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CAV - Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese ODV

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di Tommaso Scandroglio
da www.lanuovabq.it
@Riproduzione Riservata del 03 maggio 2024

La Madonna è un'icona controcorrente di fronte alla "donna in carriera" che rifiuta la maternità o alla "mamma eterodiretta" che cede ai ricatti del figlio. Modelli dominanti che hanno finito tuttavia per sminuire la femminilità.-

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Maggio mese mariano per eccellenza. Cogliamo l’occasione per un confronto, secondo alcuni criteri, tra la donna incarnata dalla beata Vergine e la tipologia di donna disegnata dai media, dagli influencer, dai social, insomma dalla vulgata corrente. Maria e le altre, potremmo intitolare questo confronto.

Primo criterio: i figli. Maria ha detto sì alla vita, sì a suo figlio Gesù. È stata accogliente, fiduciosa, sebbene intimorita dall’annuncio di una possibile maternità, “turbata” ci racconta il Vangelo. Una nuova vita entusiasma ed insieme spaventa. L’ha vinta la fede in Dio: ha costretto le sue paure a fare un passo indietro ed ha anteposto la volontà divina. Non ha messo lei al primo posto, bensì la vita. E dunque da sempre Maria rappresenta l’icona della maternità, la madre per antonomasia.
La donna postmoderna invece mette lei al centro, viene prima lei del figlio. Doveroso anteporre la propria realizzazione sociale, economica, formativa e poi, quando tutto è pronto ed hai un bell’anta di anni, semmai cercare un figlio, necessariamente in provetta perché l’orologio biologico ad un certo punto esaurisce la carica. E se costei decide di abortire vuol dire che ha fatto una scelta libera, consapevole, che esprime tutta la sua forza perché, si sa, l’aborto è un dramma. La donna che troviamo nelle pagine delle riviste come Cosmopolitan o Io Donna è quella aperta alla vita altrui solo se utile a realizzare la propria.

Secondo criterio: il rapporto con i figli. Maria interpretava il ruolo di genitore con autorità, sebbene avesse un figlio tanto speciale che di mestiere faceva Dio. Quando a dodici anni Gesù scomparve nella carovana per poi ritrovarlo a Gerusalemme, Maria lo rimproverò. Questi «stava loro sottomesso», a significare che Maria e Giuseppe vivevano appieno l’autorità di genitori. La mamma di Gesù poi di certo lo comandava, perché, seppur Dio, rimaneva sempre suo figlio. Tutti ricordano infatti le nozze di Cana. Leggiamo con attenzione il Vangelo di Giovanni: «venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù rispose: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. La madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”» (Gv 2, 3-5). Gesù fa presente che non è ancora venuto il momento della sua epifania pubblica e Maria fa finta di non sentire e va per la sua strada, che è quella del figlio. Rimane, cioè, rispettosissima della volontà del figlio: come infatti si può contestare la frase “Fate quello che vi dirà”? Si può forse obiettare che è sbagliato assecondare la volontà di Cristo? Ma così facendo fa anche la sua di volontà. Le astuzie femminili.
Le mamme di oggi sono assai spesso eterodirette dai capricci dei figli, li assecondano non di rado in tutto, si trasformano in zerbini viventi, prendono le loro difese a scuola anche quando sono indifendibili, li divinizzano anche se non sono Gesù, mancano di autorità e nerbo perché temono che il figlio, di fronte ad un loro rifiuto, non voglia più bene a loro. Cedono quindi facilmente a ricatti emotivi più o meno consci, più o meno espliciti.

Terzo criterio: il carattere. Maria è pura. Le “altre” fanno a gara per mercificarsi su Instagram, Facebook, TikTok, Only Fans che diventano l’Amazon dei corpi femminili. Maria è umile: il Signore «ha guardato l'umiltà della sua serva», ci rammenta il Magnificat. L’umiltà oggi è derisa: la donna deve farsi valere, primeggiare, essere dura, tosta, quasi un uomo, indipendente da tutto e da tutti, tanto emancipata da rimanere sola. La singletudine è uno status tanto sbandierato, quanto vissuto con amarezza nei 40 mq del proprio monolocale. Tutte bastano a se stesse e l’unica compagnia è una desolante solitudine che poi nei social trascende in un narcisismo consolatorio e un cinismo compensativo.

Maria poi ha amato il nascondimento: non ha fondato associazioni, fondazioni, chiese particolari, non ha scritto il quinto vangelo (o il primo per ordine di importanza). I Vangeli, a ben guardare, le dedicano solo qualche paginetta e poi, una volta che il figlio è asceso al Cielo, non ne abbiamo più notizia. E questo, secondo la teologia cattolica, per la più grande creatura dell’universo mai esistita e che mai esisterà.
Di contro, nel percepito comune proprio della nostra contemporaneità, la donna per essere tale deve apparire, riuscire, farcela, brillare. Le donne in carriera equivalgono a donne realizzate, risolte, come si dice oggi presumendo che si nasca problematiche. Le lauree in discipline con nomi sempre più lunghi, i master in università doverosamente straniere, le aziende fondate o dirette, viaggiare in business, essere nel gotha dei clienti top di qualche banca svizzera, sono ingredienti indispensabili per affermarsi come donne.
Nell’Ave Maria si chiede alla Madonna di pregare ora e nell’ora della nostra morte.
Oggi assistiamo alla morte della femminilità e della maternità. E dunque, mamma del Cielo, prega per noi.

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di Annachiara Valle

Il Pontefice invita le nuove generazioni a essere creative, non professioniste del digitare compulsivo.-

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Un incontro per cui «anche il sole sorride». Papa Francesco incontra migliaia di giovani del Triveneto e li esorta ad alzarsi e ad andare. Glielo fa ripetere più volte: «Alzati e vai», spronandoli a «dipingere di Vangelo le strade della vita».  Davanti alla basilica della Madonna della salute, Francesco parla del digitale e dei telefonini, che sono utili per comunicare, ma che non sono tutto. E ricorda che «Per Dio non sei un profilo digitale, ma un figlio, che hai un Padre nei cieli e che dunque sei figlio del cielo».

Francesco parte proprio da questi due verbi, «alzarsi e andare», verbi «pratici perché materni», come quelli che spinsero Maria - «si alzò e andò», ricorda il Vangelo di Luca – ad aiutare chi era nel bisogno diffondendo «la gioia del Signore». Prima di tutto bisogna alzarsi, «perché siamo fatti per il Cielo. Alzarsi dalle tristezze per levare lo sguardo in alto. Alzarsi per stare in piedi di fronte alla vita, non seduti sul divano». E pensare che non è vero, come qualcuno gli dice, che non è all’altezza, «Alzarsi per accogliere il dono che siamo, per riconoscere, prima di ogni altra cosa, che siamo preziosi e insostituibili. “Signor papa non è vero, io sono brutto”. Non è vero ognuno di noi è bello, è bella, ognuno di noi è un tesoro, questa non è autostima, è realtà!». E a loro dice ancora che «Dio sa che, oltre a essere belli, siamo fragili, e le due cose vanno insieme: un po' come Venezia, che è splendida e delicata al tempo stesso».

Ma bisogna alzarsi, scendere dal letto, accettarsi come un dono ed essere gioiosi perché siamo figli amati. «Come fare? Per alzarci – non dimentichiamolo – anzitutto bisogna lasciarci rialzare: farci prendere per mano dal Signore, che non delude mai chi confida in Lui, che sempre risolleva e perdona», insiste Francesco. E quando ci si sente fragili «per favore, cambia “inquadratura”: non guardarti con i tuoi occhi, ma pensa allo sguardo di Dio. Quando sbagli e cadi, Lui cosa fa? Sta lì, accanto a te e ti sorride, pronto a prenderti per mano. Non ci credi? Apri il Vangelo e guarda cos’ha fatto con Pietro, con Maria Maddalena, con Zaccheo, con tanti altri: meraviglie con le loro fragilità».

E una volta che si è in piedi bisogna «“rimanere” quando viene voglia di sedersi, di lasciarsi andare, di lasciar perdere. Non è facile, ma è il segreto. Sì, il segreto di grandi conquiste è la costanza. Oggi si vive di emozioni veloci, di sensazioni momentanee, di istinti che durano istanti. Ma così non si va lontano. I campioni dello sport, come pure gli artisti, gli scienziati, mostrano che i grandi traguardi non si raggiungono in un attimo, tutto e subito. E se questo vale per lo sport, l’arte e la cultura, vale a maggior ragione per ciò che più conta nella vita: la fede e l’amore. Invece qui il rischio è lasciare tutto all’improvvisazione: prego se mi va, vado a Messa quando ho voglia, faccio del bene se me la sento... Questo non dà risultati: occorre perseverare, giorno dopo giorno»

«Tu potresti dire», continua Francesco, «”Ma attorno a me stanno tutti per conto loro con il cellulare, attaccati ai social e ai videogiochi”. E tu senza paura vai controcorrente: prendi la vita tra le mani, mettiti in gioco; spegni la tv e apri il Vangelo; lascia il cellulare e incontra le persone». Senza paura, pensando al futuro, immaginando i propri figli.

«Mi sembra di sentire la vostra obiezione: “Non è facile, sembra di andare controcorrente!”. Ma proprio Venezia ci dice che solo remando con costanza si va lontano. Certo, per remare occorre regolarità; ma la costanza premia, anche se costa fatica. Dunque, ragazzi, questo è alzarsi: lasciarsi prendere per mano da Dio per camminare insieme!». Andare, insiste il Papa perché «siamo al mondo per scomodarci, per andare incontro a chi ha bisogno di noi. Così ritroviamo noi stessi. Sapete perché spesso ci smarriamo? Perché orbitiamo attorno alla nostra ombra. Invece, chi si spende per gli altri guadagna sé stesso, perché la vita si possiede solo donandola. Ma se ruotiamo sempre attorno al nostro “io”, ai nostri bisogni, a quello che ci manca, ci troveremo sempre al punto di partenza, a piangerci addosso col muso lungo, magari con l’idea che tutti ce l’abbiano con noi».
Bisogna liberarsi dalle «tristezze inconsistenti che ci bruciano le energie migliori! Non lasciamoci paralizzare dalla malinconia, andiamo verso gli altri!». E ancora il Papa sprona i ragazzi a non essere « professionisti del digitare compulsivo, ma creatori di novità! Una preghiera fatta col cuore, una pagina che scrivi, un sogno che realizzi, un gesto d’amore per qualcuno che non può ricambiare: questo è creare, imitare lo stile di Dio.
§È lo stile della gratuità, che fa uscire dalla logica nichilista del “faccio per avere” e “lavoro per guadagnare”. Siate creativi con gratuità, date vita a una sinfonia di gratuità in un mondo che cerca l’utile! Allora sarete rivoluzionari. Andate, donatevi senza paura!». Il Papa invita a fare chiasso, a camminare con gli altri, a cercare chi è solo, a colorare il mondo con creatività. «Dipingi di Vangelo le strade della vita. Alzati e vai».

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di Laura Bellomi
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 02 maggio 2024

Una popolazione sempre più anziana, con meno potenziali genitori, e un mercato del lavoro sempre più difficile. Il report "Esserci più giovani più futuro. Dai numeri alla realtà" fotografa dati allarmanti sull’andamento della popolazione italiana.
Da questa analisi prenderanno le mosse gli Stati generali della Natalità, il 9 e 10 maggio a Roma, a cui parteciperà anche papa Francesco.-

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«Il problema della natalità in Italia non è né una questione economica né culturale, ma di libertà: non sono libere le coppie che vorrebbero avere un figlio o farne un altro, perché in Italia la nascita di un figlio è il secondo fattore di incidenza nella povertà». Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità, commenta così gli ultimi – drammatici – dati sull’inverno democratico che sta colpendo il nostro Paese, pubblicati nel report Esserci più giovani più futuro. Dai numeri alla realtà, realizzato dalla Fondazione per la Natalità in collaborazione con Istat.

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Francesco riceve una famiglia in Vaticano

Dal rapporto emerge chiaro lo spaccato di una popolazione sempre più anziana e con meno potenziali genitori, un mercato del lavoro sempre più difficile e un tasso di permanenza in casa con la famiglia d’origine ben oltre la media europea. Qualche proiezione aiuta a entrare subito nel vivo: nel 2050 le nascite saranno 350 mila contro le 379 mila attuali e per ogni giovane ci saranno più di tre anziani. E da questi dati prenderà le mossa anche la quarta edizione degli Stati generali della natalità Esserci. Più giovani più futuro, il 9 e il 10 maggio a Roma, a cui parteciperà anche papa Francesco.

In Italia la piramide della popolazione si sta inesorabilmente ribaltando, l’inverno demografico è dato dalle tendenze evolutive della fecondità e della mortalità. Report alla mano, nel nostro Paese solo 11,5 milioni di donne e uomini tra i 15 e i 49 anni rientrano in età fertile e anche fra gli stranieri si alza l’età media e diminuisce il contributo alle nascite: le cittadine straniere residenti, che finora hanno parzialmente riempito i “vuoti” di popolazione femminile, stanno a loro volta invecchiando. I nati da genitori entrambi stranieri continuano a diminuire, 26.815 in meno nel 2022 rispetto al 2012, così come i nati con almeno un genitore straniero, 25.789 in meno.

Le difficoltà iniziano fin dall’uscita dalla famiglia. Tra i 18 e i 34 anni, più di due giovani su tre vivono ancora con i genitori, mentre nel resto d’Europa sono uno su due.  Non a caso gli indicatori che riguardano il benessere delle ragazze e dei ragazzi sono ai livelli più bassi del continente e un giovane (16-24anni) su tre è a rischio povertà.

A seguire, in 8 casi su 10 ci sono delle difficoltà che non consentono alle coppie di realizzare il proprio desiderio di famiglia. Così il rinvio della genitorialità si traduce molto spesso in rinuncia. Quasi la metà delle donne fra i 18 e i 29 anni non ha figli. Nel 2016 (ultimo dato disponibile), su 10 donne che dichiarano di non volere figli, 2 sono “childfree”. Questo significa che le “childless” in 8 casi su 10 non riescono a realizzare il desiderio di genitorialità a causa di diverse criticità, fra cui spiccano i motivi di età e salute (35%), soprattutto tra le donne.

Quali famiglie potremmo quindi aspettarci nei prossimi anni? Assisteremo a un aumento delle persone in coppia senza figli, dal 17,7% al 19,4%, e le persone sole cresceranno dal 33,1 al 37,5%, in particolare tra gli over 65enni.

Questi i dati, drammatici ma non certo una novità. «Non è più il tempo delle analisi ma della sintesi, e dobbiamo anche sbrigarci. Ne va del futuro del Paese. Possiamo ancora dimostrare che vale la pena mettere al mondo un figlio, non perché da grande pagherà le nostre pensioni, ma per dare il segnale di un Paese che torna a desiderare il suo futuro», dice ancora De Palo. «Abbiamo bisogno di un obiettivo condiviso anche perché non servono i bonus, ma riforme strutturali come il Quoziente familiare. Altrimenti perderemo la partita senza nemmeno aver provato a giocarla». 

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di Chiara Pelizzoni
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 06 maggio 2024

Prende spunto dal Vangelo di Giovanni durante il Regina Caeli papa Francesco per parlarci di amicizia che «non è frutto di calcolo e né di costrizioni. Nasce spontaneamente quando riconosciamo nell’altro qualcosa di noi e se è vera è tanto forte che non viene meno neanche di fronte al tradimento».-

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Fin da bambini, ci ricorda papa Francesco affacciato in piazza San Pietro per il Regina Caeli prendendo spunto dal Vangelo di Giovanni, «impariamo quanto è bella questa esperienza. Agli amici offriamo i nostri giocattoli e i doni più belli. Poi, crescendo, da adolescenti confidiamo loro i primi segreti, da giovani offriamo lealtà, da adulti condividiamo soddisfazioni e preoccupazioni. Da vecchi condividiamo i ricordi, le considerazioni, i silenzi di lunghe giornate».

Ecco noi per Gesù siamo proprio questo: «amici. Persone care, al di là di ogni merito e ogni attesa, alle quali tende la mano e offre il suo amore, la sua Grazia, la sua Parola con noi amici condivide quello che ha di più caro, tutto quello che ha udito dal Padre fino a farsi fragile. Per noi si mette nelle nostre mani senza difese e senza pretese perché ci vuole bene. Il Signore ci vuole bene come amico, ci vuole così. Vuole il nostro bene e ci vuole partecipi del suo».

Di seguito l’intervento integrale.

Cari fratelli e sorelle buongiorno

oggi il Vangelo ci parla di Gesù che dice agli apostoli “Non vi chiamo più servi, ma amici”. Cosa significa questo? Nella Bibbia i servi di Dio sono persone speciali a cui egli affida missioni importanti come ad esempio Mosè, Re Davide, il profeta Elia fino alla Vergine Maria. Sono persone nelle cui mani Dio pone i suoi tesori. Ma tutto questo non basta secondo Gesù per dire “chi siamo noi per lui”. Non basta, ci vuole di più per capire chi siamo noi per Gesù, qualcosa di più grande che va al di là dei beni e degli stessi progetti, ci vuole l’amicizia.

Fin da bambini impariamo quanto è bella questa esperienza. Agli amici offriamo i nostri giocattoli e i doni più belli. Poi, crescendo, da adolescenti confidiamo loro i primi segreti, da giovani offriamo lealtà, da adulti condividiamo soddisfazioni e preoccupazioni. Da vecchi condividiamo i ricordi, le considerazioni, i silenzi di lunghe giornate.

La Parola di Dio nel libro dei Proverbi ci dice che “profumo e incenso allietano il cuore e il consiglio dell’amico addolcisce l’animo”. Pensiamo un momento ai nostri amici e alle nostre amiche e ringraziamone il Signore. L’amicizia non è frutto di calcolo e neanche di costrizioni. Nasce spontaneamente quando riconosciamo nell’altro qualcosa di noi e se è vera l’amicizia è tanto forte che non viene meno neanche di fronte al tradimento. “Un amico vuol bene sempre” afferma ancora il libro dei Proverbi. Un amico vuol bene sempre come ci mostra Gesù quando a Giuda che lo tradisce con un bacio dice: “amico, per questo sei qui?”. Un vero amico non ti abbandona nemmeno quando sbagli. Ti corregge, magari ti rimprovera, ma ti perdona e non ti abbandona.

Oggi Gesù nel Vangelo ci dice che noi per lui siamo proprio questo: amici. Persone care, al di là di ogni merito e ogni attesa, alle quali tende la mano e offre il suo amore, la sua Grazia, la sua Parola con noi amici condivide quello che ha di più caro, tutto quello che ha udito dal Padre fino a farsi fragile. Per noi si mette nelle nostre mani senza difese e senza pretese perché ci vuole bene. Il Signore ci vuole bene come amico, ci vuole così. Vuole il nostro bene e ci vuole partecipi del suo.

E allora chiediamoci: che volto ha per me il Signore? Il volto di un amico o di un estraneo? Mi sento amato da lui come una persona cara? Qual è il volto di Gesù che testimonio io agli altri, specialmente a quelli che sbagliano e hanno bisogno di perdono? Maria ci aiuti a crescere nell’amicizia con suo figlio e a diffonderla intorno a noi.

SALUTI FINALI

Nei saluti finali papa Francesco ha rivolto un augurio «ai fratelli e sorelle delle Chiese ortodosse e di alcune chiese cattoliche orientali che, oggi, secondo il calendario giuliano, celebrano la Santa Pasqua. Il Signore risorto colmi di gioia e di pace tutte le comunità e conforti quelle che sono nella prova. A loro, Buona Pasqua!».

Ha assicurato una preghiera «per la popolazione dello stato del Rio Grande do Sul (Brasile, ndr) colpita da grandi inondazioni. Il Signore accolga i defunti, conforti i familiari e quanti hanno dovuto lasciare la loro casa».

Ha salutato i fedeli di Roma e da diverse parti d’Italia e del mondo. In particolare: i pellegrini provenienti dal Texas, dall’arcidiocesi di Chicago e da Berlino. Gli studenti della scuola Saint-Jean de Passy di Parigi, il gruppo Human Life International. Le bande musicali «avete suonato tanto bene e spero continuiate a suonare un po’!» ha detto. I cittadini di Livorno «che da tempo attendono la bonifica dei territori più inquinati».

Ha rivolto un saluto alle nuove guardie svizzere e ai loro familiari «in occasione della festa di questo storico e benemerito corpo». All’associazione Meter «impegnata nel contrasto di ogni forma di abuso sui minori, grazie per il vostro impegno e continuate con coraggio nella nostra attività».

E ha concluso: «Per favore continuiamo a pregare per la martoriata Ucraina che soffre tanto e per Palestina e Israele, che ci sia la pace. Affinché il dialogo tra loro si rafforzi e porti frutti buoni. No alla guerra e sì al dialogo».

di Laura Badaracchi
da www.avvenoire.it
@Riproduzione Riservata del 02 maggio 2024

L'amore materno ha convinto sei donne a raccontare il loro dolore. Aborto, femminicidio, terremoto, incidenti stradali all'origine della sofferenza più grande che un genitore possa provare.-

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Le mamme "orfane" che si raccontano nel libro

Sei storie unite da un filo rosso: l’amore materno. Stanno portando in giro per l’Italia le loro testimonianze, raccolte e curate nel volume fresco di ristampa “Lettere senza confini. Dal cuore di 6 mamme” dalla giornalista Gaia Simonetti, protagonista con il suo secondo nome (Barbara) della prima storia: quella di una mamma di un figlio mai nato per un aborto spontaneo, quindi che non ha mai potuto conoscere e prendere tra le braccia, ma solo sentire il battito del suo cuore. Poi ci sono Giovanna Carboni, Laura Cozzi, Paola Alberti, Stefania Guarnieri e Stefania Ciriello, madri rispettivamente di Mauro, Elena (Ela), Michela, Lorenzo, Filippo, uccisi da un incidente stradale, dal terremoto di Amatrice o vittime di femminicidio.

Orfane dei loro figli, sopravvissute a loro, danno spazio ai ricordi rivolgendosi direttamente a loro perché la presenza è indelebile e l’affetto immutato. Svelando che il segreto per andare avanti è proprio l’amore, insieme alla fede, alla condivisione del dolore e al desiderio di essere un supporto per altre famiglie che vivono l’identica situazione. Non solo: le vendite del libro stanno supportando un progetto solidale: due borse di studi per studenti colpiti dal terremoto di Amatrice e di Accumuli.

Massimiliano, che si è già laureato anche grazie al loro contributo, ha mandato un messaggio per ringraziarle: «Grazie a voi e al libro che avete scritto. Il vostro cuore è nelle pagine e in gesti che ci hanno permesso di arrivare a uno dei traguardi della vita».

Vivono a Firenze, Mantova e Rieti, ma sono accumunate da un dolore indicibile. Quei figli, scrivono, «sono il valore alla vita» e «quell’amore che ogni giorno ci salva». Giovanna, mamma di Mauro, morto a 27 anni in un incidente stradale, ha deciso di donarne gli organi. Laura è la mamma di Ela (Elena), figlia adottiva di origine russa morta in un incidente stradale. Paola, mamma di Michela, vittima di femminicidio nel 2016, ha inventato una “corsa” intitolata a lei che amava correre. Stefania, mamma di Lorenzo, morto a 17 anni il primo giugno 2010 per omicidio stradale, ha fondato l’associazione Lorenzo Guarnieri che si batte per la sicurezza stradale e racconta: «Nella tua famiglia stiamo facendo tutti del nostro meglio per meritare la vita che abbiamo, per ricambiare di quanto ci hai dato e per non deluderti». La mamma di Filippo, Stefania, ha fondato in sua memoria l’associazione “Il sorriso di Filippo” e ripercorre quei «terribili 142 secondi» di scosse che le hanno portato via il figlio in seguito alle ferite riportate quel 24 agosto 2016: «Dopo averti visto uscire vivo dalle macerie ho sperato nel miracolo. Mi rimangono i ricordi nitidi di quando salivo in mansarda a osservarti mentre dormivi...».

È impossibile non commuoversi e non empatizzare con queste donne, che però hanno sempre la forza e il coraggio di guardare avanti, di non commiserarsi. Perché hanno saputo trasformare la morte in vita, in dono per altri. «Siamo le mamme che hanno scritto lettere ai figli che hanno perso, che sono volati via – come diciamo noi – perché ogni giorno cogliamo segnali che ce li fanno percepire. Abbiamo raccontato loro tutto quello che abbiamo costruito nel ricordo. Utilizzando, con fatica inimmaginabile, tempi verbali al futuro. Non ci conoscevamo. Ci siamo trovate, forse per il disegno che la vita compie. Ci siamo sentite unite condividendo un dolore senza fine», racconta Gaia Barbara.

Ecco alcuni passaggi della sua toccante testimonianza sulla perdita di un figlio ancora in grembo: «Ciao amore, non ti ho potuto vedere, conoscere, prenderti tra le braccia. Ti scrivo. Di tempo ne è passato, ma non ha cicatrizzato la ferita. Brucia ancora nell’anima. Amore è una parola che sta bene sia per un maschietto che per una femminuccia. Non sono legata come i colori di una tutina a dover scegliere tra il rosa o il celeste. E poi, amore, è proprio un appellativo giusto, che ti calza a pennello. Se fosse un vestito, sarebbe quello più adatto a te. Ti avvolgerebbe e ti proteggerebbe come avrebbero fatti le mie mani, quelle della tua mamma. Mi viene dal cuore chiamarti così, anche se ti confesso che, la parola cuore mi fa male. Mi rimanda a quella mattina di maggio, in cui il sole si era nascosto tra le nuvole, e il gel sulla pancia era meno freddo della sentenza. “Signora, mi spiace, non sento il battito del piccolo”. In quell’istante cade il mondo, crollano le certezze, si infrange la vita come se un vaso di cristallo caduto dal tavolo. I pezzi, anche se li raccogli, non combaciano più e rendono nitida l’immagine della mia esistenza che stava prendendo un’altra direzione e ora è senza meta. Avevo mille attese. Mi chiedevo come crescevi e se già avessi potuto sapere se eri un piccolino o una piccolina. La notte ti sognavo, il giorno ti disegnavo con la mente. Nasino piccolo come il mio, capelli ricci come quelli del papà, forse con la mia curiosità e gli occhi vivaci ed attenti per scoprire la vita in tutte le sue angolature. Il destino ha scelto un’altra strada. Ha voluto che noi due fossimo per sempre due estranei che non si conoscono e non possono percorrere lo stesso cammino. Ero pronta, ti aspettavo: mancavi solo tu. La nostra famiglia era impegnata nei preparativi per darti il benvenuto. Dopo anni di attesa, avevi deciso che volevi abitare in me. Una seconda occasione, anche se non ho mai smesso di crederci, non è mai arrivata».

di Dorella Cianci
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 02 maggio 2024

Lo psicologo Mauro Grimoldi: inutile stupirsi di fronte ai crimini dei teenager. Meglio valutare caso per caso e rivedere i percorsi educativi allo scopo di rendere possibile un recupero coerente.-

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Il male è un concetto filosofico estremamente complesso da analizzare e definire. Che cosa notiamo, però, quando questo termine viene accostato a tematiche psico-pedagogiche? Com’è possibile che lo si ritrovi in argomenti e fatti collegati al mondo dell’adolescenza? A questa domanda prova a rispondere un utilissimo saggio, scritto da Mauro Grimoldi, psicologo giuridico e consulente per il Tribunale di Milano, dal titolo Dieci lezioni sul male. I crimini degli adolescenti, uscito, in questi giorni, per l’editore Cortina.

Scrive Grimoldi: “I minori autori di reato sono così, ti rimangono appiccicati alla pelle, profondamente radicati nella mente, ci si ripensa, inevitabilmente si cercano soluzioni praticabili e coerenti con quello che prevede la legge italiana”. Con questa profonda considerazione ci avviciniamo a un libro estremamente delicato, difficile, che ci mette davanti una serie di casi, in cui le relazioni familiari e amicali vanno in crisi, divenendo il motore di comportamenti antisociali, innescati da disagi silenziosi e invisibili. 
§“Questi ragazzi – scrive l’autore – sono comunque capaci di insegnare qualcosa”. Possibile? Possiamo davvero apprendere da reati spesso terribili? Evidentemente sì, possiamo e dobbiamo farlo mettendoci non nell’ottica del giudizio, della pena, della condanna, ma in quella che più ci è familiare, come la chiave educativa, che prende le mosse dallo stupore dinanzi alle loro vicende.

I primi tre capitoli del libro riguardano aspetti generali della criminalità minorile; il primo presenta la dimensione della responsabilità, denunciando la condizione di incredibile estraneità del vissuto di molti adolescenti rispetto a quanto avvenuto, o meglio dinanzi a ciò che hanno fatto nella realtà. Nel secondo capitolo, invece, grazie ad alcuni casi guida, si riflette capillarmente sul senso del male. Il terzo, poi, dal titolo provocatorio ed estremamente smagato, Odia il prossimo tuo come te stesso, ruota la narrazione del gruppo, dello sguardo dell’altro, del diverso, per esempio dell’omosessuale. In questo caso, come spesso accade, lo sguardo altrui è il canale privilegiato attraverso cui si manifesta l’odio per l’éteros, per l’altro, in quanto portatore di una diversità.
E dove si radica il male e l’odio, in queste situazioni patologiche, se non in quella discrepanza in cui l’eterogeneità è troppo distante e incomprensibile per il nostro sé? Da questo punto in poi, che peraltro si coglie perfettamente, nella sua drammaticità, in particolare nel passaggio in cui un adolescente guarda il profilo Instagram del suo amico omosessuale e scrive: “Guardavo quelle foto e mi schifavo, immaginandolo intento nella sua vita sessuale. Mi sembrava di vedere tutti gli omosessuali in modo diverso da prima, come stupratori pericolosi. Mi ripetevo: è il momento di stare lontano da questa gente schifosa”.

Quali riflessioni suggerisce questa tremenda considerazione? Innanzitutto, come precisa Grimoldi, viene fuori un ribaltamento del dispositivo etico della colpa e della punizione. Chi agisce in maniera violenta, in alcuni casi, crede di avere ottime ragioni per agire così. L’atto violento, come si legge anche nei successivi capitoli di queste testimonianze di adolescenti, avviene in virtù del meccanismo psicologico della proiezione, grazie alla quale diventa plausibile intravedere la presenza di una presunta “colpa” dell’altro. L’agire criminale di un minorenne ci mette davanti a una dimensione paranoica ubiqua, dove si va dal comune furto, allo spaccio, ai reati intra-familiari, ai reati sessuali di gruppo fino all’omicidio minorile e all’aggressione di un genitore.

La tesi centrale di tutto il saggio è chiara, forte e incisiva: i ragazzi autori di reato vanno recuperati. Il cerchio va interrotto. È urgente, in queste situazioni, al di là della pena, ridare centralità ai ruoli educativi per interrompere l’eterno ritorno dell’inconscio, nella sana speranza di ristabilire il patto sociale fra il ragazzo criminale e la società disumana, che si è costruito (e in alcuni casi, autocostruito) intorno.

da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 03 maggio 2024

L’immagine che tiene insieme tutto – il grande evento ecclesiale e di popolo con la visita del Papa, la mobilitazione dei movimenti della società civile, il confronto intellettuale, persino la kermesse artistica – è il bacio. E non solo ovviamente perché siamo a Verona, la città di Romeo e Giulietta. «Giustizia e pace si baceranno» recita il Salmo biblico 85, che descrive la storia dell’amore perduto e poi ritrovato tra Dio e il suo popolo, e il 18 maggio dalla città scaligera è proprio questo l’appello che oltre 30mila persone metteranno nelle mani di Francesco sperando che non si tratti soltanto d’un gesto simbolico, o della buona intenzione di una giornata.

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Una veduta aerea dell'Arena di Verona

C’è un’Italia che chiede pace, che lavora per la pace concretamente ogni giorno. E la pace d’altronde «non è un momento, non è un evento – mette subito in chiaro fratel Antonio Soffientini, missionario comboniano e rappresentante di Nigrizia e Fondazione Nigrizia, tra le realtà promotrici di Arena di pace 2024 –. Quando siamo partiti con l’idea di riprendere Arena di pace, rilanciando la tradizione degli incontri organizzati a Verona fin dal 1986, l’ultimo nel 2014, abbiamo pensato a un cammino, a qualcosa che dal 18 maggio prenda una sua strada». Quale, ripetono tutti, è impossibile da prevedere, ma al tavolo della conferenza stampa di presentazione della giornata è palpabile la sensazione che per la prima volta, a chiedere una svolta, il Papa non sarà più da solo. E che quella svolta deve partire dai tavoli non solo delle trattative e del disarmo, ma anche dell’uguaglianza, dell’integrazione, del rispetto dell’ambiente, della dignità del lavoro.

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Un momento della conferenza stampa di presentazione dell'Arena di pace col vescovo di Verona Domenico Pompili

Eccoli, i cardini della giustizia sociale senza cui nessuna pace è possibile, e su cui insiste il vescovo Domenico Pompili: sono i temi che riuniranno quasi 600 delegati di più di 200 associazioni e movimenti italiani già da venerdì 17 a Verona «e da cui prenderanno forma le domande che verranno poste a Francesco sul palco dell’Arena in mattinata» spiega. Un momento a cui seguirà un doppio collegamento con la Terra Santa, «uno in Israele e uno in Cisgiordania – continua Pompili – per poter fare simbolicamente incontrare israeliani e palestinesi per un segno di speranza». E poi momenti di musica e di spettacolo con tanti ospiti italiani e internazionali. A condurre la mattinata areniana saranno Riccardo Iacona conduttore di Presa diretta, Greta Cristini, reporter e analista geopolitica, Marino Sinibaldi, giornalista, critico letterario e conduttore radiofonico. Assieme ai volti storici di Arena di pace come padre Alex Zanotelli e don Luigi Ciotti, numerosi saranno gli attivisti di rilievo che porteranno la loro testimonianza nell’anfiteatro scaligero, tra questi: Vanessa Nakate, attivista ugandese, nota per il suo impegno per promuovere politiche di contrasto al cambiamento climatico; Mahbouba Seraj, giornalista afgana e attivista per i diritti delle donne, candidata al Nobel per la Pace; Joao Pedro Stedile, economista e attivista sociale brasiliano fondatore dei movimenti popolari brasiliani; Andrea Riccardi, storico, politico e attivista italiano, fondatore nel 1968 della Comunità di Sant'Egidio. Tra gli artisti, invece, saranno presenti il più grande cornamusista del mondo Hevia, gli attori Alessandro Bergonzoni e Matteo Martari, l'autore russo in esilio e vincitore del premio Strega Europa Michail Pavlovič Šiškin, il cantante nigeriano arrivato in Italia con uno dei tanti barconi che attraversando il Mediterraneo Chris Obehi.

Ma l’incontro all’Arena è solo un tassello di un evento che sta mobilitando tutta Verona, nessuno escluso, con l’obiettivo di dimostrare che si può (e si deve) fare pace nella quotidianità, collaborando per uno stesso obiettivo comune. Si comincerà così al mattino presto in piazza San Zeno, dove il Papa incontrerà i quasi 7mila bambini e ragazzi della diocesi accompagnati da genitori e catechisti e protagonisti di percorsi educativi incentrati sulla pace e il rispetto dell’altro nelle scuole: un assaggio di Gmb (il grande evento in programma a fine maggio a Roma), animato da gruppi musicali, esibizioni, testimonianze. Poi il momento di riconciliazione e di dialogo coi detenuti e col mondo del carcere, non solo segnato dalla visita alla Casa circondariale di Montorio, dove il Papa pranzerà coi reclusi. Questi ultimi sono stati coinvolti fattivamente nella realizzazione della giornata: nei laboratori artigianali della struttura – dove sono attivi numerosi percorsi di formazione professionale – sono stati creati gli allestimenti in legno per il palco dell’Arena e i cuscini delle sedute, mentre dai detenuti di Castelfranco Emilia (Modena) arrivano le oltre 30mila ostie che verranno utilizzate durante la Messa allo stadio Bentegodi nel pomeriggio.
È questo l’evento culmine della giornata veronese, costruito anche in questo caso attorno al tema “giustizia e pace” fin nei più piccoli particolari (i paramenti per i presbiteri sono realizzati con materiale riciclato e confezionati con l’ausilio delle persone più fragili; i vari lettori delle preghiere dei fedeli, così come le persone che porteranno i doni all’offertorio, rappresenteranno i differenti volti della Chiesa di Verona). Protagoniste, qui, anche le persone con disabilità: oltre 500 quelle che incontreranno il Pontefice e che hanno scritto alla diocesi chiedendo di partecipare alla giornata, coi loro familiari.

di Luciano Moia
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 05 maggio 2024

Il Tavolo nazionale, composto dalle 19 associazioni più importanti, presenta alla politica le proposte per il rilancio dell'istituto.-

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Tra un anno, il prossimo 4 maggio 2025, verrà celebrata la prima Giornata nazionale dell’affido familiare. Il ddl, presentato dalla senatrice Elisa Pirro (M5S) sta raccogliendo consensi trasversali e non dovrebbe incontrare ostacoli ideologici. Buona notizia? Solo se non sarà una celebrazione di facciata ma sarà accompagnata da un rilancio concreto di questo istituto. A questo puntano le 19 associazioni del Tavolo nazionale affido che martedì prossimo, nel corso di una conferenza organizzata in Parlamento, chiederanno un’attuazione piena della legge, la ratifica della Linee di indirizzo approvate ormai tre mesi fa dalla Conferenza Stato-Regioni e mai decollate, la promozione di iniziative per far conoscere questa realtà al di là dei luoghi comuni e delle campagne negative scatenate dopo il caso Bibbiano.

Riallacciare il dialogo con la politica

Ma come si fa a rilanciare l’affido in una società sempre meno attenta ai problemi dei minori e dove il numero delle famiglie accoglienti sembra assottigliarsi? Come convincere le coppie ad aprirsi alla solidarietà quando il tasso di fragilità e di disgregazione familiare appare sempre più in salita e, al contrario, la sensibilità delle istituzioni in discesa. Il Tavolo nazionale affido ha steso un programma ben definito. Innanzi tutto, riallacciare il dialogo con la politica. Se l’affido familiare funziona, se gli interventi sono tempestivi ed efficienti, se i controlli vengono fatti in modo scrupoloso, se l’accompagnamento delle famiglie affidatarie viene assicurato con costanza e metodo, tutti ne traggono vantaggi. A cominciare dai bambini in difficoltà e dalle loro famiglie d’origine. Per proseguire con le coppie affidatarie e tutte le istituzioni coinvolte (servizi sociali, Comuni, Regioni, centri per l’affido, tribunali per i minorenni).

Le associazioni sono consapevoli che non esiste una ricetta facile per far funzionare tutto al meglio, ma serve una complessità di interventi capaci di armonizzare i compiti di tutti i soggetti coinvolti. E non si tratta di un impegno da poco perché il dialogo tra enti locali, servizi, apparato giuridico e professionisti della cura, proprio per la mancanza di riferimenti certi, validi da Nord a Sud, è un aspetto di grande delicatezza. Sostenere le famiglie affidatarie, per esempio, che dovrebbe essere uno dei punti fermi dell’operazione rilancio, rischia di diventare un annuncio senza contenuti se non esiste uniformità neppure sull’ammontare dei contributi.

Diversità e incongruenze da Nord a Sud

Oggi capita che alcuni Comuni – è il caso della Lombardia e della Sardegna – chiedano alle famiglie la presentazione dell’Isee per stabilire la quota spettante. Richiesta non contemplata dalla legge e che contrasta con il valore del gesto solidale da sostenere indipendentemente dal reddito familiare. In altre Regioni vale la quota minima della pensione Inps. Ma ci sono anche Comuni virtuosi dove si concedono integrazioni per l’accoglienza di un bambino disabile o affetto da altre patologie.
Ecco perché, accanto alle famiglie disponibili – che secondo le valutazioni del Tavolo nazionale non mancherebbero a fronte di un sistema efficiente e trasparente – ci devono essere istituzioni ed enti disponibili a guardare all’affido non come scelta residuale, ma come mezzo privilegiato in ambito educativo, preventivo ed assistenziale.
Inutile approfondire il significato educativo e quello assistenziale la cui rilevanza non dovrebbe aprire la strada a interrogativi, mentre l’aspetto preventivo – e su questo insisteranno martedì anche le associazioni del Tavolo nazionale – merita qualche chiarimento.

Il grande snodo della prevenzione

Una famiglia problematica che non riesce più ad assicurare ai propri figli mantenimento, cure, educazione, tenerezza, vicinanza fisica e morale, ha il diritto di essere aiutata. L’ideale sarebbe che gli interventi dei servizi sociali fossero realizzati all’insegna di una comune disponibilità. Quella della famiglia in difficoltà e quella della famiglia affidataria. In questo caso la nuova coppia assicura provvisoriamente al minore – la legge dice per un massimo di due anni – quell’attenzione e quell’accudimento che non trova più nel nucleo familiare d’origine, con il consenso dei genitori naturali. I rapporti non solo non si interrompono, ma trovano nuove modalità espressive a beneficio di tutti. Ecco il senso dell’intervento preventivo. Non succede spesso, purtroppo. Le stime, in assenza di statistiche certe – un altro buco del sistema a cui si tenta da anni di rimediare – parlano di 3 casi su 10. Nelle altre sette occasioni l’affido è deciso dal giudice minorile con un allontanamento forzato del minore. Rilanciare il sistema degli affidi, responsabilizzare le istituzioni, disporre di servizi sociali più efficienti – oltre il contestato sistema dei consorzi con incarichi a progetto – significa prevenire gli allontanamenti e chiudere la lunga stagione dei sospetti aperta dopo il caso Bibbiano, quando la parola affido era diventata sinonimo di furto dei minori.

Non operatori ma risorsa solidale

Ecco perché – e si tratta di un altro punto che verrà approfondito durante la conferenza di martedì – il Tavolo nazionale insiste sul valore della famiglia affidataria come “risorsa della solidarietà” e non come strumento delle istituzioni. Il grande rischio è che la generosità alla base del gesto solidale venga scambiata per momento programmato. Le famiglie accoglienti non operano nell’ambito di un servizio pubblico ma sono risorse che il servizio pubblico deve sostenere e valorizzare. Martedì, le proposte del Tavolo nazionale affido, saranno presentate da Valter Martini, Frida Tonizzo, Liviana Marelli, Enrica Pavesi e Alessandra Moscato.
Nuovi dati che non fanno ben sperare

Il confronto tra le associazioni e la politica potrà partire da una serie di dati aggiornati. Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha diffuso nei giorni scorsi i numeri relativi all’affido familiare e ai minori presenti in comunità e nei servizi residenziali per minorenni. Al 21 dicembre 2021 i ragazzi fuori famiglia erano complessivamente 27.329.

La precedente rilevazione (31 dicembre 2019) parlava di 27.608 minori. Quindi tra il 2019 e il 2021 gli affidi familiari vedono un -2,3% (da13.555 a13.248), mentre resta pressoché identico il numero di minori collocati in comunità (14.053 del 2019 rispetto ai 14.081 del 2021). Negli ultimi 25 anni il numero più alto di affidi familiari è stato toccato nel 2007, con 16.420 minori, quello più basso nel 2020, con 12.815, risultato dell’effetto Bibbiano. Il prezzo più alto è stato naturalmente pagato in Emilia Romagna, dove gli affidi sono calati del 18 per cento a livello regionale e del 32 per cento nella provincia di Reggio Emilia. Ora il calo limitato al 2,3 per cento a livello nazionale sembra segnare una piccola inversione di tendenza. Ma è azzardato affermare che il terremoto scatenato dall’inchiesta dell’estate 2019 è solo un ricordo del passato. Sia perché negli ultimi quattro anni il ricorso all’affido familiare è rimasto minoritario rispetto alla destinazione nei servizi residenziali - al contrario dei vent’anni precedenti - sia perché la parola fine sul caso dei presunti “affidi illeciti” la potranno scrivere solo i magistrati. E ci vorranno anche molti anni. Comunque troppi.

da www.diocesitortona.it
@Riproduzione Riservata del 02 maggio 2024

Il Papa all’Azione Cattolica: «Fate crescere la cultura.-dell’abbraccio»

ROMA – Circa 80 mila soci e amici dell’Azione Cattolica Italiana, provenienti da tutta Italia, sono giunti il 25 aprile in piazza San Pietro per incontrare il Papa, per ascoltare la sua parola e fare festa insieme a lui. Adulti, giovani e ragazzi hanno viaggiato diretti a Roma con la voglia di costruire un futuro di pace e di speranza, impegnati ad essere discepoli e missionari, corresponsabili della costruzione del bene comune. “A braccia aperte”, il titolo dell’incontro, ben esprime il camminare insieme valorizzando le diversità e andando incontro agli uomini e alle donne di oggi. Alle ore 9.45, dopo un lungo giro in papamobile, Papa Francesco ha preso la parola. «L’abbraccio è una delle espressioni più spontanee dell’esperienza umana – ha detto – e la nostra vita è avvolta dal grande abbraccio di Dio, che ci ama, ci ama per primo. Tre i tipi di abbraccio che il Pontefice ha proposto alla riflessione dei presenti: “l’abbraccio che manca, l’abbraccio che salva, l’abbraccio che cambia la vita”. «All’origine delle guerre – ha proseguito ci sono spesso abbracci mancati o rifiutati, a cui seguono pregiudizi, incomprensioni e sospetti, fino a vedere nell’altro un nemico. E tutto ciò purtroppo, in questi giorni, è sotto i nostri occhi, in troppe parti del mondo! Con la vostra presenza e con il vostro lavoro, invece, voi potete testimoniare a tutti che la via dell’abbraccio è la via della vita». Poi si è soffermato sull’abbraccio che è salvezza come “l’abbraccio misericordioso di Dio che salva” e che Gesù morendo in croce ha dimostrato donando la sua vita e ha esortato a «lasciarsi abbracciare dal Signore. Così, nell’abbraccio del Signore impariamo ad abbracciare gli altri».
E, infine, l’abbraccio dato e ricevuto che cambia la vita. Come è accaduto a Francesco d’Assisi, ad esempio, che decise di seguire Cristo “dopo aver stretto a sé un lebbroso”. La raccomandazione del Pontefice è stata quella di fare in modo che sia la carità “a plasmare ogni sforzo e servizio”, per “vivere fedeli alla vostra vocazione e alla vostra storia” e per porre segni concreti di cambiamento a tutti i livelli della vita sociale.
Il Pontefice ha aggiunto: «La “cultura dell’abbraccio”, attraverso i vostri cammini personali e comunitari, crescerà nella Chiesa e nella società, rinnovando le relazioni familiari ed educative, rinnovando i processi di riconciliazione e di giustizia, rinnovando gli sforzi di comunione e di corresponsabilità, costruendo legami per un futuro di pace».

E in riferimento al Sinodo ha affermato che «c’è bisogno di gente forgiata dallo Spirito, di “pellegrini di speranza”, di uomini e donne sinodali, che sappiano dialogare, interloquire, cercare insieme, come dice il tema del Giubileo ormai vicino, uomini e donne capaci di tracciare e percorrere sentieri nuovi e impegnativi». Invitando i presenti a essere “atleti e portabandiera di sinodalità”, nelle diocesi e nelle parrocchie di cui fate parte, per una piena attuazione del cammino. Nel pomeriggio, alla Fraterna Domus di Sacrofano, vicino Roma, si è aperta la XVIII Assemblea nazionale elettiva dell’A.C. per eleggere il Consiglio nazionale per il triennio 2024-2027.

da www.diocesitortona.it
@Riproduzione Riservata del 03 maggio 2024

In occasione della Festa di Santa Croce, il Museo Diocesano di Tortona sarà aperto straordinariamente nella giornata di lunedì 6 maggio dalle ore 16 alle ore 19.

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