma il regalo più bello, credetemi, sarebbe il kit di sopravvivenza per mamma di adolescente. Non c'è crema antirughe, anello con brillante, ciondolo con il nome o scatola di cioccolatini che tenga al pari di questo magico scrigno che potrebbe contenere la soluzione di tanti problemi del quotidiano nel rapporto madre (cinquantenne) e figlia (quattordicenne).
Sì, perché quando diventi mamma, almeno a me è successo così, hai un kit per ogni esigenza. La mia prima figlia è nata prematura, per una complicazione sopraggiunta nella mia gravidanza. Era grande quanto una mano e già nella sua cullina termica scalciava e si muoveva con l'impazienza di chi avrebbe pensato di conquistare il mondo. Intorno a me e a mio marito si sono stretti mille specialisti per aiutarci ad affrontare l’arrivo così anticipato di quella bambina. Il ginecologo mi ha assistito a superare il problema clinico che aveva indotto alla scelta di un parto d’urgenza con taglio cesareo, il primario di neonatologia si è preso cura della piccola per attivare il protocollo e cercare di portare la bambina ai livelli di peso e di autonomia necessaria per lasciare il reparto prematuri, mentre le infermiere ci hanno insegnato a cambiare il pannolino e a scaldare il latte nel biberon (attività che devo dire non richiedono un grande quoziente intellettivo, basta un po' di spirito materno e paterno, anche di quelli poco spiccati). Nel frattempo la bimba è cresciuta ed è arrivato il tempo dello svezzamento; allora è intervenuta la pediatra che ha stilato una specifica tabella per l'inserimento degli alimenti nel piano nutrizionale del frugoletto. Anche in questo caso diciamo che ce la si può fare tranquillamente, prove superabili con tranquillità.
Poi c'è stato il passaggio alla scuola materna con quello che si chiama inserimento, ovvero stai con il bambino per qualche ora alla scuola materna, nel mio caso ci sono stata la prima ora del primo giorno poi mia figlia ha dato segni di essere assolutamente inserita e via. Intanto cresce autonomamente, va a scuola, alle elementari e c'è la maestra che ci aiuta e ci spiega come affrontare i primi studi, i primi compiti, le prime sconfitte, e così passa alle medie. Cresce, anche se tu sei sempre in viaggio e lavori dodici ore al giorno. Anche se non c’eri al suo primo dente, alla sua prima parola, alla sua prima recita, cresce anche bene, serena, almeno sembra, educata almeno spero, e sufficientemente responsabile, almeno così vorrei.
Ma ora siamo al punto cruciale, ovvero nel cuore dell'adolescenza. E succede che se le suggerisci di mettersi una felpa essendoci una temperatura esterna di tre gradi oppure le chiedi, quasi implorante, di mettersi l’apparecchio dei denti prima di andare a dormire visto che ti è costato quanto un viaggio in Australia, oppure insisti perché faccia la sua lezione di atletica per evitare la quale adduce ogni settimana le più disparate scuse nell'arco, lei (la figlia adolescente) ti incenerisce con lo sguardo e ti dice con voce cupa e sommessa nell'ordine «ti odio», «nessuno mi capisce», «è sempre colpa mia»… Ma può capitare che poco dopo si presenti ad abbracciarti chiedendo coccole e baci che aveva rifiutato a tre anni. Sbalzi di umore e cocciutaggine, senso di ribellione e impulsivi scatti di ira alternati a richieste di affetto, abbracci e sdolcinate (ma molto gratificanti per la mamma incredula) richieste «ma mi vuoi bene? Ma quanto mi vuoi bene?».
Ora che ogni giorno combatto una battaglia senza regole, che cerco di sedare guerre nucleari tra lei e il resto del mondo, almeno quello domestico, che cammino con passo felpato e misuro le parole come in una trattativa della Nato… Ora che ho cinquant'anni e apparentemente non mi sento vecchia ma certe sue affermazioni mi fanno sentire nonna, quando già devo metabolizzare la trasformazione fisiologica del mezzo secolo… Ora mi guardo in giro e intorno a me non trovo nessuno specialista e nessun manuale che mi dia le giuste istruzioni su come maneggiare lo spirito in crescita! Quel manuale che sarebbe il più bel regalo per la festa della mamma, nel quale trovare indicazioni su quale tono usare per dirle, cercando di mantenere la calma:«Puoi vuotare lo zaino di ginnastica invece di collezionare calzini sporchi per tutto il quadrimestre?». Intendiamoci, i problemi veri sono altri nell'affrontare questa difficile età. Sono il dialogo, quello che tu cerchi e lei evita, salvo poi chiedertelo nel momento in cui tu magari non puoi darle ascolto ma devi farlo perché non puoi farti sfuggire l'attimo, quel secondo di fiducia per cui si sta aprendo un varco in quella mente sovraffollata di pensieri confusi che si stanno componendo.
Oggi adolescenza è spesso sinonimo di difficoltà, a volte quasi di disagio, e noi genitori dobbiamo cercare di comprenderne i significati più nascosti, (impresa più difficile che non pilotare una navicella spaziale). La troppa voglia di scoprire subito quello che si potrebbe scoprire con calma, la paura e in alcuni casi il terrore degli sguardi e dei giudizi degli altri, le relazioni sempre complesse, la vergogna e al tempo stesso la sfacciataggine, le relazioni super condivise con i social e al tempo stesso il mutismo e la voglia di isolarsi. Contraddizioni e complicazioni di cose semplici; ma per loro adolescenti della generazione Z montagne insormontabili. Senza voler drammatizzare, questa adolescenza va superata e in alcuni casi forse anche un po' alleggerita di eccessi. Basta sapere come.
14 maggio 2017 - www.corriere.it
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Nel Santuario mariano, nella Solennità della Beata Vergine di Fatima, il Papa canonizza i due pastorelli, Giacinta e Francesco Marto, sulle cui tombe si era prima raccolto in preghiera. -
Il Papa dopo aver recitato il Regina Coeli con i fedeli ha sventolato, come tutti i presenti, dall'altare un fazzoletto bianco: si tratta del tradizionale omaggio per salutare la Vergine di Fatima che si avvia in processione verso la Cappellina delle Apparizioni. Anche il Pontefice si congeda dalla Cova da Iria per far ritorno nella Casa “Nossa Senhora do Carmo” per il pranzo con i vescovi del Portogallo.
Alle 16 (ora italiana), l’aereo dell’Alitalia parte dal Portogallo alla volta di Roma. L’atterraggio a Ciampino è previsto per le 19.20 (ora italiana). Durante il volo, il Papa concede la consueta intervista ai giornalisti che lo hanno accompagnato in questo suo 19° viaggio internazionale.

Dopo la Messa il grazie del Papa ai malati

Prima della Benedizione, il Papa ha voluto rivolgere alcune parole particolari agli ammalati: «Cari malati, vivete la vostra vita come un dono e dite alla Madonna, come i Pastorelli, che vi volete offrire a Dio con tutto il cuore. Non ritenetevi soltanto destinatari di solidarietà caritativa, ma sentitevi partecipi a pieno titolo della vita e della missione della Chiesa. La vostra presenza silenziosa ma più eloquente di molte parole, la vostra preghiera, l’offerta quotidiana delle vostre sofferenze in unione con quelle di Gesù crocifisso per la salvezza del mondo, l’accettazione paziente e persino gioiosa della vostra condizione sono una risorsa spirituale, un patrimonio per ogni comunità cristiana. Non vi vergognate di essere un prezioso tesoro della Chiesa».

Il Papa ha salutato il bambino brasiliano miracolato

Durante la Messa sono stati il piccolo Lucas Maeda de Oliveira, con i genitori e la sorellina a portare al Papa i doni dell'Offertorio.
Provengono dalla diocesi brasiliana di Campo Mourao, nello Stato di Paraná.
FRANCESCO E GIACINTA SANTI: ECCO CHI È IL BAMBINO MIRACOLATO SALUTATO DAL PAPA

L'omelia di Francesco: Fatima è un manto di luce e speranza che ci avvolge

“Ci siamo radunati qui per ringraziare delle innumerevoli benedizioni che il Cielo ha concesso lungo questi cento anni, passati sotto quel manto di Luce che la Madonna”. Il Papa si rivolge alle decine di migliaia di pellegrini durante l’omelia della Messa che celebra sul sagrato del Santuario mariano della città portoghese. Qui, proprio cento anni fa, “quel manto di luce” ha avvolto i tre pastorelli, perché - dice papa Francesco - “Fatima è soprattutto questo manto di Luce che ci copre, qui come in qualsiasi altro luogo della Terra quando ci rifugiamo sotto la protezione della Vergine”.
Una Madre a cui possiamo “aggrapparci” perché così “viviamo della speranza che poggia su Gesù”. Una speranza di cui “il Portogallo è ricco, ma che ha esteso sopra i quattro angoli della Terra”. E “come esempi abbiamo davanti agli occhi san Francesco Marta e santa Giacinta Marto, che la Vergine Maria ha introdotto nel mare immenso della Luce di Dio portandoli ad adorarlo. Da ciò veniva loro la forza per superare le contrarietà e le sofferenze” che dopo quelle apparizioni non sono mancate ai due fratellini Marto, così come la loro cugina Lucia dos Santos, che diventerà suora e vivrà fino al 2005, restando custode del messaggio – diviso in tre parti - loro affidato dalla Vergine. E all’inizio della Messa il Papa ha presieduto il rito di canonizzazione dei due fratellini, che proprio il 13 maggio 2000 l’allora pontefice Giovanni Paolo II aveva beatificato sullo stesso sagrato. E questa mattina, a cento anni dalla prima apparizione della Vergine, il Papa li ha iscritti nell'elenco dei santi. “La presenza divina divenne costante nella loro vita – ha sottolineato Francesco nell'omelia -, come chiaramente si manifesta nell'insistente preghiera per i peccatori e nel desiderio permanente di restare presso “Gesù Nascosto” nel Tabernacolo”.

“Grazie, fratelli e sorelle, di avermi accompagnato - ha continuato papa Francesco rivolgendosi ai fedeli presenti sul sagrato -. Non potevo non venire qui per venerare la Vergine Madre e affidarLe i suoi figli e figlie. Sotto il suo manto non si perdono; dalle sue braccia verrà la speranza e la pace di cui hanno bisogno e che io supplico per tutti i miei fratelli nel Battesimo e in umanità, in particolare per i malati e i disabili, i detenuti e i disoccupati, i poveri e gli abbandonati. Carissimi fratelli, preghiamo Dio con la speranza che ci ascoltino gli uomini; e rivolgiamoci agli uomini con la certezza che ci soccorre Dio”.
E tornando al tema della speranza, nella conclusione dell’omelia, papa Bergoglio ha detto con forza: “Non vogliamo essere una speranza abortita. La vita può sopravvivere solo grazie alla generosità di un’altra vita”, citando la frase di Gesù i cui si parla del chicco di grano che muore per dare frutto.
“Sotto la protezione di Maria, siamo nel mondo sentinelle del mattino che sanno contemplare il vero volto di Gesù Salvatore, quello che brilla a Pasqua, e riscoprire il volto giovane e bello della Chiesa, che risplende quando è missionaria, accogliente, libera, fedele, povera di mezzi e ricca di amore”.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 13 maggio 2017

 
 

Il cardinale Bagnasco, arcivescovo di Genova: il Papa ci confermerà nella fede. Una fede robusta, generosa e piena di gioia. Previsti anche gli incontri all'ospedale Gaslini e all'Ilva di Cornigliano.-
Papa Francesco troverà a Genova "una chiesa discreta, riservata, secondo il carattere dei genovesi". Una chiesa "umile, ma molto laboriosa, che cammina e cresce nella via della comunione: del clero, tra le comunità cristiane e della chiesa con la città". Ad affermarlo il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei e dei vescovi europei, parlando della visita che papa Francesco farà al capoluogo ligure sabato 27 maggio.
Nel corso di una conferenza stampa che si è svolta alla Curia di Genova, il porporato ha spiegato che, come diocesi e come città "ci aspettiamo che, papa Francesco, come successore di Pietro, ci possa confermare nella fede. Una fede forte, robusta, generosa, piena di gioia che ci conduca ad una vita cristiana di carità, di testimonianza, di benevolenza". Inoltre, ricordando che il papa vedrà lo stesso porto dal quale sono partiti, come migranti, i suoi antenati, il cardinale Bagnasco ha poi affermato: "Credo che per lui la visita a Genova abbia una valenza tutta particolare. Quando atterrerà, e vedrà il nostro porto e la nostra splendida città, una emozione la sentirà".

I numeri della visita a Genova di papa Francesco il 27 maggio

Sono già di 60mila i fedeli prenotati per l'occasione. La maggior parte di loro sarà presente alla Messa conclusiva che si terrà in piazzale Kennedy, presso la Fiera del Mare dove si già iscritte 57mila persone e il numero è in continuo aumento. Tra queste, 30.500 provengono della diocesi di Genova e 5.170 provenienti da altre diocesi della Liguria. Conteggiati a parte malati, giovani, seminaristi, sacerdoti, vescovi, confraternite, bambini della prima comunione, cresimati, volontari e musicisti.

Il programma della visita di papa Francesco a Genova il 27 maggio

Il primo appuntamento di papa Francesco sarà alle 8:30, presso lo stabilimento Ilva di Cornigliano, dove lo attenderà una rappresentanza di 3500 lavoratori di varie aziende e industrie locali. Alle 10, papa Francesco si sposterà nella Cattedrale per l'incontro con i vescovi, il clero, i consacrati, le consacrate e i seminaristi. In San Lorenzo saranno presenti 1.900 partecipanti. Al termine dell'incontro con i presuli, papa Francesco si recherà presso il Santuario di Nostra Signora della Guardia dove incontrerà una rappresentanza di 2.700 giovani provenienti da tutta la Liguria. Al termine, sempre al santuario, papa Francesco pranzerà con 135 persone tra poveri, rifugiati, senza dimora e detenuti e relativi accompagnatori.
Per il pranzo verranno serviti trofie al pesto, arrosto di vitello con patate, cima e crostata. Non sono previsti vino o bevande alcoliche. Il pranzo sarà preparato dal ristorante 'San Giorgio' situato nei pressi del santuario, mentre il pesto sarà preparato dal ristorante Zeffirino di Genova. Nel pomeriggio, all'ospedale Giannina Gaslini, il Papa incontrerà 600 persone tra bambini ricoverati, genitori e personale dipendente. La giornata "genovese" di papa Francesco terminerà alle 19:30 quando partirà di nuovo per Roma dall'aeroporto Cristoforo Colombo.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 13 maggio 2017
 
 

di Maurizio Patriciello
Quanto vale la vita di un bambino? Quanto siamo disposti a spendere? Qualcuno li ha invitati in chiesa e loro sono venuti. Docili, umili, silenziosi, affranti dal dolore per la decisione presa. Non vorrebbero farlo, non lo farebbero. Volentieri ritornerebbero sui propri passi, aspettando il giorno del parto. Ma hanno paura. Una paura che li blocca, li congela, li paralizza. Alfio e Antonella questo figlio non programmato non se lo possono permettere. Non hanno più una casa, non hanno più un lavoro. E le prospettive per il futuro sono avvolte nella nebbia fitta. Chiedono un lavoro. Abbiamo messo a disposizione quel poco che abbiamo. Siamo disposti a rimanergli accanto fino a quando non potranno essere autosufficienti.
Il nostro aiuto alle loro orecchie suona come un’elemosina che la loro dignità impedisce di accettare. A chi ha sempre lavorato non viene facile tendere la mano. Se solo avessi un piccolo lavoro da offrire. L’appuntamento con la morte è fissato per i primi giorni della settimana prossima. Abbiamo ancora qualche giorno per impedire questo aborto non voluto.
L’aborto dei poveri. È lacerante per una coppia che ama la vita, che crede al diritto di quel bambino a nascere, che volentieri lo accoglierebbe, dover ricorrere all’aborto perché disoccupata. E pensare che in giro c’è gente che vorrebbe allargare ancora di più le maglie della legge 194. Una legge che fin dal primo articolo dice che «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio». Una legge, dunque, non applicata, disattesa. Uno Stato che «riconosce il valore sociale della maternità» in che modo si fa accanto a chi chiede aiuto per portare a termine una gravidanza? Sembra che altro non sappia fare che dire al bambino di togliere il disturbo. Ma le cause? Quelle sembra proprio che non interessino a nessuno, se non ai volontari, alle parrocchie che si fanno prossimo di questi genitori smarriti e scoraggiati. E pensare che nella nostra bella Italia nascono sempre meno figli. Un problema che porterà conseguenze drammatiche negli anni che verranno. Purtroppo, il nostro egoismo non ci fa aguzzare la vita, si accontenta di tenere lo sguardo basso. Questo modo di pensare e di agire è contro la fede cristiana, contro la solidarietà tra i popoli e le generazioni, contro la verità. Un giorno Gesù disse: «La Verità vi farà liberi». È vero. Tutte le verità ci fanno più liberi, più coscienti, più capaci di organizzare la speranza. E la verità oggi è che una politica più attenta, intelligente, accorta verso la vita nascente, le donne incinte, le famiglie povere porterebbe a popolare il futuro dei nostri eredi.
Alfio e Antonella sono andati via con le lacrime agli occhi e la morte nel cuore. Il bambino nel grembo della mamma non sa quel che sta per accedere. Felice respira il suo respiro, si alimenta di ciò che lei mangia. Nel giorno in cui due bambini portoghesi vengono elevati agli onori degli altari, vogliamo chiedere a loro di intercedere presso Dio perché questo bambino ancora senza nome possa vedere il sole. Ai fratelli e le sorelle che hanno la possibilità di assicurare un piccolo lavoro a questa famiglia chiediamo la carità di allargare il cuore. «Chi salva una vita salva il mondo intero». Noi ci crediamo. Un solo atto di carità vale più di mille discorsi, mille convegni sulla carità. Facciamolo. Se ne abbiamo la possibilità, facciamolo. Non giriamo la faccia dall’altra parte. Non diciamo: «Non mi riguarda». Tutto ci riguarda. L’uomo ci riguarda. Questo bambino in bilico tra la vita e la morte ci riguarda. Mettiamo in condizioni questi genitori di accogliere il loro bambino. Ne hanno il diritto. Se Gesù non dimentica un solo bicchiere di acqua che abbiamo dato a un fratello assetato, quanto più ricorderà che anche grazie a te una vita da lui amata venne alla luce. E da quella vita altre vite nacquero...
Se sulla vita nascente taceremo noi, figli del vangelo, saranno costretti a gridare i sassi delle strade. Chi ha un lavoro da offrire si faccia avanti e sarà inondato di gioia vera, quella che riempie il cuore. Unica, preziosa, irripetibile è questa vita nascente per estirparla dal grembo della mamma solo perché non potrà comprargli il latte. Gridiamolo insieme che il presunto 'diritto all’aborto' moltissime volte altro non è che una comodissima scappatoia verso cui vengono costretti a ricorrere tante famiglie alle quali per i loro bambini non viene assicurato il vero, immenso, nobilissimo diritto alla vita.
Nella speranza che Alfio e Antonella trovino presto un lavoro, si può aiutare questa giovane coppia a non rinunciare al proprio figlio anche con un piccolo contributo sul ccp 15596208 intestato ad Avvenire, 'La voce di chi non ha voce', P.zza Carbonari 3, Milano. Gli assegni devono essere intestati ad Avvenire, 'La voce di chi non ha voce'. Si può anche effettuare un bonifico a favore di Avvenire, 'La voce di chi non ha voce', conto n. 12201 Banca Popolare di Milano, ag. 26, cod. IBAN IT65P0558401626000000012201.
da www.avvenire.it
@ Riproduzione Riservata del 13 maggio 2017

Il ministro della Salute Lorenzin annuncia la svolta per le scuole dell'obbligo. Il testo, già inviato a Gentiloni, sarà presentato domani in Consiglio dei ministri: «È tempo di metterci in sicurezza».-
"Ho pronto un testo di legge che prevede l'obbligatorietà delle vaccinazioni per l'accesso alla scuola dell'obbligo, con un ampliamento delle vaccinazioni obbligatorie indicate dal nostro ministero. L'ho mandato oggi al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e lo porterò domani in Consiglio dei ministri. Ovviamente non potrà essere approvato domani, perché necessiterà di approfondimenti e di una discussione anche da parte del ministero dell'Istruzione, per valutare se i tempi sono veramente maturi per fare una legge che ci riporti in sicurezza". L'annuncio del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, è dirompente.
In un'intervista rilasciata alla trasmissione tv "Night Tabloid", che andrà in onda questa sera su Raidue, il ministro ha detto di aver "immaginato questo decreto che pone l'obbligatorietà per l'accesso alla scuola dell'obbligo con il ministero della Salute che ogni anno dà la lista di quelle che sono le vaccinazioni obbligatorie, superando anche la dicotomia tra vaccinazioni obbligatorie e raccomandate. Tutte le vaccinazioni che sono nel piano vaccinale approvato nei Livelli essenziali di assistenza sono necessarie per la salute delle persone, poi ce ne saranno un gruppo che saranno obbligatorie per l'accesso alla scuola dell'obbligo".
La norma, ha proseguito Lorenzin, «può avere degli aspetti di complessità, per questo l'ho mandata alla presidenza del Consiglio. Spero che ci sia un approfondimento con il ministero dell'Istruzione, che ha il timore che venga leso il diritto all'accesso alla scuola. Ci saranno aspetti che andranno verificati, ma credo che i tempi siano maturi per un dibattito su un livello più alto rispetto a quello che abbiamo avuto fino a oggi". Ha aggiunto ancora il ministro Lorenzin: "Finalmente si è compresa nella popolazione l'importanza della vaccinazione e che stare sotto la soglia vaccinale è un vero e proprio pericolo. L'epidemia in atto di morbillo, che oggi ci porta più di 2.220 casi, la dice lunga sulle complicanze che ci possono essere, ma pensiamo alle varie malattie che possono arrivare, anche più gravi. Molte Regioni si sono dotate di strumenti normativi che hanno intrapreso questa strada, dalla scuola dell'infanzia, come l'Emilia Romagna, il Lazio e la Lombardia o fino alla materna come ha fatto la Toscana. Siamo pronti per un dibattito più ampio per riportare un'obbligatorietà".
A chi le ha chiesto se le vaccinazioni saranno obbligatorie già da settembre, Lorenzin ha risposto: "È una valutazione che dobbiamo fare con il Miur. Io so che questa mia proposta non sarà semplice, perché purtroppo c'e ancora una larga parte del popolazione - ha risposto e concluso il ministro- che ritiene di non voler vaccinare i propri figli".

L'obbligo già legge in Toscana, Emilia e Friuli. Pronte anche Lombardia, Piemonte, Lazio e Puglia

L'obbligo delle vaccinazioni per i bambini che si iscrivono al nido o alla scuola materna, previsto nel decreto annunciato oggi dal ministro Beatrice Lorenzin, è già legge in Toscana e in Emilia Romagna. Un provvedimento analogo è stato approvato anche dal comune di Trieste e, in generale, dal Friuli Venezia Giulia e proprio oggi dal comune di Olbia. Presto si unirà anche la Lombardia: entro giugno saranno approvate le nuove regole per gli asili nido, che prevederanno anche l'obbligo per le strutture di richiedere i certificati vaccinali dei bimbi. In Piemonte si inizia proprio oggi la discussione della legge per l'obbligo vaccinale all'asilo, con i consiglieri regionali che vengono sommersi da mail di genitori "no-vax" che chiedono di bloccare la norma. E poi ci sono Lazio (l'iter della legge è partito già a gennaio) e Puglia che stanno pensando di seguire l'esempio.

Un ritorno al passato

L'obbligo di vaccinazione per l'iscrizione a scuola non è del tutto una novità per il nostro paese. Era stato già stabilito nel lontano 1967, per essere in vigore oltre 30 anni e infine decadere nel 1999. E così oggi, nella maggior parte delle regioni italiane, si può frequentare la scuola anche senza le vaccinazioni obbligatorie, cioè quelle antidifterica, antitetanica, antipoliomelitica e antiepatite virale B.

Il crollo delle vaccinazioni

Secondo gli ultimi dati del ministero della Salute la copertura media per le vaccinazioni contro poliomielite, tetano, difterite, epatite B, pertosse ed Haemophilus influenzae è stata del 93,4 per cento, in calo rispetto agli anni precedenti (94,7 per cento nel 2014, 95,7 per cento nel 2013 e 96,1 per cento nel 2012). Solo 6 Regioni hanno superato la soglia del 95 per cento per la vaccinazione anti-polio, mentre 11 sono addirittura sotto il 94 per cento. I dati di copertura vaccinale per morbillo e rosolia sono passati dal 90,4 per cento nel 2013 all'85,3 per cento nel 2015.
Un trend confermato anche dalle coperture vaccinali nazionali a 36 mesi (relative ai bambini nati nell'anno 2012), che permettono di monitorare la quota di quei bambini, inadempienti alla rilevazione vaccinale dell'anno precedente, che sono stati recuperati. Le coperture a 36 mesi mostrano infatti valori più alti rispetto a quelle rilevate per la medesima coorte di nascita a 24 mesi l'anno precedente e le vaccinazioni obbligatorie a 36 mesi raggiungono il 95 per cento.
Nel periodo 2014-15, le coperture vaccinali contro meningococco C e pneumococco registrano lievi incrementi, rispettivamente del 3,6 per cento e del 1,5 per cento, con un'ampia variabilità territoriale. Per malattie non presenti in Italia ma potenzialmente introducibili, come la polio e la difterite, i dati del 2015 mostrano un calo che, seppure più contenuto rispetto agli anni precedenti, non si arresta. Questo dato è particolarmente importante perché l'accumulo di suscettibili (persone non vaccinate) aumenta il rischio di casi sporadici sul nostro territorio, in presenza di malati o portatori provenienti da altri luoghi.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 11 maggio 2017

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nel nostro itinerario di catechesi sulla speranza cristiana, oggi guardiamo a Maria, Madre della speranza. Maria ha attraversato più di una notte nel suo cammino di madre. Fin dal primo apparire nella storia dei vangeli, la sua figura si staglia come se fosse il personaggio di un dramma. Non era semplice rispondere con un “sì” all’invito dell’angelo: eppure lei, donna ancora nel fiore della giovinezza, risponde con coraggio, nonostante nulla sapesse del destino che l’attendeva. Maria in quell’istante ci appare come una delle tante madri del nostro mondo, coraggiose fino all’estremo quando si tratta di accogliere nel proprio grembo la storia di un nuovo uomo che nasce.
Quel “sì” è il primo passo di una lunga lista di obbedienze – lunga lista di obbedienze! – che accompagneranno il suo itinerario di madre. Così Maria appare nei vangeli come una donna silenziosa, che spesso non comprende tutto quello che le accade intorno, ma che medita ogni parola e ogni avvenimento nel suo cuore.
In questa disposizione c’è un ritaglio bellissimo della psicologia di Maria: non è una donna che si deprime davanti alle incertezze della vita, specialmente quando nulla sembra andare per il verso giusto. Non è nemmeno una donna che protesta con violenza, che inveisce contro il destino della vita che ci rivela spesso un volto ostile. È invece una donna che ascolta: non dimenticatevi che c’è sempre un grande rapporto tra la speranza e l’ascolto, e Maria è una donna che ascolta. Maria accoglie l’esistenza così come essa si consegna a noi, con i suoi giorni felici, ma anche con le sue tragedie che mai vorremmo avere incrociato. Fino alla notte suprema di Maria, quando il suo Figlio è inchiodato al legno della croce.
Fino a quel giorno, Maria era quasi sparita dalla trama dei vangeli: gli scrittori sacri lasciano intendere questo lento eclissarsi della sua presenza, il suo rimanere muta davanti al mistero di un Figlio che obbedisce al Padre. Però Maria riappare proprio nel momento cruciale: quando buona parte degli amici si sono dileguati a motivo della paura. Le madri non tradiscono, e in quell’istante, ai piedi della croce, nessuno di noi può dire quale sia stata la passione più crudele: se quella di un uomo innocente che muore sul patibolo della croce, o l’agonia di una madre che accompagna gli ultimi istanti della vita di suo figlio. I vangeli sono laconici, ed estremamente discreti. Registrano con un semplice verbo la presenza della Madre: lei “stava” (Gv 19,25), Lei stava. Nulla dicono della sua reazione: se piangesse, se non piangesse … nulla; nemmeno una pennellata per descrivere il suo dolore: su questi dettagli si sarebbe poi avventata l’immaginazione di poeti e di pittori regalandoci immagini che sono entrate nella storia dell’arte e della letteratura. Ma i vangeli soltanto dicono: lei “stava”. Stava lì, nel più brutto momento, nel momento più crudele, e soffriva con il figlio. “Stava”.
Maria “stava”, semplicemente era lì. Eccola nuovamente, la giovane donna di Nazareth, ormai ingrigita nei capelli per il passare degli anni, ancora alle prese con un Dio che deve essere solo abbracciato, e con una vita che è giunta alla soglia del buio più fitto. Maria “stava” nel buio più fitto, ma “stava”. Non se ne è andata. Maria è lì, fedelmente presente, ogni volta che c’è da tenere una candela accesa in un luogo di foschia e di nebbie. Nemmeno lei conosce il destino di risurrezione che suo Figlio stava in quell’istante aprendo per tutti noi uomini: è lì per fedeltà al piano di Dio di cui si è proclamata serva nel primo giorno della sua vocazione, ma anche a causa del suo istinto di madre che semplicemente soffre, ogni volta che c’è un figlio che attraversa una passione. Le sofferenze delle madri: tutti noi abbiamo conosciuto donne forti, che hanno affrontato tante sofferenze dei figli!
La ritroveremo nel primo giorno della Chiesa, lei, madre di speranza, in mezzo a quella comunità di discepoli così fragili: uno aveva rinnegato, molti erano fuggiti, tutti avevano avuto paura (cfr At 1,14). Ma lei semplicemente stava lì, nel più normale dei modi, come se fosse una cosa del tutto naturale: nella prima Chiesa avvolta dalla luce della Risurrezione, ma anche dai tremori dei primi passi che doveva compiere nel mondo.
Per questo tutti noi la amiamo come Madre. Non siamo orfani: abbiamo una Madre in cielo, che è la Santa Madre di Dio. Perché ci insegna la virtù dell’attesa, anche quando tutto appare privo di senso: lei sempre fiduciosa nel mistero di Dio, anche quando Lui sembra eclissarsi per colpa del male del mondo. Nei momenti di difficoltà, Maria, la Madre che Gesù ha regalato a tutti noi, possa sempre sostenere i nostri passi, possa sempre dire al nostro cuore: “Alzati! Guarda avanti, guarda l’orizzonte”, perché Lei è Madre di speranza. Grazie.
da www.LaNu0vaBussolaQuotidiana.it
@Riproduzione Riservata del 10 maggio 2017

Nel Convegno nazionale Cei per la scuola e l'insegnamento della religione cattolica la conferma di un lavoro da compiere insieme. La lezione del docente scrittore Alessandro D'Avenia.-
Sei «parole» e tre «atteggiamenti» per un programma di lavoro sul fronte della scuola e dell’insegnamento della religione cattolica. È quanto si sono portati a casa, dopo tre giorni di lavoro, i partecipanti al Convegno nazionale promosso dall’Ufficio per l’educazione, scuola e università e dal Servizio nazionale per l’Irc della Cei conclusosi oggi, 10 maggio, a Milano. A trarre le conclusioni, dopo una tavola rotonda con esperti che vivono ogni giornoi l’avventura di fare educazione in diversi campi e alcune comunicazioni del Servizio per la pastorale giovanile della Cei sul cammino verso il prossimo Sinodo dei vescovi sui giovani, sono stati i due responsabili nazionali degli Uffici, Ernesto Diaco per la scuola e don Daniele Saottini per l’Irc. Un Convegno che ha avuto come punto di riferimento la figura di don Lorenzo Milani, il prete di Barbiana, che papa Francesco ha recentemente definito in un video messaggio al Salone del libro di Milano, un «educatore appassionato» e sulla cui tomba il prossimo 20 giugno si recherà a pregare, dopo l'analogo omaggio ad un'altra figura di sacerdote esemplare come don Primo Mazzolari, il parroco di Bozzolo. E così l'intero Convegno ha avuto come titolo una frase di don Milani: "Faccio scuola perché voglio bene a questi ragazzi".

Diaco: le «sei parole»

Le «sei parole» sono state indicate proprio da Diaco. «Parole che mi sembra siano la sintesi di quanto vissuto in tutti i momenti del nostro incontro. E partire dalla parola "cultura", perché questo signiifica per la Chiesa fare scuola. Creare cultura affinché le giovani generazioni possano costruire il loro futuro». Vi è poi «la formazione», intesa come «la capacità dei docenti di avere uno sguardo sui propri studenti partecipe e attento, come ci ha suggerito nel suo intervento Alessandro D’Avenia». La terza parola è «comunicazione», che «deve avvenire tra noi, in primo luogo, e poi con il mondo esterno affinché si comprenda l’agire della Chiesa nel campo educativo». E non si può educare se non passando «attraverso la "bellezza"», ma anche - quinta parola - «ricercando "la giustizia", che è il bene comune, anche nell’assumersi responsabilità in fase organizzativa della scuola stessa». Infine, ma non per importanza, la parola "comunione», che «potremmo chiamare anche sinodalità, camminare insieme, dando vita a una alleanza pastorale tra i settori per lavorare insieme».

Don Saottini: e «tre atteggiamenti»

Sei parole, a cui, don Daniele Saottini, ha voluto aggiungere «tre atteggiamenti che dovrebbero caratterizzarci dopo questo incontro». Li ha tratti dalla preghiera sulle parole del beato Paolo VI. Il primo «è essere "pronti a partire". Lo faremo anche fisicamente al termine dei lavori – ha commentato don Saottini – ma siamo chiamati rientrare nelle nostre realtà per portarvi quanto maturato nel Convegno». Poi la richiesta allo Spirito Santo perché «la nostra testimonianza sia "chiara, buona ed efficace"». Infine la richiesta che «il "Signore sia con noi". Non nel senso di ciascuno di noi, ma proprio di tutti insieme per sentirci davvero un’unica comunità».

La relazione di Alessandro D'Avenia

Nella prima giornata del Convegno nazionale, lunedì scorso, la relazione di apertura era stata affidata al docente scrittore Alessandro D'Avenia. Oltre un'ora di intervento che ha raccontato la propria esperienza di docente di scuola superiore, che ha trovato anche nei suoi libri una presenza di non poco conto. A colpire molto la platea dei presenti l'invito a porre tantissima attenzione al momento dell'appello in classe. «Una mia studentesssa - ha raccontato - mi ha domandato perchè perdessimo così tanto tempo a fare l'appello. Le ho risposto che quel momento era addirittura più importante della lezione stessa». Non una provocazione, ha spiegato D'Avenia, ma una verità: «Non immaginate quanto uno adolescente resti colpito dal fatto che il proprio insegnante facendo l'appello lo guardi diritto negli occhi e dimostri di accorgersi di lui». Ecco allora emergere con prepotenza il tema della relazione tra docente e studente, dell'essere testimone credibile, anche nelle prpoprie debolezze, verso i propri ragazzi in classe. «Oggi i ragazzi cercano un senso nella loro vita, immersi come sono in un eterno presente, che anche i vari social alimentano», ha commentato ancora il docente scrittore. E non si tratta di adempiere a una missione, ha aggiunto, ma di mettere in campo una professionalità di educatore e di insegnante. «Il nostro compito prioritario non è quello di raggiungere obiettivi e traguardi, bensì quello di porsi in relazione con gli studenti, aiutandoli nel loro cammino di crecita». Un compito affascinante, quanto complesso e difficile. Sicuramente una sollecitazione che i partecipanti al Convegno si sono portati a casa al termine dei lavori.
da www.avvenire.it
@ Riproduzione Riservata del 10 maggio 2011
 
 
 
 

Ridare vita e senso alle parole e ai giorni.-
di  Davide Rondoni
Chi vuole esercitare potere in ogni ambito lavora sulle parole: le distorce, le devia, le occulta, le scambia. Vale per chi vuole aver dominio in ambito sociale e politico ma anche per chi vuole aumentare il suo potere di vendita, e per chi vuole raggirare l’interlocutore. Si lavora sulle parole per poter esercitare iI proprio potere sulla realtà. È evidente, è lampante. Solo gli sciocchi non lo capiscono, o coloro che fanno finta di non capirlo così da stare più comodi, e spenti.
Ma i media in tutto il mondo hanno riportato due vivide osservazioni fatte da papa Francesco sabato scorso, 6 maggio 2017. Due osservazioni a riguardo delle parole e del loro uso fatte durante un intervento di fronte a tanti ragazzi delle “Scuole per la pace”. Una riguardava il grande ordigno sganciato dalle forze americane su una zona controllata dai terroristi islamisti in Afghanistan e denominata in gergo “Madre di tutte le bombe”, giocando anche sulla sigla che la distingue Moab che viene letto come Mother of all bomb, mentre in realtà significa altro. Il Papa ha detto di sentire vergogna per l’uso della parola “madre” per una bomba. Non si può chiamare con il nome che indica generazione, ha detto, quel che porta distruzione e morte.
Non ha nominato gli Stati Uniti, né il presidente Trump che intanto si è prenotato per un appuntamento. Non è entrato in disquisizioni geopolitiche che non gli competono, non ha attaccato direttamente nessuno, ha preso (e mostrato al mondo) la menzogna di una parola e di un gesto. Allo stesso modo, il Papa, ha stigmatizzato l’uso delle parole «come pietre» durante un dibattito elettorale. E non un dibattito elettorale qualunque...
Ma anche in questo caso, lo ha fatto senza entrare in una vicenda politica che ha sue dinamiche. Eppure quel segnale, l’uso di parole-pietre suona per tutta la classe politica e dirigente come un segnale potente e libero. Una posizione ragionevole, diretta e aperta. Se le cosiddette élite non danno segno di collaborazione o almeno di rispetto è difficile chiederne al popolo ferito e confuso da una crisi dalle ragioni oscure.
Ci sono diversi modi di guardare la scena del mondo: a partire da interessi particolari e dunque in modo strategico rispetto a essi oppure – come sta facendo il Papa – a partire da un interesse per la vita reale delle persone, in qualunque campo o situazione si trovino. Quello che Francesco dice vale per i potenti come per coloro – tutti noi – che esercitano il proprio “potere” nelle scelte e nelle parole di ogni giorno, di fronte a una quotidianità complessa. In questo modo, il Papa, capo di una istituzione speciale che però si muove nella storia “normale”, mostra ancora una volta, come tante volte i suoi predecessori, la natura di tale istituzione. Storica ma non “serva”, non cortigiana della storia.
Non assoggettata alle convenienze provvisorie di strategie politiche. Una istituzione, certo, ma differente per natura e scopo da tutte le altre istituzioni. Che non invita i suoi aderenti a uscire dal mondo, anzi come è accaduto pochi giorni fa con gli appartenenti ad Azione Cattolica, che li esorta a prender parte con animo alto alle vicende politiche e comuni.
Ma un’Istituzione che non pone la sua autorevolezza nella interpretazione politica della storia che si svolge. No, il criterio di giudizio, e quindi la autorevolezza della Chiesa ribadita con questo tipo di interventi da papa Francesco sta nell’invito all’uomo a cercare una vita piena di senso (e quindi parole sensate e vive).
da www.avvenire.it
@ Riproduzione Riservata del 09 maggio 2017

Le nostre voci di Marina Corradi.-
Caro Avvenire,
sono un ragazzo di vent’anni di Milano. Il mio sogno è fare il presidente del Consiglio, e come presidente voglio assolutamente e immediatamente abolire l’aborto, una cosa orrenda! Inoltre ho scoperto che tale legge è addirittura incostituzionale, e dunque le chiedo se può pubblicare l’articolo che le mando in allegato che dimostra per l’appunto l’incostituzionalità dell’aborto oltre che delineare l’atrocità e la stoltezza di tale atto. Così, per tutto il tempo che non sono ancora presidente posso già salvare molte vite.
Riccardo Jacopo Bossi
Caro Riccardo, su una cosa siamo d’accordo: l’aborto è una cosa terribile. Per il resto, mi sembri anche più giovane dei vent’anni che dici di avere, per l’ingenuità della tua lettera, cui segue un documento troppo lungo perché lo si possa pubblicare. Una cosa però vorrei dirtela, se non altro perché potrei essere tua madre. Se per caso ti imbattessi in una tua coetanea che ha intenzione di abortire, ti prego non correre a prendere la Costituzione per dimostrarle la incostituzionalità dell’aborto. Parlare di diritto e di codici a una ragazza che non sa se tenere il figlio che aspetta, è la cosa più inutile e dannosa che potresti fare. Una donna in quelle condizioni non ha bisogno di lezioni di giurisprudenza; non le interessano affatto e anzi se ne sentirebbe allontanata e irritata. Quella ragazza, se mai la incontrerai, non ascolterà nemmeno i sermoni che magari tu le vorresti fare. Ciò che può far decidere a una donna di tenersi un figlio è non essere lasciata sola, che qualcuno le voglia bene e sia disposto ad accompagnarla nella maternità. Molte, poi, possono avere bisogno di un aiuto economico, perché sono povere o senza lavoro. In tutti i casi, la Costituzione brandita come vorresti fare tu, sarebbe del tutto priva di efficacia. C’è una frase però, nel lungo documento che hai allegato, che dice: «Le donne interrompono la gravidanza, ossia sostanzialmente uccidono il figlio, poiché devono ancora divertirsi, perché sono giovani!». Ecco, queste parole per me le ripeti perché le hai sentite dire in casa, ma vorrei farti notare la imprudenza e la durezza di un simile giudizio. Che ne sai tu, ragazzino di vent’anni, delle immigrate assunte in nero che perderebbero il lavoro per quel figlio, o anche di tante lavoratrici precarie, messe davanti tacitamente a un aut-aut? Che ne sai delle adolescenti che non possono contare sulla comprensione della famiglia? E delle donne abbandonate dal padre del bambino? È piuttosto crudele, e un po’ volgare, anche, pensare che le donne «abortiscono perché vogliono ancora divertirsi». Tu sei molto giovane, hai capito che l’aborto è terribile, ma non hai capito tante altre cose. Tieni cara la Costituzione, ma non usarla a sproposito. E cerca di essere un amico fedele per le tue amiche, uno con cui ci si possa confidare. Magari in questo modo, nella fiducia, nella solidarietà, una ragazza incerta se avere un figlio, la convincerai. E non avere tanta fretta di giudicare: è troppo presto, e ci sono troppe cose, in questa vita complicata, che tu non sai.
da www. avvenire .it
@ Riproduzione Riservata del 09 maggio 2017
 
 

Il rapporto del gruppo Assimoco evidenzia il ruolo fondamentale della famiglia d'origine per le nuove generazioni alle prese con la precarietà del lavoro. Il 63% degli under 34 vive ancora in famiglia.-
Un patto di ferro tra generazioni. Nell'epoca del lavoro e delle famiglie liquide, della precarietà senza fine e della coabitazione ad oltranza con mamma e papà i giovani di oggi per far quadrare i conti a fine mese hanno sempre più di bisogno dell'aiuto dei genitori. Ma anche di quello di nonni e zii anziani che mettono mano al portafoglio per sostenere concretamente le nuove generazioni alle prese con stipendi da fame.
A quantificare questo fiume di denaro ci ha pensato il gruppo assicurativo Assimoco che ha dedicato il suo rapporto 2017 al neo-welfare della famiglia italiana. E la cifra (considerando che si tratta solo degli aiuti in denaro da 500 euro in su) lascia a bocca aperta: ogni anno circa 38,5 miliardi di euro vengono elargiti a fondo perduto. Che siano i soldi per comprare una casa o per il dentista, per la cameretta dei figli o per riparare l'auto una cosa è certa: senza quell'aiuto molti giovani non riuscirebbero a vivere, figurarsi a mettere su una famiglia propria. Dai genitori arrivano circa 30 miliardi, altri 8 invece dai nonni.
Il 48% dei giovani in età compresa tra i 18 e i 35 anni ammette di ricevere un consistente aiuto economico dalla famiglia d'origine, percentuale che sale al 62% quando si parla di aiuti non strettamente economici
come il tempo (per l'accudimento dei bambini ad esempio) ma anche regali o più banalmente la cena pronta da portare a casa. La ricerca spezza una lancia in favore dei tanto criticati "bamboccioni": non restano in casa (nel 63% dei casi vivono ancora con mamma e papà) perché sono viziati ma perché non riescono ad essere autonomi economicamente. La loro unica fortuna è quella di poter contare sugli stipendi, le pensioni e i risparmi (che anche in questi anni di crisi sono in aumento) di genitori e nonni.
da www. avvenire.it
@ Riproduzione Riservata del 08 maggio 2017

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