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CAV - Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese ODV

Via Mentana n. 43
27058 Voghera (PV)
Tel: 349 4026282
email: cavvoghera@virgilio.it

di Fabio Gervaso
da www.orizzontescuola.it
@Riproduzione Riservata del 20 aprile 2024

Qual è il ruolo delle emozioni in educazione ed in particolare perché non bisogna reprimere le emozioni anche se negative? Ne abbiamo parlato con il dott. Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano, esperto di prevenzione in età evolutiva ed è autore di molti volumi per bambini, genitori e insegnanti.

Dottor Pellai, possiamo affermare che i giovani sono lo specchio della società in cui crescono. La famiglia e la scuola rappresentano i due principali istituti educativi, eppure entrambi vivono una profonda crisi. Come stiamo educando i nostri ragazzi e come correggere il tiro partendo dalla valorizzazione dell’educazione emotiva?

Penso che la fragilità che vediamo oggi in effetti è un po’ paradossale, perché siamo la prima generazione di adulti che si è davvero tanto occupata di crescere i figli felici, di garantire e tutelare il più possibile la felicità dei soggetti in età evolutiva e paradossalmente adesso ci troviamo in realtà una generazione di adolescenti che è in profonda crisi e che ha indicatori di salute emotiva e mentale molto affaticati, in alcuni casi molto compromessi. Il problema non è tanto chiedersi cosa non abbia funzionato, perché credo che in realtà gli adulti abbiano fatto tutti gli sforzi che dovevano essere fatti, ma allo stesso tempo non hanno tenuto sotto controllo alcune profonde modificazioni, variazioni degli stili di vita, che hanno pervaso poi in modo intenso il modo di stare al mondo e di crescere delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi. C’è stata una grande concentrazione sul potenziale del sapere e saper fare, scuola e famiglia si sono attrezzate tantissimo per permettere ai nostri bambini e ragazzi di apprendere molte cose in più rispetto alle generazioni passate, ma in realtà poi non c’è stata un’equivalente cura del saper essere, quindi quello che è accaduto è che mentre venivano formati e addestrati a tante nuove abilità e competenze, quei giovani così preparati venivano in realtà fatti crescere in luoghi ristretti e chiusi, complice anche il Covid. Sono stati molto dentro le loro stanze, sono stati poco nel mondo esterno, hanno ridotto i loro compiti di socializzazione, la quantità e la qualità delle relazioni che vivono e questo ha avuto poi un impatto molto forte sulla loro competenza emotiva, sulla costruzione del senso di sé, sulla generazione di un’identità ritenuta valida e funzionale sulla percezione del loro protagonismo. Paradossalmente alcuni nostri studenti e studentesse si sentono quasi più validi ed efficaci nella vita virtuale, che è una vita che non c’è, rispetto alla vita reale che è invece la vita che devono imparare ad abitare. Probabilmente anche la crisi che stiamo vivendo adesso ci fornisce delle indicazioni e dei ripensamenti a cui non possiamo sottrarci se vogliamo sostenere in modo adeguato la crescita delle future generazioni.

Viviamo sempre meno nella relazione, questo, soprattutto in età evolutiva, può rappresentare un grave problema nella conoscenza e nella formazione della persona. Luoghi di incontro e socializzazione come la scuola rappresentano un elemento sempre più importante per la crescita anche emotiva. Quanto sono importanti questi aspetti?

Sono molto importanti, in realtà noi siamo dotati per definizione di una mente che è interpersonale e che costruisce il proprio benessere esclusivamente nella relazione con gli altri. È molto difficile conquistare la felicità nell’esperienza della solitudine e dell’isolamento. Per qualcuno è possibile, ma è possibile farlo dopo aver avuto un’intensa capacità di stare in mezzo agli altri, ecco che poi può esserci anche la fase della solitudine. Di sicuro in età evolutiva, invece, è fondamentale che i bambini ed i ragazzi socializzino, qua l’aspetto più inaspettato è che per alcuni di loro la scuola è l’unico luogo di socializzazione, cioè un’agenzia educativa in cui si entra, si socializza e si apprende, però all’interno di una cornice che propone un supporto formalizzato alla crescita; c’è poi tutto l’aspetto legato alla dimensione informale del vivere, del crescere, del relazionarsi con gli altri, una dimensione che ha bisogno dei luoghi di aggregazione, di relazionalità informale, di aspetti che non sono addestrativi ma sono esplorativi di esperienze di gioco, che non sono all’interno della logica della struttura di uno sport, per esempio, ma che sono modalità con cui i bambini prima ed i ragazzi poi si mettono in relazione, si intrattengono, passano il tempo, imparano a socializzare, generano relazioni e poi magari entrano dentro i conflitti per poi riparare la relazione, ricostruire l’intesa con l’altro. Tutto questo cantiere della crescita, che poi è il cantiere del saper essere, effettivamente è molto ridotto e tra l’atro la scuola si trova implicitamente ad essere l’unico cantiere in cui queste cose avvengono e possono avvenire, in questo momento è davvero un luogo di importanza cruciale perché oltre a svolgere le proprie funzioni di sostegno alla crescita e all’apprendimento è un vero e proprio luogo di sanità pubblica, nel senso che è quel luogo che tutela e garantisce ancora a bambini e ragazzi di trovarsi insieme ad altri, di compiere quelle funzioni di socializzazione così importanti. Però, riagganciandoci anche alla risposta precedente, noi adulti dobbiamo acquisire nuove consapevolezze rispetto a tutta una serie di bisogni, come la scomparsa dei cortili, la scomparsa dei bambini nei parchi e la scomparsa dei luoghi della città che erano preposti alla socializzazione dei bambini e dei ragazzi. Oggi se gli adolescenti si devono trovare da qualche parte c‘è sempre un biglietto da pagare, una consumazione che viene resa obbligatoria, e tutto questo non fa bene alla crescita.

Ci è stato insegnato di rincorrere sempre la felicità, quando invece il nostro equilibrio emotivo, la nostra omeostasi emotiva, si raggiunge dal giusto bilanciamento delle emozioni contrapposte, come il piacere ed il dolore. Come accettare ed educare anche le emozioni negative?

Direi che intanto essere felici, come dice la domanda, non significa sorridere sempre. La persona felice non è la persona che ha tutto, ma quella che costruisce un equilibrio intorno a quello che ha e a quello che gli accade e la vita accade con tutto il bello e il brutto. L’idea di tenere fuori il brutto dalla vita delle persone è un’idea senza senso, tant’è che poi noi siamo in effetti dotati di sei emozioni primarie di cui quelle che ci procurano fatica e disagio sono doppie rispetto a quelle che ci procurano invece benessere ed agio. Nelle emozioni primarie abbiamo felicità e sorpresa, che sono chiaramente emozioni che da subito ci fanno stare bene, mentre poi abbiamo rabbia, tristezza, paura e disgusto che sono invece emozioni che ci procurano disagio, una fatica che spesso ci procura malessere. Ecco che il tema grande è che essere felici non vuol dire non essere mai tristi, impauriti o arrabbiati, ma vuol dire che quando entro in queste emozioni io so riconoscerle, renderle valide, attribuire ad esse un significato, attraversarle e superarle e non bloccarle e negarle, che è un’operazione impossibile; per cui il giusto bilanciamento è permettere alla vita di accadere in tutte le sue cromature e con tutti i suoi avvenimenti. Quello che serve invece ai nostri figli è renderli capaci e attrezzati per gestire, maneggiare e affrontare tutte le emozioni, quelle belle e quelle brutte. Credo che oggi un limite molto grande dei ragazzi sia che abbiano maneggiato pochissimo le sensazioni e le emozioni che generano fatica, disagio, frustrazione e sono invece molto allenati alla gratificazione istantanea. Questo comporta che una sensazione perturbante, negativa ma di debole entità, possa essere percepita come una cosa enorme, perché va ad inserirsi in un sistema che non ha alcuna abitudine a stare dentro a quel genere di territorio e di questo dobbiamo in qualche modo diventare consapevoli. Credo che la sfida più importante sia quella di rieducare lentamente i ragazzi a rinunciare a quella enorme quantità di stimoli che li portano nel territorio della gratificazione istantanea e permettere a loro di avere esperienze che sono magari più lente, meno eccitanti, meno luccicanti, ma poi molto più capaci di ancorarli al principio di realtà.

Un’ultima domanda. Spesso i genitori sono troppo protettivi nei confronti dei loro figli, questo porta anche ad episodi sgradevoli nei confronti degli insegnanti visti più come dei disturbatori della quiete dei ragazzi. Quanto è importante, invece, il diritto all’errore e l’assunzione delle proprie responsabilità per i più giovani?

È importantissimo e soprattutto diventa sempre più importante quanto più i figli si addentrano nel territorio dell’adolescenza. Un figlio adolescente non dovrebbe mai trovarsi a contatto con un genitore che va a combattere le battaglie e le guerre del figlio. Quello che dovremmo aspettarci è che l’adolescenza è quel tempo in cui un figlio smette di essere dipendente, anche da tutta quella protezione, da quella comfort zone che l’adulto gli mette a disposizione, perché sente che è arrivato il momento della propria vita in cui si attiva lui, combatte lui le proprie battaglie. Questo, tra l’altro, permetterebbe al mondo adulto di generare una mente adulta comune con cui interfacciarsi con chi sta crescendo, perché se sei adolescente e devi combattere le tue battaglie nei confronti del mondo adulto e scopri che in realtà il mondo adulto è in battaglia al proprio interno nella logica di tutelare i tuoi bisogni come se tu fossi un bambino piccolo, ecco che questa roba qua diventa caotica e non è di nessun aiuto a nessuno, né a chi cresce, né a chi deve far crescere. Dentro a questo modello la fragilità dei genitori del terzo millennio è che spesso deve tutelare e difendere il proprio figlio nell’esperienza della sconfitta e dell’errore, quando invece quelle esperienze sono assolutamente necessarie nel percorso di crescita. L’età evolutiva si chiama così perché deve evolvere e per evolvere ha bisogno di fare errori e di apprendere da essi, altrimenti sarebbe un’età già evoluta. Però è anche vero che gli adulti di oggi tollerano pochissimo l’esperienza della caduta, della sconfitta o dell’errore del proprio figlio e questo genera degli enormi corti circuiti in cui poi l’ansia diventa l’emozione dominante, perché è l’ansia dell’adulto che non vuole mai vedere il proprio figlio cadere, fallire o non salire sul podio e chiaramente l’ansia di quel figlio che di fronte a nuove sfide si domanda se sarà all’altezza del compito, ma non se lo domanda in termini di competenze per affrontarlo, se lo domanda già da subito in termini di risultato performance, cioè come dev’essere il mio risultato finale, come dev’essere la mia performance, spostando perciò il focus dei propri sforzi e della propria attenzione sul risultato e non sul percorso, che è il peggiore degli autogol che può avvenire nel contesto di crescita.

di Paola Colombo
da www.avvenite.it
@Riproduzione Riservata del 29 aprile 2024

Il Centro Agape di Reggio Calabria ha avviato un progetto per sostenere donne vittime di violenza, ragazze madri e appartenenti a famiglie di 'ndrangheta, per un aiuto nell'educazione dei figli.-

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Avviato dal Centro Agape di Reggio Calabria un progetto rivolto a dare un aiuto a donne con figli minori che vivono una condizione difficile. Sono le cosiddette madri coraggio, donne di età e situazioni personali diverse, accomunate dal fatto di dovere crescere i figli senza avere un compagno accanto. Donne vittime di violenza, in uscita dai centri di accoglienza, vedove, separate, oppure divorziate o nubili, ragazze madri, donne appartenenti a famiglie di ndrangheta che vorrebbero rompere con il clan di appartenenza, donne che hanno detto no all’aborto accettando coraggiosamente una maternità difficile. Sono volti che raccontano storie di una povertà ancora nascosta, invisibile. Un pianeta complesso e poco conosciuto quello che si rivolge ai servizi sociali o alle associazioni, punta di un iceberg che ha dimensioni ben più vistose. Un numero in crescita anche in Calabria, dove secondo i dati Istat sono circa 30.000 il numero delle madri sole.

Ma al di là dei numeri, che contano relativamente quando si è di fronte a persone, chi sono queste donne? Per Giusi Nuri responsabile del progetto e presidente della Coop Soleinsieme, sono donne coraggiose, perché in contesti difficili, scelgono di portare avanti il ruolo genitoriale senza avere alcuna rete parentale su cui potere contare e senza alcuna sicurezza. Con il problema del lavoro, quando, con fatica, decidono di avviare un percorso di autonomia, qualsiasi sia il loro titolo di studio, (comunque solitamente basso), spesso senza avere avuto una formazione professionale, non trovano altro che attività di badanti, cameriere, donne delle pulizie, commesse nel migliore dei casi, ma quasi tutte soggette a sfruttamento pesante, senza alcuna assicurazione sociale né antinfortunistica.

Un caso a parte è quello delle donne straniere extracomunitarie, ad eccezione del gruppo delle orientali, solitamente integrato all’interno di famiglie come colf, mentre è drammatica la condizioni delle tante donne di origine africana: normalmente si tratta di persone con cultura medio-superiore, talvolta laureate e con conoscenza di numerose lingue, attirate dal miraggio di una vita migliore, e costrette nel migliore dei casi a lavori umilianti, non di rado in forma clandestina, e senza alcuna garanzia assicurativa ed infortunistica.

Ancora peggiore la situazione delle donne che vivono in contesti di ndrangheta, spesso con il compagno detenuto, che vorrebbero rompere con il clan per assicurare un futuro diverso ai loro figli, donne, ma che hanno bisogno di punti di riferimento. Queste donne vanno avvicinate con cautela e delicatezza e orientate dalle associazioni e dai servizi sociali in collaborazione con il Tribunale per i minorenni

Per Mario Nasone, presidente di Agape, altrettanto drammatica, per tutti, è l’esigenza di un alloggio. Difficile trovarlo, anche perché il reddito d’inclusione non rappresenta una garanzia per i proprietari. E nel settore si incontra tanto sfruttamento. Anche per alloggi miseri vengono richiesti fitti esosi e senza alcun contratto.

Per sperimentare un modello d’intervento su queste fasce di povertà, il Centro Agape ha avviato un progetto denominato “Ali della Libertà”, percorsi di autonomia per madri sole con il sostegno della Fondazione per il cambiamento e di ActionAid. L’attività prevede diversi interventi di sostegno e di affiancamento. Agape ha anche attivato un cento di ascolto e di accompagnamento con psicologi, assistenti sociali, legali. Per Daniela Rossi e Alessandra Lo Presti dell’associazione Tra Noi che stanno curando le attività di sensibilizzazione del progetto con parrocchie ed associazioni, è fondamentale l’attivazione di una rete di famiglie solidali e di appoggio a questi nuclei monogenitoriali. Una forma di solidarietà tra famiglie, per sostenere il compito educativo della madre, per aiutarla anche con piccoli gesti a fronteggiare i problemi della vita quotidiana e dell’educazione dei figli. Le famiglie, ma anche singoli volontari, che offriranno la loro disponibilità potranno frequentare alcuni incontri di preparazione. Sono stati già individuati i primi cinque nuclei madre-bambino per i quali sono state già attivati i primi interventi di aiuto.

Per informazioni: centro Comunitario Agape, tel. 0965/894706 o scrivendo a segr.agape@gmail.com

di Mimmo Muolo
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 19 aprile 2024

Francesco ha ricevuto oltre seimila ragazzi provenienti da tutta Italia, chiedendo loro di essere «artigiani» della convivenza pacifica che non è solo assenza di guerra. «Non perdete tempo sui social».-

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Un momento dell'udienza alle Scuole per la pace - ANSA

Il Papa chiama i bambini, i ragazzi e i giovani di oggi a «essere artigiani di pace» e « protagonisti e non spettatori del futuro». Un futuro che non si può costruire da soli ma insieme, ha sottolineato. «Mettersi in rete e fare rete»., Cioè «passare dall'io al noi» e «lavorare per il bene di tutti». In altri termini, ha aggiunto Francesco, si tratta di «essere svegli e non addormentati», dato che l'avvenire «lo si porta avanti lavorando, non dormendo; camminando per le strade, non sdraiati sul divano; usando bene i mezzi informatici, non perdendo tempo sui social; e poi – ascoltate bene – questo tipo di sogno si realizza pregando, cioè insieme con Dio, non con le nostre sole forze». Lo richiede il momento presente in cui «le sfide odierne, e soprattutto i rischi, come nubi oscure, si addensano su di noi minacciando il nostro futuro».

Il Pontefice ha incontrato oltre seimila ragazzi della Rete nazionale delle Scuole per la Pace, promosso dalla "Fondazione Perugiassisi per la cultura della pace", confluiti da tutta Italia a in una affollatissima Aula Paolo VI, colorata da striscioni inneggianti alla pace e al prendersi cura degli altri. Concetti che il Papa ha ribadito anche nel suo discorso, facendo riferimento a queste «due parole-chiave: la pace e la cura. Sono due realtà legate tra loro», ha detto. E poi ha parlato loro di «un sogno collettivo che animi un impegno costante, per affrontare insieme le crisi ambientali, economiche, politiche e sociali che il nostro pianeta sta attraversando». «In questo tempo ancora segnato dalla guerra - ha rimarcato -, vi chiedo di essere artigiani della pace; in una società ancora prigioniera della cultura dello scarto, vi chiedo di essere protagonisti di inclusione; in un mondo attraversato da crisi globali, vi chiedo di essere costruttori di futuro, perché la nostra casa comune diventi luogo di fraternità, di solidarietà e di pace. Vi auguro di essere sempre appassionati di questo sogno».

La pace, ha però spiegato il Vescovo di Roma, «non è soltanto silenzio delle armi e assenza di guerra; è un clima di benevolenza, di fiducia e di amore che può maturare in una società fondata su relazioni di cura, in cui l’individualismo, la distrazione e l’indifferenza cedono il passo alla capacità di prestare attenzione all’altro, di ascoltarlo nei suoi bisogni fondamentali, di curare le sue ferite, di essere per lui o lei strumenti di compassione e di guarigione. Questa è la cura che Gesù ha verso l’umanità - ha quindi sottolineato -, in particolare verso i più fragili, e di cui il Vangelo ci parla spesso. Dal “prendersi cura” reciproco nasce una società inclusiva, fondata sulla pace e sul dialogo». E parlando di pace, il Pontefice ha invitato a pensare ai bambini che sono in guerra, ai bambini Ucraini, ai bambini di Gaza che hanno fame, invitando anche a fare «un piccolo silenzio in cui ognuno di noi pensa a questi bambini».

Il Papa ha poi ringraziato i ragazzi presenti «perché con passione e generosità vi impegnate a lavorare nel “cantiere del futuro”, vincendo la tentazione di una vita appiattita soltanto sull’oggi, che rischia di perdere la capacità di sognare in grande. Oggi più che mai, invece - ha detto Francesco -, c’è bisogno di vivere con responsabilità, allargando gli orizzonti, guardando avanti e seminando giorno per giorno quei semi di pace che domani potranno germogliare e portare frutto». L'appuntamento da tenere presente è quello del Summit del Futuro, convocato a New York dall’ONU per affrontare le grandi sfide globali di questo momento storico e firmare un “Patto per il Futuro” e una “Dichiarazione sulle generazioni future”. «Si tratta di un evento importante, e c’è bisogno anche del vostro contributo perché non rimanga soltanto “sulla carta”, ma diventi concreto e si realizzi attraverso percorsi e azioni di cambiamento».

L'augurio finale del Papa - che poi è sceso tra i ragazzi, pur spostandosi sulla carrozzella, stringendo mani e distribuendo sorrisi, carezze e incoraggiamenti - è che «vi stia sempre a cuore la sorte del nostro pianeta e dei vostri simili; vi stia a cuore il futuro che si apre davanti a noi, perché possa essere davvero come Dio lo sogna per tutti: un futuro di pace e di bellezza per l’umanità intera».

All'incontro con il Papa hanno preso parte 137 scuole della pace provenienti da 94 città. Erano presenti tra gli altri Flavio Lotti, presidente della Fondazione, e padre Enzo Fortunato, che ha ricordato l'appuntamento della Giornata mondiale dei bambini il 25 e 26 maggio prossimi. Canti e testimonianze si sono alternati durante tutta la mattinata. E alla fine i seimila hanno intonato "Non abbiamo paura, we are not afraid". Un proposito di pace anche questo.

di Antonella Mariani, Milano 
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 23 aprile 2024

Viaggio nella struttura più attiva del capoluogo lombardo, da sempre al lavoro in stretta collaborazione con l'ospedale: «Nessuno molesta o fa terrorismo. Le volontarie? Semplicemente ascoltano».-

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Un colloquio al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli di Milano - Cav Mangiagalli

In un talk televisivo qualche sera fa sono state definite “molestatrici” e “terroriste”: psicologiche, s’intende. Un’immagine in cui loro, le operatrici del Centro di aiuto alla vita (Cav) della Mangiagalli di Milano non si riconoscono affatto. Non c’è un clima di scontro tra abortisti e “pro-life”, al Policlinico, uno dei due ospedali in cui nascono più bambini in Italia: 6mila l’anno. Sul numero degli aborti invece non si hanno dati.
Salendo con l’ascensore fino al terzo piano della scala B, dove si trova il Cav, si è aiutati a raggiungere la sede dalle targhette che dettagliano la strada. Non una presenza clandestina, dunque. Anzi, a volere il Centro nella struttura fu quarant’anni fa un medico non obiettore, Giorgio Pardi. Una presenza poi confermata e, a quanto si dice, apprezzata dal direttore da poco andato in pensione, Enrico Ferrazzi, anche lui non obiettore. «Con Pardi c’era un accordo non scritto: le donne incinte che segnalavano difficoltà venivano mandate al Cav», esordisce la direttrice Soemia Sibillo, 48 anni, due figli, una laurea in Giurisprudenza e una “prima vita” nel campo della comunicazione e del giornalismo.

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Il cartello dentro la Clinica Mangiagalli che indirizza al Cav - A.Ma.

Soemia, che deve il nome a una passione del nonno materno per gli studi antichi, è “figlia d’anima” della storica fondatrice del Cav Mangiagalli, la vulcanica Paola Bonzi, scomparsa nel 2019, protagonista di epici duelli amore-odio con la primaria Alessandra Kustermann, che pure nei giorni scorsi ha rilasciato un’intervista in cui suggerisce di mettere «paletti invalicabili ai Cav». «Ci ha sorpreso, sì, un po’ amareggiato questo tiro al piccione sugli operatori in aiuto della vita. Noi non facciamo lavaggi del cervello. Non cerchiamo di convincere le donne con tecniche manipolatorie. Non facciamo sentire il battito fetale né usiamo parole come “omicidio”. Siamo laici per statuto, accogliamo donne provenienti da tutto il mondo e appartenenti a tutte le religioni. Ascoltiamo e proponiamo un aiuto. Ecco tutto».

L’emendamento proposto da Fratelli d’Italia, che suggerisce alle Regioni la possibilità di «avvalersi di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità», per Soemia e le altre non aggiunge nulla di nuovo a ciò che già oggi accade. «Tanto clamore per nulla. È un testo che richiama e sottolinea quanto già stabilito dalla legge 194». Centri di Aiuto alla Vita del resto sono già presenti in numerosi ospedali italiani: quattro in Piemonte, uno in Sardegna, uno in Friuli-Venezia Giulia, tre in Sicilia, uno in Liguria, dove esistono anche tre convenzioni con le Asl. A Castrovillari, in Calabria, la convenzione con l’ospedale è ventennale. 
In Lombardia, oltre alla Mangiagalli, c’è un Cav all’ospedale di Vimercate e al Buzzi di Milano.

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Un ritratto di Soemia Sibillo nelle stanze del Cav Mangiagalli di Milano - A.Ma.

«Arrivano donne e ragazze che hanno avuto il nostro recapito da medici di famiglia, infermiere e ginecologi, perfino da operatori dei consultori pubblici», racconta Antonella Cazzadore, la consulente familiare ed educatrice professionale che da 21 anni si occupa del colloquio con le donne nel primo trimestre di gravidanza (oltre 20 al mese), previsto dalla legge, che può sfociare nella decisione di abortire oppure di tenere il bambino.

Nel suo studio, come in tutto il Cav Mangiagalli, non ci sono slogan minatori, né pupazzi di gomma a forma di feti. L’ambiente è accogliente, intimo, con divani e cuscini e tisane.

«Gli assistenti sociali dei Comuni ci mandano ragazze incinte buttate fuori casa dai genitori e ci chiedono se abbiamo un alloggio di emergenza. Loro sono spaventate, assalite dai dubbi. Pensano di non poter diventare madri, ma vorrebbero tenere il bambino – racconta Antonella Cazzadore –. Oggi (ieri, ndr) ho svolto un colloquio con una ragazza incerta se proseguire la gravidanza perché è ancora in prova, teme che non le confermino il contratto. Per la prima volta, con noi, ha pensato di potercela fare». Eppure, secondo il dettato della legge 194, sono i consultori pubblici a dover contribuire «a rimuovere le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione di gravidanza». Ma non sempre – quasi mai – ne hanno le risorse o la possibilità.

Il Cav di Milano, che vive di donazioni e lasciti testamentari, dispone di una rete di alloggi disponibili per i casi più difficili o le emergenze e può proporre alle donne (e ai loro compagni) un Progetto lavoro di formazione o riqualificazione in collaborazione con la Fondazione Gi Group. I detrattori (in malafede) accusano i Cav di «intercettare le donne e offrire loro un po’ di soldi perché tengano il figlio» (sic).

«In realtà l’aiuto economico che noi possiamo dare è limitato. Se ci sono i requisiti, cerchiamo di attivare un Progetto Gemma (un sostegno economico mensile per 18 mesi, ndr); più spesso ci impegniamo a pagare le bollette, gli affitti arretrati, forniamo pannolini e buoni spesa, vestititi e latte in polvere, tiralatte e carrozzine», racconta Soemia Sibillo.

Quello che dovrebbe fare lo Stato, insomma, lo fa il Cav; infermieri, medici, operatori sociali lo sanno, e per questo indirizzano lì le donne e le ragazze che esprimono dubbi o incertezze sull’aborto. «Arrivano da noi anche con il certificato di Ivg in mano, ma non sono convinte. Noi le ascoltiamo, costruiamo insieme un progetto di aiuto. Facciamo in modo che il colloquio resti nel loro cuore come una relazione autentica. Siamo rispettose della loro libertà: se non tornano non le richiamiamo. Ma alla maggior parte è sufficiente sentirsi ascoltate, prese in carico da professionisti attenti e sensibili».

Sì, professionisti: perché i 10 dipendenti del Cav Mangiagalli e i 17 medici e operatori che operano anche nel vicino consultorio privato accreditato dal 2000 dalla Regione Lombardia (rimborso di 17,90 euro per una visita ostetrica, di 31,90 euro per il colloquio con lo psicologo, gratis per le pazienti) sono tutti qualificati.
Ginecologi, psicologi, ostetriche, assistenti familiari, educatori: alcuni prestano consulenza a titolo volontario, altri sono retribuiti dallo stesso Cav per assicurare la presenza ogni giorno. Sessanta volontari su più turni assicurano la distribuzione degli aiuti. Così nel 2023 il Cav Mangiagalli ha supportato 1.445 donne, in maggioranza straniere. I bimbi nati dal 1984 a oggi sono 25.661. Uno di loro è un “parto segreto”: il terzo figlio di una italiana che si sentiva troppo povera per allevarlo. L’ha fatto nascere, ed è una bella notizia. Il bambino è andato in adozione. «Però ci si dovrebbe interrogare – conclude Sibillo –: dov’è l’autodeterminazione della donna, dov'è la possibilità di crescere i propri figli, quando lo Stato non aiuta a prendere una decisione davvero libera?». Già, dov'è?

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di Roberta Raviolo
da www.bimbisaniebelli.it
@Riproduzione Riservata del 19 aprile 2024

Luoghi divertenti, pensati espressamente per i più piccoli e che offrono molti vantaggi per la crescita cognitiva e l’apertura mentale. Vediamo le motivazioni e parliamo dell'iniziativa " Un, due, tre...Musei" di Regione Lombardia che regala l'abbonamento ai musei per famiglie e bambini.-

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musei per bambini sono una parte importante dell’offerta culturale del nostro Paese. Inoltre sono un insostituibile strumento di crescita e di apertura sociale per i più piccoli. Stimolano la curiosità e lo spirito di osservazione, favoriscono la maturazione cognitiva, educano al bello e al rispetto del patrimonio comune. Per questo è importante frequentare i musei per bambini fin dai primi anni di vita dei piccoli, scegliendo i percorsi più adatti, cercando di coinvolgerli senza forzarli e approfittando delle iniziative che nascono per avvicinare i più piccoli alla cultura. Vediamo come.

Musei per i bambini, un’esperienza di crescita

L’Italia è una nazione dove la bellezza è a cielo aperto, grazie al suo passato di storia e cultura. In quasi ogni cittadina sono presenti monumenti, chiese ricche di opere d’arte, siti archeologici. Nel nostro Paese esistono anche molti musei per bambini da visitare con tutta la famiglia. È un’esperienza consigliabile a tutti perché si tratta di un’opportunità comunque positiva. Perché portare i bimbi al museo?

  • Le visite al museo rappresentano un’occasione culturale che aumenta e integra l’offerta didattica esclusivamente scolastica. I piccoli capiscono che il concetto di “apprendere” può esplicarsi anche al di fuori delle mura scolastiche, in modo vivo e coinvolgente.
  • I bambini sono spontaneamente abituati alla bellezza, tanto è vero che sono attratti da un paesaggio, da un cucciolo, da un fiore. In un museo dedicato a loro o in un antico castello i bambini ritrovano tutto questo in una dimensione nuova, di carattere ludico-ricreativo, spesso multisensoriale per la possibilità di vedere, ascoltare, interagire con supporti tecnologici.
  • Andare in un museo per bambini è anche un momento di coesione, che appiana le differenze sociali tra i piccoli perché si rivolge a tutti indistintamente. Abbatte le barriere e contrasta la povertà culturale, abituando fin dall’infanzia all’apertura mentale e all’accoglienza.
  • Il personale dedicato a mostre, esposizioni e musei per bambini è specificamente formato per porsi in modo comprensibile e accattivante, stimolando la curiosità dei più piccoli e spingendoli quindi a fare domande, ad approfondire un tema, a sviluppare gusti e interessi personali.

Come coinvolgere i bambini in una visita al museo

Una visita al museo è sempre un modo intelligente di trascorrere tempo di qualità con i propri figli, anche in giornate di pioggia, come alternativa al gioco in casa, al cinema o agli spettacoli teatrali pensati per i bambini. Non sempre, però, i piccoli si mostrano entusiasti all’idea di andare a visitarne uno. Spesso infatti si immagina il museo come un luogo noioso, in cui si è costretti a stare immobili trattenendo la propria vitalità. Ecco come fare per prepararli a una visita davvero indimenticabile.

Aspettare l’età giusta

E’ bene scegliere l’età giusta per portare il piccolo al museo. In teoria, ci si può andare anche con un neonato, ma è solo dai 4-5 anni in poi che i bimbi iniziano ad avere una sufficiente maturità cognitiva, una minima capacità di concentrazione e uno spirito di osservazione abbastanza sviluppato per cogliere le informazioni che gli vengono proposte. Andarci quando sono molto piccoli però aiuta loro ad allenarsi alla curiosità e abituarsi a frequentarli.

Invitare qualche amico

Se il bambino si mostra poco interessato, si può proporre una visita di gruppo, con qualche compagno di scuola e un paio di genitori. In questo modo il piccolo si sentirà maggiormente coinvolto e vivrà questa esperienza con più curiosità.

Stimolare il suo interesse

È consigliabile stimolare la sua fantasia cercando sui libri o in rete immagini e informazioni in tema con il museo che si andrà a visitare. Se, per esempio, si pensa di andare a visitare un museo di storia naturale, può essere divertente cercare con il bambino immagini e notizie di dinosauri, animali preistorici, rettili estinti e così via. Una volta nelle sale, sarà divertente cercarli nelle teche e nelle riproduzioni.

Scegliere il tema adatto

Anche l’approccio al museo è importante e può condizionare il rapporto del piccolo con questo tipo di istituzioni. Per questa ragione è bene scegliere proprio un museo dedicato specificatamente ai più piccoli o, al limite, qualcosa che possa stimolare la sua fantasia. Un’esposizione di quadri antichi è davvero troppo seria, mentre un castello medioevale può essere lo sfondo di racconti fantastici e una mostra di arte astratta può rivelarsi colorata e coinvolgente.

Un’iniziativa per i bambini in Lombardia e Valle d’Aosta

Proprio pensando ai bambini e alle famiglie il progetto «Un, due, tre…Musei!», nato dalla collaborazione tra Regione Lombardia, Associazione Abbonamento Musei e Oratori diocesi lombardo, vuole favorire l’avvicinamento di bambini e ragazzi al mondo della cultura. Dopo la pandemia infatti si è verificato un brusco calo delle visite ai musei, e per questo motivo si vuole rendere l’accesso alla portata di tutti.

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Circa 8000 nuclei famigliari riceveranno un abbonamento annuale gratuito valido in 249 musei tra Lombardia e Valle d’Aosta, con la possibilità quindi di visitare luoghi unici come la Pinacoteca di Brera, il museo della carta di Toscolano Maderno vicino a Brescia, il Palazzo Te a Mantova, il Forte di Bard in Val d’Aosta e molti altri luoghi unici che apriranno gratuitamente le porte a bambini e ragazzi tra i 6 e i 13 anni che frequentano gli oratori coinvolti nell’iniziativa. 
La tessera gratuita sarà annuale per i giovanissimi, mentre quella dell’accompagnatore adulto avrà validità bi-mensile e potrà essere estesa a un anno a prezzo agevolato. Si tratta di una iniziativa importante che potrà dare origine ad altri eventi dello stesso genere in tutta Italia e valida da aprile a fine dicembre 2024.

In breve

I musei per i bambini sono veri e propri mondi da scoprire, pensati espressamente per i piccoli dai 4-5 anni in poi: stimolano l’apertura mentale, aiutano a sviluppare il gusto personale, abbattono le barriere sociali e culturali. In Italia, oltre ai numerosi musei dedicati ai bambini, continuano a nascere iniziative che favoriscono l’avvicinamento dei più piccoli alla cultura, come il progetto “Un, due, tre…Musei!” della Regione Lombardia.

di Antonella Palermo - Città del Vaticano
da www.vaticannews.va/it
@Riproduzione Riservata del 21 aprile 2024

Nella Domenica dedicata a Gesù Buon Pastore, al Regina Caeli Francesco si sofferma sul senso del "dare la vita" per le proprie pecore. Il Pontefice insiste sul fatto che, per Cristo, ciascuno è insostituibile e non si tratta solo di un modo di dire. "Quante volte si finisce per buttarsi via per cose da poco!", osserva, invitando a mettersi alla presenza di Gesù e lasciarsi accogliere da Lui.-

Non determinare la propria autostima sulla base del giudizio altrui o degli obiettivi che si riesce a raggiungere, ma considerando l'amore di Dio per ciascuno, riscoperto ogni giorno mettendosi alla sua presenza. È quanto ricorda Papa Francesco nella catechesi del Regina Caeli della quarta domenica di Pasqua dedicata al Buon Pastore

Il Buon pastore sacrifica la vita

Per tre volte nel Vangelo di Giovanni al capitolo 10 si ripete che il pastore dà la propria vita per le pecore. "Gesù - spiega il Papa - non è solo un bravo pastore che condivide la vita del gregge; è il Buon Pastore, che per noi ha sacrificato la vita e, risorto, ci ha dato il suo Spirito". La precisazione riguarda il contesto storico del tempo del Messia:

Essere pastore, specialmente al tempo di Cristo, non era solo un mestiere, era tutta una vita: non si trattava di avere un’occupazione a tempo, ma di condividere le intere giornate, e pure le nottate, con le pecore, di vivere in simbiosi con loro. Gesù infatti spiega di non essere un mercenario, a cui non importa delle pecore (cfr v. 13), ma colui che le conosce (cfr v. 14). Lui conosce le pecore. È così: Lui ci conosce, ognuno di noi, ci chiama per nome e, quando ci smarriamo, ci cerca finché ci ritrova (cfr Lc 15,4-5).

L'amore di Gesù non è uno slogan

Gesù non è solo la guida, dunque, il Capo del gregge, ma soprattutto è chi pensa a ciascuno di noi come all’amore della sua vita. Così precisa ancora Francesco che aggiunge:

Pensiamo a questo: io per Cristo sono importante, lui mi pensa, sono insostituibile, valgo il prezzo infinito della sua vita. Non è un modo di dire: Lui ha dato veramente la vita per me, è morto e risorto per me, perché mi ama e trova in me una bellezza che io spesso non vedo.

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Piazza san Pietro al Regina Caeli

Lasciarsi accogliere dal Padre

La preoccupazione del Papa va a quelle persone, tante, che oggi si ritengono inadeguate o persino sbagliate. "Quante volte si pensa che il nostro valore dipenda dagli obiettivi che riusciamo a raggiungere, dal successo agli occhi del mondo, dai giudizi degli altri!", esclama il Pontefice. "Quante volte si finisce per buttarsi via per cose da poco!". E poi l'invito, per riscoprire il segreto della vita, a dedicare ogni giorno un tempo alla preghiera, a lasciarsi guardare con lo sguardo amorevole di Dio, nella raccomandazione a Maria affinché "ci aiuti a trovare in Gesù l’essenziale per vivere":

Oggi Gesù ci dice che noi per Lui valiamo tanto e sempre. E allora, per ritrovare noi stessi, la prima cosa da fare è metterci alla sua presenza, lasciarci accogliere e sollevare dalle braccia amorevoli del nostro Buon Pastore.

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Alcuni dei fedeli in piazza per ascoltare il Regina Caeli del Papa

da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 16 aprile 2024

Più di 1 italiano su 4 afferma che il suo benessere psichico è peggiorato negli ultimi 3 anni e il 49% di chi ha fatto ricorso alla psicoterapia ha dovuto interrompere o ridurre le sedute per insostenibilità economica. Questo perché il servizio sanitario pubblico garantisce solo 2,38 psicologi per ogni 100.000 abitanti. Ma la salute mentale va di pari passo a quella fisica e occorre garantire a tutti la possibilità di essere aiutati.-

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Il numero di psicologi attivi nel Sistema Sanitario Nazionale è molto inferiore rispetto alle necessità espresse dalla popolazione italiana. Con 2,38 psicologi ogni 100mila abitanti nei consultori e 2,2 psicologi ogni 100mila abitanti negli ospedali pubblici, siamo molto lontani dall’avere 1 psicologo ogni 1.500 abitanti, rapporto che numerosi studi di settore indicano come necessario. In Italia le attività psicologiche e psicoterapeutiche, soprattutto quelle dedicate all’infanzia e all’adolescenza sono trattate come un bene di lusso e non sono ritenute essenziali. 

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Damiano Rizzi, fondatore e Presidente di Fondazione Soleterre
Per questo la Fondazione Soleterre, che si batte da oltre 22 anni affinché il diritto alla salute sia effettivamente riconosciuto ed esercitato e non un privilegio per pochi, lancia una campagna affinché sia inserito uno psicologo in ogni reparto ospedaliero italiano, con borsa di studio o specializzazione annuale, finalizzata nel lungo termine alla strutturazione a tempo indeterminato da parte del Sistema Sanitario Nazionale.
Questo tipo di ingaggio permette una presa in carico dei pazienti nel tempo, stabile e continuativa, condizione necessaria per una vera cura del paziente. I numeri purtroppo parlano chiaro, è in corso una vera e propria emergenza psicologica, che riguarda soprattutto il disagio emotivo dei giovani. In Italia 6 bambini su 10 sotto i sei anni e 7 su 10 sopra i sei anni mostrano problemi psico-comportamentali, con il rischio di sviluppare disturbi più severi tre volte maggiore rispetto al pre-pandemia; il 50% delle patologie psichiatriche esordisce prima dei 14 anni e il suicidio è la seconda causa di morte in Italia nei giovani tra i 15 e i 24 anni, preceduta solo da incidenti stradali. Inoltre, il 36% degli adolescenti afferma di sentirsi triste (campione intervistato da Soleterre-EMG Different nel 2021) e il 17,3% degli adolescenti pensa che sarebbe meglio morire o di volersi fare del male quasi ogni giorno o più della metà dei giorni (campione intervistato da Soleterre-EMG Different nel 2021). 
Più di 1 italiano su 4 afferma che il suo benessere psichico è peggiorato negli ultimi 3 anni e il 49% di chi ha fatto ricorso alla psicoterapia ha dovuto interrompere o ridurre le sedute per insostenibilità economica. In caso di malattia oncologica, solo 1 adulto su 5 riceve aiuto psicologico. Il numero di psicologi ospedalieri è scarso e la maggioranza dei servizi psiconcologici in ambito ospedaliero risulta affidata a professionisti precari, con contratti rinnovati di anno in anno o con borse di studio supportate dal Terzo Settore. Ad esempio, su 82 psicologi presenti nelle oncologie pediatriche italiane, solo il 28% ha un contratto di lavoro indeterminato. Questa tendenza pesa ovviamente sia sulla qualità di vita dei professionisti, sia sulla possibilità di garantire percorsi stabili ai pazienti e alle loro famiglie. 
Tutto questo interessa in maniera significativa anche la lotta al cancro infantile: il supporto psicologico è metà della cura. È provato che a un maggior benessere mentale corrispondano tassi di guarigione più alti.

Per questa ragione Soleterre ha creato una rete di supporto psicologico alle famiglie con bambini malati di cancro e con patologie croniche affinché nessun bambino malato debba essere lasciato solo. È fondamentale, tuttavia, un impegno pubblico perché all’interno degli ospedali sia garantito a pazienti e famiglie il supporto di professionisti della salute mentale per ridurre l’impatto del tumore e delle malattie croniche in età evolutiva. La rete sarà necessaria fino a che non verranno strutturati gli psicologici in tutti i reparti pediatrici italiani e non vi sarà accesso gratuito ai servizi di supporto psicologico territoriali. Per raggiungere questi obiettivi sono necessari importanti investimenti a livello nazionale poiché a oggi l’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa per quota di spesa sanitaria dedicata alla salute mentale con risorse particolarmente carenti per i servizi ospedalieri e territoriali di neuropsichiatria infantile che in questi anni si trovano ad affrontare una vera emergenza (Fonte SINPIA Società italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza). Nello specifico, Soleterre chiede quindi che sia realizzato un programma di investimenti per portare la spesa in servizi ospedalieri e territoriali di neuropsichiatria infantile dal 3,4% attuale al 10% della spesa sanitaria complessiva.
«Nel corso del 2024 abbiamo ricordato Franco Basaglia, ci rattrista vedere quanto stiamo arretrando in termini di politiche pubbliche sanitarie rispetto alle sue intuizioni. » afferma Damiano Rizzi, fondatore e Presidente di Fondazione Soleterre. «Lo psicologo è fondamentale anche nella cura del cancro infantile. È provato che a un maggior benessere mentale corrispondano tassi di guarigione più alti. Crediamo non possa esserci salute senza salute mentale e non è più accettabile che nelle diverse situazioni di bisogno occorra pagare per accedere al supporto psicologico, è una chiara e gravissima violazione dell’articolo 32 della nostra Costituzione» conclude Rizzi. 
Grazie al supporto informativo da Rai Per la Sostenibilità – ESG, dal 15 al 21 aprile 2024 sarà inoltre trasmessa, attraverso i canali editoriali RAI, la nuova campagna SMS di Fondazione Soleterre “Una rete nazionale di supporto psicologico alle famiglie con bambini malati di cancro. Nessun bambino malato di cancro deve essere lasciato solo” per finanziare borse di studio/specializzazione per giovani psicologi all’interno dei reparti di oncologia pediatrica, con l’obiettivo di arrivare nel lungo periodo alla loro strutturazione a tempo indeterminato da parte del SSN. Un primo passo, questo, per affrontare la questione a livello nazionale e portarla nel dibattito pubblico e all’attenzione dei decisori politici.

di Marina Casini, Presidente del Movimento per la vita
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 18 aprile 2024

Riconoscere i diritti del nascituro è la prima tappa per realizzare una comunità davvero civile (di Marina Casini).-

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Le donne hanno il diritto di essere libere di accogliere i propri figli, di trovare una mano tesa se hanno difficoltà: hanno il diritto di non abortire. La soluzione con cui il Parlamento Europeo ha chiesto l’introduzione nella carta dei diritti fondamentali dell’UE il diritto di aborto ignora tutto questo rendendo la donna vittima insieme a suo figlio e calpesta molto altro giustizia, progresso, pace solidarietà, inclusività, giustizia, senso dell’Europa come organizzazione politica – perché riconoscere uno di noi in colui che conta di meno è il primo passo per realizzare una comunità davvero civile.
Tecnicamente le risoluzioni non sono vincolanti per gli Stati, ma hanno un forte potere culturale e politico specialmente se presentate come “conquiste” dai mezzi d’informazione. I sostenitori della risoluzione affermano che il “diritto di abortire” non impone obblighi, ma serve solo ad assicurare che la scelta di abortire non abbia ostacoli. In realtà non è così.

Sancire il “diritto di aborto” significa debilitare le motivazioni, le ragioni e le risorse dell’accoglienza di un nuovo essere umano e dell’aiuto alla sua mamma in difficoltà; bandire l’obiezione di coscienza; negare cittadinanza alle associazioni che operano a favore della vita nascente e della maternità durante la gravidanza; marcare il varco da cui passano o si rafforzano tutte le altre violazioni dell’uomo; distruggere la sorgente di ogni solidarietà; in definitiva significa legittimare senza scrupoli logiche di violenza. “Che cosa ci resta” si chiedeva Madre Teresa, grande donna e grande santa, se la società permette a una madre di sopprimere il bimbo nel suo seno?
E’ chiaro che non è un giudizio sulle donne, ma su una mentalità insana. Bisogna dunque cercare di fare un salto di civiltà uscendo dai paradigmi dogmatici dei falsi diritti. Logicamente e cronologicamente il più fondamenta di tutti i diritti è il diritto alla vita che nel caso di specie si declina come diritto a nascere. Ma il vero problema non è tanto affermare che esiste il diritto alla vita quanto riconoscere che fin dal concepimento c’è un essere umano il cui valore, chiamato dignità, è uguale a quello di tutti gli altri. Se il bambino concepito non viene riconosciuto come uno di noi, è chiaro che on è considerato tra i titolari del diritto alla vita.
Se non è chiaro che l’uomo è sempre uomo dal concepimento, che dire “persona” è come dire “essere umano”, che la dignità umana è uguale per tutti, allora tutti i diritti crollano o peggio diventano un campo di battaglia a favore dei più forti a danno dei più deboli. La posta in gioco è enorme perché il diritto a nascere è la “pietra di paragone”, la “cartina di tornasole”, il “sigillo di autenticità” di ogni altro impegno a servizio dell’uomo, della donna, della società.
Per questo vale la pena impegnarsi tutti insieme.

da www.vogheranews.it
@@Riproduzione Riservata del 17 aprile 2024

VOGHERA – Per gli amanti del trekking dal 28 al 31 maggio è possibile partecipare alla traversata della Via del Sale. Per gli interessati il ritrovo è alla Stazione FS di Voghera.

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La partenza sarà invece da Castellaro o da Colle Seppa. Le tre tappe saranno, Capanne di Cosola, Torriglia e Uscio, con arrivo a San Fruttuoso e partenza con il battello alla volta di Camogli.
Il rientro a Voghera in treno nella serata del 4° giorno.

La gita prevede 3 pernottamenti a mezza pensione in albergo o B&B; e il trasporto di piccolo bagaglio personale con auto al seguito. Le prenotazioni vanno fatte entro il 20 aprile 2024.
Per informazioni più dettagliate: scrivere o telefonare a Mario Panizza (mario.panizza@libero.it tel. 3917302479) accompagnatore ambientale escursionistico professionale.

da www.vogheranews.it
@Riproduzione Riservata del 18 aprile 2024

VOGHERA – Per il 160° anniversario del Collaudo definitivo della Caserma di cavalleria, nel fine settimana in città si terrà una tre giorni culturale in onore del monumento vogherese.

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A seguire il programma

VENERDÌ 19 APRILE 2024
Mattinata riservata alle scuole.
Conversazione sulla caserma di cavalleria e visita guidata all’ex quartiere militare a cura di Pier Vittorio Chierico

SABATO 20 APRILE 2024

ore 16:00
Presso la sala conferenze del Museo Storico G. Beccari via Gramsci 1/bis a Voghera, la presentazione del libro “Voghera, soldati a cavallo Storia di una caserma e dei suoi reggimenti” di Pier Vittorio Chierico.

DOMENICA 21 APRILE 2024

ore 15:30 – 18:00
Le uniformi dei soldati a cavallo di guamigione a Voghera.
Mostra delle opere a tempera di Tino Vescovo della collezione conservata presso il Museo Storico Beccari
(visitabile anche venerdì mattina e sabato pomeriggio).
ore 16:00
Conversazione sulla caserma di cavalleria e visita guidata all’ex quartiere militare a cura di Pier Vittorio Chierico

CAV Voghera

L'Associazione Vogherese di volontariato, che aiuta gratuitamente la donna in difficoltà ad accogliere la vita, superando le difficoltà.

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