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CAV - Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese ODV

Via Mentana n. 43
27058 Voghera (PV)
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di Maria e Raimondo Scotto
da www.cittànuova.it
@Riproduzione Riservata del 05 dicembre 2021

Ha senso oggi, nell’era dei social-network, in un mondo tutto centrato sulla soddisfazione dei bisogni, sull’utilitarismo, parlare ancora di amicizia?.-

amico

A volte si parla di amici, ma in realtà si tratta di compagni di partito o di associazione, di colleghi o di persone con cui si trascorre il tempo libero per interessi comuni. Si tratta di rapporti che spesso svaniscono col variare delle situazioni della vita. Per non parlare di chi si considera amico attraverso Facebook, rapporti che spesso sono solo amicizie virtuali.

Oggi la parola “amicizia”, più che in altre epoche, si presta ad equivoci e viene utilizzata per indicare relazioni di vario tipo. In fondo al cuore, però, tutti intuiamo il valore di un amico “vero”… difficile da trovare, ma di cui abbiamo estremo bisogno perché, senza relazioni significative, il cuore si può ammalare. Ci ha sempre colpito una frase drammatica di una canzone di De Gregori: «Povero me, povero me! Non ho nessuno con cui bere un caffè…». Forse tutti abbiamo sperimentato qualche momento simile quando, per circostanze varie, le persone su cui potevamo veramente contare non erano disponibili.

Qualcuno potrebbe chiedersi: «Se io amo il mio prossimo, cerco di aiutarlo, di consolarlo, non è sufficiente? Che differenza c’è tra amore e amicizia?».

In realtà l’amicizia ha un suo carattere specifico. Mentre siamo chiamati ad amare tutti, non possiamo però sperimentare l’amicizia con tutti; anche se avessimo ideali comuni, non con tutti scatta quell’empatia speciale. L’amicizia tra due persone presuppone, oltre all’amore con tutte le sue caratteristiche, un’affinità elettiva, capace di generare un sentimento affettivo durevole. Due amici stanno bene in compagnia perché si stabilisce tra loro un rapporto di reciprocità in cui si sperimenta l’uguaglianza, la stima, la fedeltà, la serenità. L’amore può essere la strada maestra per costruire un’amicizia, ma non è sufficiente.

La reciprocità, però, non può mai essere pretesa in quanto, come tutti i legami veri, l’amicizia si nutre di libertà e di gratuità. Scrive Michel Pochet: «Spesso ci crediamo disinteressati ma quando l’altro non risponde alla nostra (presunta) gratuità siamo delusi e gli ritiriamo la nostra stima».

È però anche vero che, se ad un certo punto non scatta la reciprocità, non possiamo parlare di amicizia.

Un altro ingrediente che dà ossigeno ai rapporti amichevoli è la totale assenza di gelosia. Il vero amico non è mai possessivo, ma gode delle gioie altrui. Siamo veramente felici se i nostri amici frequentano altri amici, se non ci invitano sempre nei loro momenti di convivialità, di svago, ecc.?

L’amicizia vera desidera il bene dell’altro, ciò che lo rende più felice, che lo aiuta a realizzarsi, pronto a rispettare anche quelle sue scelte a volte per noi incomprensibili; Il rispetto della diversità è un elemento fondante.

Il detto noto “Chi trova un amico trova un tesoro” ci invita a custodire e a coltivare l’amicizia come un vero tesoro; senza assilli, ma anche senza abbandoni alla casualità. Dire “prima o poi ci ritroveremo” non funziona: bisogna cercare le occasioni per potersi ogni tanto incontrare. L’amicizia, infatti, si nutre del contatto umano, di una stretta di mano, di una condivisione di esperienze, di risate spensierate e di lacrime asciugate, di un ascolto senza fretta.

Ovviamente possono esserci dei periodi della vita molto difficili, situazioni drammatiche, momenti di lontananza, che rendono impossibile la frequentazione ma, quando l’amicizia è vera, appena ci si ritrova, anche se sono passati anni, si sperimenta subito la gioia, quel caratteristico senso di benessere psicofisico che non subisce mutamenti.

Concludiamo con una pagina indimenticabile di sant’Agostino sull’amicizia: «…massimo ristoro e sollievo mi veniva dal conforto degli amici con i quali avevo in comune l’amore per ciò che amavo: i colloqui, le risate, lo scambio di cortesie affettuose, le comuni letture di libri interessanti, i comuni passatempi… qualche incomprensione occasionale, i frequenti consensi… eravamo gli uni degli altri, ora maestri, ora discepoli».

di Raffaele Iaria
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 09 novembre 2021

Secondo l'ultimo rapporto della fondazione Migrantes gli unici italiani che aumentano di numero sono quelli fuori dal Paese.-

La presentazione del rapporto.

L’unica Italia che continua a crescere è quella che risiede strutturalmente all’estero. Lo evidenzia oggi la XVI edizione del Rapporto Italiani nel Mondo redatto dalla Fondazione Migrantes. I cittadini, con passaporto italiano, che vivono oggi all’estero, sono oltre 5milioni e mezzo (5.652.080) il 9,5% degli oltre 59,2 milioni di italiani residenti in Italia. Se nell’ultimo anno, infatti, l’aumento della popolazione dei cittadini italiani iscritti all’AIRE,  è stato del 3%, questo dato diventa il 6,9% dal 2019, il 13,6% negli ultimi cinque anni, ben l’82% dal 2006, anno della prima edizione dallo studio dell’organismo pastorale della Cei. La regione di provenienza della maggioranza degli italiani che risiedono all’estero è la Sicilia con oltre 798 mila iscrizioni seguita da Lombardia (+561 mila), Campania (quasi 531 mila), Lazio (quasi 489 mila), Veneto (+479 mila) e Calabria (+430 mila). La maggioranza è residente in Argentina (884.187, il 15,6% del totale), Germania (801.082, 14,2%) Svizzera (639.508, 11,3%). Seguono Brasile (poco più di 500 mila, 8,9%), Francia (circa 444 mila, 7,9%), Regno Unito (oltre 412 mila, 7,3%) e Stati Uniti (quasi 290 mila, 5,1%). L’accento posto dallo studio sul concetto di mobilità umana rispetto al termine “migrazioni”, a «prospettive analitiche più ampie e complesse che tengono conto dell’evoluzione socioeconomica del nostro Paese e anche delle sfide impreviste che nostri connazionali all’estero si sono trovati ad affrontare in tempi segnati dalla pandemia». Uno studio, quello della Fondazione Migrantes, «utile strumento di approfondimento su un tema centrale nell’ambito dei cambiamenti che si propagano su scala mondiale», ha scritto in messaggio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «l’accento posto dallo studio sul concetto di mobilità umana rispetto al termine “migrazioni“, a prospettive analitiche più ampie e complesse che tengono conto dell’evoluzione socioeconomica del nostro paese e anche delle sfide impreviste che nostri connazionali all’estero ci sono trovato ad affrontare in tempi segnati dalla pandemia».

Con la pandemia – che ha coinvolto l’intero Pianeta – la mobilità degli italiani non si è arrestata: ha subito un ridimensionamento che non riguarda, però, le nuove nascite all’estero da cittadini italiani, ma piuttosto le vere e proprie partenze, il numero cioè dei connazionali che hanno materialmente lasciato l’Italia recandosi all’estero da gennaio a dicembre 2020. In valore assoluto, si tratta di 109.528 italiani, oltre 21 mila persone in meno rispetto all’anno precedente. Il 54,4% (59.536) sono maschi, il 66,5% (72.879) celibi o nubili, il 28,5% (31.268) coniugate/i, il 2,2% divorziate/i (2.431). Nel generale calo delle partenze (-16,3% rispetto all’anno precedente), le diminuzioni maggiori si riscontrano per gli anziani (-27,8% nella classe di età 65-74 anni e -24,7% in quella 75-84 anni) e per i minori al di sotto dei 10 anni (-20,3%). Crescono, invece, i giovani tra i 18 e i 34 anni (42,8%): nell’anno della pandemia, il protagonismo dei giovani italiani in mobilità aumenta. La Chiesa in Italia ha in questo momento «una priorità che è allo stesso tempo una preoccupazione pastorale: le nuove emigrazioni giovanili. Gli italiani emigrano oggi massicciamente e i giovani sono i protagonisti principali. Cosa siamo chiamati a fare per i tanti fedeli di lingua italiana che arrivano all’estero oggi spinti dalla necessità di trovare una realizzazione personale e lavorativa? Non basta la sola assistenza morale e spirituale. La Chiesa  - ha detto il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo - deve essere compagna di vita per ciascuno di loro, la parrocchia una casa».

Il “rischio” di uno spostamento, in questo anno,  è stato volutamente evitato dai profili più fragili, anziani e bambini, sottolineano i ricercatori del rapporto Italiani nel Mondo, 75 da ogni parte del mondo che hanno scritto 54 saggi. La meta preferita, tra quelli che nell’ultimo anno hanno spostato la loro residenza dall’Italia all’estero, il 78,7% lo ha fatto scegliendo l’Europa come continente. Nel loro complesso, le destinazioni scelte sono state 180 e, tra le prime dieci, ben sette sono nazioni europee. L’unica con saldo positivo, rispetto all’anno precedente, è il Regno Unito: +8.358 iscrizioni in più rispetto al 2020, +25,1% di variazione dal 2020 che diventa un aumento, in un anno, del 33,5%. Delle oltre 33 mila iscrizioni nel Regno Unito, il 45,8% riguarda italiani tra i 18 e i 34 anni, il 24,5% interessa i minori e il 22,0% sono giovani-adulti tra i 35 e i 44 anni. Si tratta, quindi, della presenza italiana tipica per il Regno Unito: giovani e giovani adulti, nuclei familiari con minori che la Brexit ha obbligato a far emergere – da qui la spiegazione dell’incremento registrato anche nell’ultimo anno nonostante la pandemia – attraverso la procedura di richiesta del settled status, un permesso di soggiorno a tempo indeterminato per chi può comprovare una residenza continuativa su territorio inglese da cinque o più anni, arco temporale che non deve essere stato interrotto per più di sei mesi su dodici all’interno del quinquennio di riferimento. Il Covid non ha, quindi,  arrestato la mobilità italiana, l'ha “contenuta numericamente ma siamo comunque al di sopra dei 109mila connazionali che nel 2020 hanno lasciato il territorio per espatrio, dice la curatrice del rapporto Delfina Licata evidenziando che gli italiani, quindi, durante questo anno “condizionato” dal Covid19 si sono trovati costretti a dover decidere se partire o no: «una parte ha preferito procrastinare il progetto migratorio – e da questo deriva la riduzione del numero complessivo delle partenze – e un’altra parte ha deciso comunque di non rinviare la decisione e, quando possibile, rispettando le disposizioni limitanti gli spostamenti, ha scelto di “restare vicino” – e quindi in Europa – più che andare oltreoceano».

Un tema portante, quello della pandemia che lo studio della Fondazione Migrantes approfondisce in tutte le sezioni con un focus su 34 città del mondo e di come gli italiani residenti in queste città, ufficialmente o meno, hanno affrontato l’epidemia mondiale vivendo l’isolamento, il paradosso di dover essere immobili nella mobilità e l’avvento delle nuove forme di digitalizzazione e virtualità diffusa, oltre ad un capitolo sulla pastorale per gli italiani nelle missioni cattoliche in Europa. Un vero e proprio viaggio intorno al mondo con al centro «l’Italia fuori dall’Italia». Oggi – ha scritto il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli - «viviamo un tempo caratterizzato da sfide inedite, ma anche da straordinarie opportunità̀, un momento molto complesso che richiede discernimento, confronta reciproco e collaborazione da parte di tutti». In questo «momento storico, segnato da una pandemia che ha sconvolto il mondo, sia fondamentale riscoprire il senso della nostra interdipendenza e delle nostre relazioni». Anche il fenomeno migratorio «non può essere slegato da altre questioni perché rappresenta un tema sociale ed umano di fronte al quale l'Unione europea ha il dovere di adottare un approccio coordinato, più coraggioso e basato sui principi della solidarietà̀ e della responsabilità̀». Le pagine di questo studio ricordano – come si legge nell’introduzione - quanto la storia dell’Italia sia «storia di mobilità» e quanto la pandemia «abbia reso visibile lo stato di salute del nostro Paese rispetto agli elementi più vari: dalla demografia all’economia, dall’unità sociale alla cultura, dalla politica al sentimento di fede». Nel pomeriggio di oggi, intanto, si è aperto un convegno, a Roma, promosso dalla Fondazione Migrantes sul tema "Gli italiani in Europa e la missione cristiana. Radici che non si spezzano ma che si allungano ad abbracciare ciò che incontrano” che vedrà la partecipazione, tra gli altri, dei Cardinali Gualtiero Bassetti e Anders Arborelius, di Mons. Gian Carlo Perego e Mons. Jean Kockerols oltre a testimonianze da diversi Paesi d'Europa.

Pamela Franzisi
di Pamela Franzisi

da www.bimbisaniebelli.it
@Riproduzione Riservata del 21 ottobre 2021

La dieta degli adolescenti è cambiata durante questo periodo di pandemia e non in bene. Per molti ormai ci sono colazioni fugaci o assenti e momenti di noia allontanati con snack spazzatura.-

La dieta degli adolescenti è peggiorata con la pandemia

La dieta degli adolescenti è peggiorata durante questo lungo periodo di pandemia. È quanto emerge dai risultati  dell’indagine «Adolescenti un anno dopo» realizzata dall’Associazione laboratorio adolescenza e l’Istituto di ricerca Iard.

Interpellati più di 10mila ragazzi

Una delle conseguenze dei mesi di isolamento in casa e didattica a distanza la possiamo ritrovare  nel rapporto tra gli adolescenti e il cibo «L’indagine — spiega Carlo Buzzi, sociologo dell’università di Trento e direttore scientifico del progetto — ha coinvolto un campione nazionale rappresentativo di oltre 10.500 studenti di età compresa tra i 13 e i 19 anni e ci ha consentito, grazie al patrimonio storico di dati raccolti da Laboratorio adolescenza, di mettere in evidenza se e dove gli effetti della pandemia abbiano prodotto modifiche evidenti nelle abitudini di vita degli adolescenti»

Colazione per lo più assente

La prima colazione, già prima dello scoppio della pandemia, era saltata da molti adolescenti per “mancanza di tempo” la mattina prima della scuola. Nel 2015 il 66,2% dei ragazzi di terza media faceva la prima colazione tutti i giorni (o quasi) rispetto all’attuale 52%.

Poco cambia tra gli studenti delle superiori: nel 2018 il 61,5% faceva colazione tutti i giorni, mentre oggi la fa solo il 50,5%.

Alimentazione “on demand”

Stare a casa con le famiglie per molti mesi non ha migliorato la dieta degli adolescenti nei pasti principali. Il 56% delle femmine e il 50% dei maschi ha dichiarato di aver mangiato in modo più sregolato del solito. «Una sorta di dannosissima nutrizione “on demand” (quando ho fame, mangio qualcosa), dove ad aggravare la situazione — commenta Margherita Caroli, componente del consiglio direttivo dell’European Childhood Obesity Group e coordinatrice del gruppo di studio sulla nutrizione di Laboratorio adolescenza — è che questa “fame” è molto spesso “noia” che si tenta di allontanare con la gratificazione prodotta dai dannosi quanto accattivanti snack spazzatura».

Più snack e meno attività fisica

Gli snack, consumati abitualmente dal 78,4% degli adolescenti fino al 2018, ora vengono abusati  dall’82%.

È cresciuta la sedentarietà, anche per la sospensione delle attività sportive: il 32% ha dichiarato di aver fatto molto meno movimento rispetto al solito, il 38,4% non ne ha fatto proprio e il 15% degli adolescenti non praticava sport neanche prima della pandemia.

Riflessione

La sedentarietà durante i vari lockdown è stata subìta e non voluta. Vero è che non c’è comunque un buon rapporto tra adolescenti e attività sportiva. Manca la cultura dello sport come piacere e stile di vita. Lo sport viene vissuto in ottica competitiva, per cui se non ci sono risultati importanti lo si abbandona.

di Paolo Rodari
da www.larepubblica.it
@Riproduzione Riservata del 24 agosto 2021

Dietro il decreto di Bergoglio di due mesi fa la volontà di portare vitalità alle associazioni ecclesiali, da Cl ai Focolarini, combattendo gli abusi.-

ll Papa è contro i movimenti? Tutt'altro. Piuttosto è preoccupato per loro, per questo ha deciso di intervenire". Sorride l'alto prelato, interpellato due mesi dopo l'uscita del decreto con il quale Francesco chiede che coloro che guidano movimenti e associazioni riconosciute dalla Chiesa (eccezioni possono riguardare soltanto alcuni fondatori) non stiano in carica per più di dieci anni. "La sua preoccupazione è per gli abusi, di potere e di coscienza soprattutto, che alcune di queste persone, idolatrate da gruppi spesso chiusi a mo' di setta, hanno commesso su persone loro affidate. Mentre un ricambio nei vertici, come ha spiegato sull'Osservatore Romano il gesuita Ulrich Rhode, apporta grandi benefici alla vitalità dell'associazione stessa, porta ad evitare il crescere dei personalismi: Francesco è questa vitalità che desidera, non altro".

Non sono stati pochi coloro che hanno letto l'uscita del decreto dello scorso giugno come una scure lanciata dal Papa contro i movimenti. Dicono che il vescovo di Roma che è cresciuto alla scuola della teologia del pueblo argentina, a differenza dei suoi due ultimi predecessori non ama i carismi. Per questo, ne azzera i vertici esercitando così un controllo più diretto. "Niente di più falso", rispondono in Vaticano. Ciò che combatte, piuttosto, sono gli "integralismi comunitari", il rischio cioè che singole associazioni, pur del tutto diverse fra loro, vivano nella totale autoreferenzialità, senza sapersi aprire agli altri. Bergoglio già a Buenos Aires ha lasciato spazio alle iniziative dei movimenti. Quelle nate dal basso sono state da lui sempre valorizzate. Ha presentato più volte libri di don Giussani, celebrato liturgie con Sant'Egidio, pregato sulla tomba di Escrivà, favorito gli incontri ecumenici dei Focolarini e, come ha scritto su Vatican Insider Gianni Valente, "ha recitato il "rosario delle rose" nelle parrocchie bonaerensi affidate ai sacerdoti del movimento di Schöenstatt", facendosi vicino anche ad associazioni più piccole ed esigue. "Il dicastero vaticano - conferma a Rimini Bernhard Scholz, presidente della Fondazione Meeting dell'amicizia fra i popoli - ha emanato un decreto che riguarda più di cento associazioni e movimenti ecclesiali". Mentre per quanto riguarda Cl, il presidente della Fraternità di Cl, Julián Carrón, "ha dichiarato subito dopo la pubblicazione che il movimento "provvederà agli adempimenti richiesti, nei modi e nei tempi stabiliti dal decreto stesso". Da sempre è stato l'intento di Cl servire la Chiesa e sarà così anche in futuro. Per la stessa ragione il Meeting cercherà di essere anche in futuro un luogo di incontro per tutti".

Due anni passano in fretta. Entro questo lasso di tempo molti movimenti cambieranno i propri vertici. Dopo Carrón sono attese le prese di posizione degli altri "big", Chiara Amirante di Nuovi Orizzonti, Kiko Arguello dei Neocatecumenali, Salvatore Martinez del Rinnovamento dello Spirito, Marco Impagliazzo di Sant'Egidio. Anche se le preoccupazioni del Papa non sembrano essere tanto nei loro confronti. Quanto per le molteplici micro realtà - si parla di oltre centro aggregazioni interessate dal decreto - tutte diverse fra loro, che in questi anni si sono formate non senza correre il rischio di nicchie di abusi di potere e in alcuni casi anche di violenze. Sono queste che hanno mosso Francesco. Sono queste situazioni che il Papa non vuole tornino a ripetersi.

I casi come quello dei Legionari di Cristo e della doppia vita di Marcial Maciel Degollado fanno ancora male. E non sono isolati. Giovanni Paolo II non sempre fu in grado di vedere certi abusi e, in un'epoca storica nella quale il "noi", l'essere in quanto comunità, veniva prima dell'"io", puntò tutto sui movimenti e sulla presenza nella società dei differenti carismi. In una Chiesa protagonista della battaglia dell'Occidente contro le ideologie totalitarie, i movimenti erano una presenza sociale e politica forte. I carismi, pur con tutti i loro limiti, erano utili alla causa.
Benedetto XVI fece sua la linea di Wojtyla seppure per primo aprì ad un'azione dall'alto contro gli abusi, anche consapevole che il futuro della Chiesa non era più in azioni evangelizzatrici di massa ma in "minoranze creative", piccoli gruppi che sapessero dare l'esempio senza proselitismi né conquiste di campo.
Dopo di lui, Francesco, che giusto due settimane fa ha implicitamente spiegato il senso del suo decreto. Nella prima udienza generale dopo il ricovero al Gemelli, infatti, il Papa ha ricordato come "tante volte abbiamo visto nella storia, anche vediamo oggi, qualche movimento che predica il Vangelo con una modalità propria, delle volte con carismi veri propri, ma poi esagera e riduce tutto il Vangelo al movimento". Ma "questo non è il Vangelo di Cristo, è il Vangelo del fondatore o della fondatrice: e questo potrà aiutare all'inizio ma alla fine non fa frutti con radice profonda", ha chiarito. Qui c'è il senso delle sue nuove disposizioni, qui la radice di un'azione che nel giro di ventiquattro mesi democraticizzerà i vertici dei movimenti all'interno di un panorama ecclesiale nel quale il prevaricare dei leader sulle persone loro affidate non è più ammesso né tollerato.

di Franca Giansoldati
da www.ilmessaggero.it
@Riproduzione Riservata del 12 ottobre 2020

Città del Vaticano - Papa Francesco torna a ripetere che vorrebbe più donne nei posti di responsabilità nella Chiesa, anche se in questa direzione il Vaticano si muove con la velocità di un bradipo. In curia, infatti, tolta qualche sottosegretaria di recente nomina, non c'è ancora nessun capo di congregazione o pontificio consiglio. «Preghiamo perché i fedeli laici, specialmente le donne. partecipino maggiormente nelle istituzioni di responsabilita' della Chiesa», ha detto papa Francesco al termine dell'Angelus.

Le parole del pontefice

«Nessuno di noi e' stato battezzato prete ne' vescovo - ha osservato -, siamo stati tutti battezzati come laici, laici e laiche. Sono protagonisti della Chiesa».

«Oggi - ha proseguito - c'e' ancora bisogno di allargare gli spazi di una presenza femminile piu' incisiva nella Chiesa e di una presenza laica, si intende, ma sottolineando l'aspetto femminile, perche' in genere le donne vengono messe da parte. Dobbiamo promuovere l'integrazione delle donne nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti».

Papa Francesco ha poi nuovamente sorvolato su una questione di cruciale importanza: finora la Santa Sede non ha mai voluto né firmare, né ratificare la Convenzione del Consiglio d'Europa siglata ad Istanbul per contrastare la violenza sulle donne. 

Il documento investe moltissimo sulla prevenzione, cerca di proteggere le vittime e perseguire i trasgressori, definisce la violenza contro le donne una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione. I firmatari si impegnano a diffondere una cultura paritaria e di rispetto.  La firma del Vaticano avrebbe un valore simbolico altissimo.

Sul perché la Santa Sede non abbia mai firmato né ratificato questo trattato nessuno finora ha fornito una risposta convincente. In curia spiegano che la Santa Sede non firma trattati 'regionali'. Peccato però che nel 2000 la Santa Sede abbia aderito al trattato sulla moneta unica (anch'esso di carattere regionale).  Il che fa riflettere: forse i diritti umani relativi alle donne sono inferiori alle ragioni legate all'adesione all'euro?

di Luca Volontè
da www.lanuovabq.it
@Riproduzione Riservata del 18 maggio 2021

Natalità, il ministro della Famiglia Bonetti dice di guardare alla Francia, ma i dati della decrescita demografica francese sono noti a tutti. Se proprio vogliamo guardare all'estero bisogna rivolgersi alle iniziative politiche dei paesi dell’Est, i più colpiti dalla decrescita demografica in passato, i cui governi di colore politico diverso stanno affrontando la gelata demografica con politiche family friendly efficaci e comuni: Romania, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Bulgaria.-

Bene ha fatto la Bussola (QUI e QUI) a descrivere ‘il bluff’, la delusione e le occasioni mancate (PNNR, Delega Fiscale, scomparsa persino dal dibattito del ‘fattore famiglia’) degli Stati Generali per la Natalità. Si sarebbe dovuto mettere a tema la tragedia dell’estinzione del popolo italiano ed invece ci si è limitati ad uno show mass mediatico. La notizia sugli Stati Generali si è sciolta come neve al sole in pochi giorni. Sia il Governo, sia gli Stati Generali hanno dimenticato le Famiglie Numerose, da tempo critiche con l’attuale formulazione dell’assegno unico, a causa del quale perderanno una parte dei sostegni (da fame) che oggi ricevono. Solo lo scorso 15 Aprile, c’è stato il primo confronto tra l’Associazione delle famiglie numerose e il Ministro Bonetti, dubbi e preoccupazioni rimangono immutati visto che «dal 2005 al 2020 la povertà assoluta delle famiglie numerose è passata dal 3,8% del 2006 al 20,7% del 2020».

Non c’è coscienza della dimensione della tragedia italiana e così facendo è ovvio che l’estinzione proseguirà senza sosta.

Il Governo italiano, intanto, dice di guardare alla Francia, ha detto il Ministro della Famiglia Elena Bonetti in una recente intervista. I dati della decrescita demografica francese sono noti a tutti, le riduzioni sostanziose degli aiuti famigliari introdotte dal Governo Hollande e dal Governo Macron stanno producendo una decrescita infelice della natalità nel paese (più di due figli nel 2010, meno di 1,8 oggi).

I giovani italiani desidererebbero aver figli, un recente studio dimostra che per il 52% i figli sono considerati un arricchimento, eppure l’indagine EURES sui giovani italiani del 17 Maggio mostra  che il 50% dei giovani italiani vive ancora con i genitori. Come la politica italiana risponde a questo desiderio di natalità, famiglia e, allo stesso tempo, di insicurezza che vivono i giovani? Se la risposta è il silenzio tombale dei giorni scorsi, la fine del popolo italiano è segnata. 

C’è dove guardare e dove imparare, lo stesso Presidente Blangiardo, ha mostrato esempi virtuosi di alcuni paesi. Le iniziative politiche di alcuni paesi dell’Est, i più colpiti dalla decrescita demografica in passato, dovrebbero essere presi ad esempio. Romania (sino allo scorso anno governata dai Socialista); Slovacchia (sino allo scorso anno governata dai Socialisti ora dai moderati e populisti), Polonia (governata dai conservatori), Ungheria (governata da Popolari/conservatori), Repubblica Ceca (governata dai Liberali). Governi di colore politico diverso che stanno affrontando la gelata demografica con politiche family friendly efficaci e di cui più volte abbiamo parlato da queste colonne. É dei giorni scorsi la notizia che il Gruppo di Visegrad ha stabilito una solida e continua collaborazione trai i paesi per promuovere le politiche famigliari e della natalità. L’Italia in via di estinzione e l’attuale Governo non può permettersi alcun pregiudizio politico se vuole evitare l’estinzione del popolo. Le priorità dimenticate dagli interventi degli Stati Generali sono molte (solo per citarne alcune: desiderio giovanile di famiglia e figli e mancanza di risposte della politica, riordino delle imposte regionali e locali in funzione della composizione dei nuclei famigliari, rivoluzione della politica dei costi dei trasporti per i figli o dei servizi sportivi e ricreativi), il grande assente è stato anche il matrimonio.

Esistono ricerche ampie e consolidate di studiosi e scienziati stimati in tutto il mondo che dimostrano come il matrimonio (stabilità/responsabilità) e la sua creatività di virtù personali e comunitarie, sia un fattore determinante non solo per la coesione sociale e l’eguaglianza ma anche per la natalità . Investire sulla famiglia e natalità significa premiare concretamente la stabilità famigliare, un taglio netto di tasse in proporzione agli anni di matrimonio. Una stravaganza? No, sarebbe un atto di giustizia. Quel che è certo è che la Bulgaria, paese in estinzione, potrebbe usare una parte consistente dei fondi del green deal europeo per risalire la china demografica mentre l’Italia ha dimenticato di scrivere questa priorità nel proprio Recovery Plan Nazionale (PNRR). È questa è una follia.

di Cristian Romaniello Parlamentare, autore di una proposta di legge sulla prevenzione del suicidio
di Tommaso Vecchi Prorettore dell’Università di Pavia, docente di Psicologia

da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 12 maggio 2021

Quindici anni, fine della giornata scolastica. In classe pochi amici, che forse non hanno avuto neanche il tempo di diventare amici dopo una conoscenza fatta attraverso lo schermo di un computer...-

 Non solo valutazioni e verifiche ma torni luogo di socialità e incontro

Quindici anni, fine della giornata scolastica. In classe pochi amici, che forse non hanno avuto neanche il tempo di diventare amici dopo una conoscenza fatta attraverso lo schermo di un computer e un altoparlante che fatica a dare calore e ritmo alle parole. Una finestra, un salto. L’ennesima notizia di cronaca che ci colpisce senza che venga ricordata per più di un paio di giorni, anche se nello stesso tempo ce ne sarà una nuova, spesso identica. Ogni storia è diversa ma il comune denominatore è simile. Una fragilità che sempre più fa parte dei ragazzi che da un anno ormai non hanno più la scuola al loro fianco, nella ricerca di un equilibrio, nel confronto con gli altri, nella condivisione dei propri dubbi, dei propri limiti, dei propri pensieri.​
Finalmente il ritorno in classe. La delusione di scoprire che l’unico obiettivo sia finire il programma e, finalmente, fare verifiche dove non si può copiare, dove valutare gli apprendimenti dimenticandosi che gli ingredienti essenziali per apprendere sono mancati per quasi un anno. Conoscenze, competenze, parole che invece di riempire il vuoto di questi mesi possono solo allontanare da una scuola che sembra non capire. Continuiamo a leggere che ai ragazzi è mancata l’esperienza di vivere insieme, di stare con gli altri, di trovare la sicurezza di parlare di fronte agli amici, di trovare adulti di riferimento esterni all’ambiente domestico, di mostrarsi non solo 'virtualmente' ma nella loro piena fisicità, senza aver paura delle proprie debolezze. Debolezze che sono di tutti e per questo sopportabili. Ma invece la scuola esprime l’urgenza di riempire registri con voti attendibili. Non sono mancati in questi ultimi 12 mesi motivi per alimentare l’angoscia e l’ansia dei ragazzi e questa scuola trova terreno fertile per alimentare oltremodo l’insicurezza e la paura del fallimento. «Ma davvero avevo voglia di tornare a scuola? Forse era meglio stare a casa… forse la Dad non era poi così male» È vero che ai ragazzi è mancata la scuola, manca tuttora.

Manca come luogo privilegiato di socialità, di incontro, di scoperta, di stimoli per crescere, di aiuto per sviluppare l’autostima e la motivazione verso il futuro. Manca la relazione con i pari e con gli insegnanti. La valutazione fuori dalla relazione è un’arma pericolosa. La percentuale variabile di presenza a scuola indicata dal ministero si tramuta solo nella variabilità di rischio di sostenere prove di valutazione. Dopo un anno, la scuola ritorna ma fa solo paura, è l’istituzione che chiede di studiare e sapere nozioni, di recuperare un voto o un capitolo che non c’è stato il tempo di fare. Se la scuola fa questo, perderà molto di più del tempo della pandemia, perderà davvero qualcosa che i nostri ragazzi non potranno recuperare.
È importante, oggi, comprendere lo stato di benessere dei nostri figli, dei nostri giovani, o non li recupereremo.Viviamo nel tempo della competizione, dove il successo ricopre uno spazio più importante della vita stessa, degli affetti, delle esperienze. Prevenire questa tendenza può aiutare ad uscire da una sofferenza quotidiana e invisibile. Ritrovare la fiducia nella scuola, nella relazione, in un futuro possibile insieme agli altri e non da soli.
È facile capire quali sono gli obiettivi che oggi una scuola dovrebbe porsi. Sono gli stessi che cerchiamo noi adulti: la gioia di stare insieme, di condividere le emozioni con chi è al nostro fianco, di ritrovare il giusto equilibrio tra rischio e paura, tra fiducia nel futuro e prudenza del presente. Ritrovare la capacità di riconoscere le proprie capacità senza temere il giudizio altrui. Solo dopo ci potrà essere una valutazione. Non ora, non adesso, sicuramente non in questi mesi.

da www.diocesitortona.it
@Riproduzione Riservata del 08 maggio 2021

TORTONA - Con l’approssimarsi dell’estate emerge la domanda sulla realizzazione dei centri estivi nelle comunità cristiane. Già l’anno scorso il Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile aveva presentato il progetto “Aperto per ferie” che è stato adottato dalla Pastorale Giovanile diocesana.
Il gruppo dei coordinatori di oratorio, che ha sempre tenuto vive le relazioni con gli animatori parrocchiali, ora propone due momenti per coloro che a vario livello si occupano dei ragazzi.

Nel primo lunedì 10 maggio alle ore 21.15, sulla piattaforma GoogleMeet, Marco Moschini, docente all’Università di Perugia interviene sul tema “Perché fare l’estate in Oratorio”.
Nel secondo, il 19 maggio, A.N.S.P.I. Tortona ricorda le regole per attuare i Gr.Est.
Le scrizioni si ricevono per telefono o via mail (333 4473644; pastoralegiovaniletortona@gmail.com).

di Redazione Internet
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 30 marzo 2021
Nella loro semplicità e concretezza le meditazioni scritte da bambini e ragazzi per la Via Crucis di papa Francesco.-

Il Covid con il suo carico di solitudine e con il dolore per la morte improvvisa di un nonno, il bullismo, i dispiaceri per i litigi in famiglia, le delusioni, ma anche l'amicizia con un compagno straniero e la gioia di donare.
Protagonisti quest'anno nella Via Crucis del Venerdì Santo guidata da papa Francesco, sono i più piccoli. I testi e i disegni a commento delle 14 Stazioni, che accompagnano Francesco durante il rito sul sagrato della Basilica di San Pietro, sono realizzati da loro: bambini e bambine, ragazzi e ragazze della parrocchia romana dei Santi Martiri dell'Uganda, del gruppo scout Agesci "Foligno I" e di due case famiglia di
Roma.
Venerdì Santo. La Via Crucis del Papa meditata e disegnata dai bambini (di Riccardo Maccioni)
Nella loro semplicità e concretezza le meditazioni scritte da bambini e ragazzi per la Via Crucis presieduta da papa Francesco di quest’anno hanno il potere di toccare profondamente il cuore, di commuovere e di far pensare, di desiderare un mondo più giusto e felice per tutti, di chiamare in causa, di convertire.
IL LIBRETTO DELLA CELEBRAZIONE

Le tante croci dei bambini e delle bambine del mondo

Le sofferenze dei piccoli spesso vengono sottovalutate. Nell’introduzione al libretto (pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana) i bambini, rivolgendosi a Gesù, lo sottolineano:
“Caro Gesù, Tu sai che anche noi bambini abbiamo delle croci, che non sono né più leggere né più pesanti di quelle dei grandi, ma sono delle vere e proprie croci, che sentiamo pesanti anche di notte. E solo Tu lo sai e le prendi sul serio. Solo Tu". Le croci sono la paura del buio, della solitudine e dell’abbandono, anche a causa della pandemia, l’esperienza dei propri limiti, delle prese in giro da parte degli altri, il sentirsi più poveri rispetto ai coetanei, il dispiacere per i litigi in famiglia di mamma e papà. Ma ci sono bambini nel mondo che soffrono anche perché “non hanno da mangiare, non hanno istruzione, sono sfruttati e costretti a fare la guerra”. Tu, Gesù, ci sei sempre vicino e non ci abbandoni mai, concludono i bambini, “aiutaci ogni giorno a portare le nostre croci come Tu hai portato la tua”.

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