logo sito cav

CAV - Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese ODV

Via Mentana n. 43
27058 Voghera (PV)
Tel: 349 4026282
email: cavvoghera@virgilio.it
Image

da www.csvlombardia.it
@Riproduzione Riservata del 24 aprile 2024

Una comunicazione efficace e differenziata è fondamentale per l’esistenza di ogni ente di Terzo settore, in particolare per chi vuole promuovere la propria mission, trovare nuovi sostenitori, consolidare relazioni già avviate e far conoscere iniziative ed eventi. Per questo CSV Lombardia Sud ETS organizza due incontri di formazione online dedicati a “Instagram e altri strumenti online per la comunicazione”, rivolti alle tante organizzazioni non profit che già fanno parte della rete legata alla Trama dei Diritti ma aperti a ogni altra associazione di volontariato delle province di Cremona, Lodi, Mantova, Pavia.

Image 1

Il primo incontro si terrà giovedì 9 maggio dalle ore 17.30 e si concentrerà su uno dei social media più popolari: Instagram. Nel corso di questo appuntamento i partecipanti verranno prima introdotti alle caratteristiche del social, e poi resi più consapevoli su aspetti tecnici e strategici. Per esempio: come strutturare un profilo Instagram per la propria organizzazione, quali sono gli elementi base di un post, quali sono i formati, come si pubblicano post, stories e reel, come gestire notifiche e impostazioni dell’account e altro ancora.

Il secondo incontro si terrà giovedì 23 maggio dalle ore 17.30 e offrirà invece un’ampia panoramica sui numerosi strumenti disponibili online per la comunicazione: quali canali online sfruttare e quali sono le loro caratteristiche (siti, social, mail marketing, ADV e altro), quali strumenti utilizzare (Canva, WordPress, MailChimp e altro), quali social media scegliere in base al pubblico di riferimento. Nella seconda parte dell’incontro un momento di approfondimento sarà dedicato a Canva (per realizzare grafiche), all’ADV (la pubblicità online) e ad alcuni importanti aspetti relativi al mail marketing e alla presenza di un ente di Terzo settore sul web anche attraverso un sito internet.

Ogni incontro dura 90 minuti e sarà tenuto da due specialiste della comunicazione online dell’agenzia Piano Social (https://pianosocial.com/). I due appuntamenti di “Instagram e altri strumenti online per la comunicazione” sono sostenuti con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese, nell’ambito del progetto “Una trama dei diritti per costruire comunità di cura”.

Per le iscrizioni è necessario accedere alla piattaforma MyCSV COME PERSONA SINGOLA. Se non foste ancora registrati cliccate il link di seguito:

Accedi a MyCSV e registrati

Una volta registrati occorre entrare nuovamente sulla pagina di login di MyCSV, inserire le credenziali e, cliccando sul pulsante “Formazione”, potrete iscrivervi al percorso formativo.

di Luciano Moia

da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 26 aprile 2024

Il sociologo Pietro Boffi rievoca la storia delle "Settimane nazionali di studi sulla spiritualità coniugale e familiare", una svolta fondamentale per la pastorale della famiglia.-

Image 85

La "Settimana di spiritualità coniugale e familiare" dell'Ufficio famiglia Cei in corso a Palermo

Venticinque anni di storia della pastorale familiare in Italia sono passati attraverso un appuntamento particolare, le Settimane di spiritualità coniugale e familiare. Era la primavera del 1997 quando l’allora direttore dell’Ufficio famiglia, don Renzo Bonetti, affiancato dal presidente della commissione episcopale per la famiglia e la vita, il vescovo di Aosta, Giuseppe Anfossi, organizzò la prima edizione a Rocca di Papa, nella grande casa per esercizi spirituali di “Mondo Migliore” affacciata sul lago di Albano, proprio di fronte a Castel Gandolfo. C’erano molte incertezze sulla risposta delle diocesi. Da qualche anno non venivano organizzati convegni nazionali di pastorale familiare e l’idea di ripartire proprio dalla spiritualità non convinceva tutti. Qualcuno pensava che la proposta finisse per essere considerata un po’ estrema. Quasi che coltivare lo spirito fosse attività da lasciare ai consacrati e ai mistici, inadatta alla concretezza laicale delle famiglie. “Invece l’esperimento riuscì e 25 anni dopo siamo ancora qui, lungo il solco tracciato da quei pionieri della pastorale che evidentemente avevano colto nel segno”. Lo racconta il sociologo Pietro Boffi, padre e nonno, membro della Consulta Cei di pastorale familiare e collaboratore del Cisf (Centro internazionale studi famiglia). Boffi non solo ha partecipato a tutte le 25 edizioni, ma con il teologo don Giancarlo Grandis, ha curato per una decina d’anni la preparazione delle schede emerse dai laboratori delle “Settimane”.

Image 86

Pietro Boffi, Sociologo

Chi lanciò la proposta di organizzare una Settimana di spiritualità per la coppia e per la famiglia?

Tra i promotori, il più convinto era don Gianfranco Fregni, allora direttore dell’Ufficio famiglia di Bologna. Un precursore della pastorale familiare. Era stato tra i fondatori del Centro di documentazione e promozione familiare «G.P. Dore», sempre a Bologna, e aveva fondato la rivista CLeF (Chiesa Locale e Famiglia), oltre ad aver scritto vari volumi e sussidi sulla spiritualità familiare. Don Renzo Bonetti, che da pochi mesi era stato nominato direttore dell’Ufficio nazionale, accolse con entusiasmo la proposta e riuscì a coinvolgere, oltre alle diocesi, tanti movimenti e associazioni familiari. Anche perché tutta la Chiesa lavorava in vista del grande Giubileo dell’Anno Duemila e don Bonetti ebbe la bella idea di proporre una trilogia di riflessione su Padre, Figlio e Spirito Santo in riferimento alla spiritualità coniugale e familiare. Fu un successo. Alla prima edizione del ’97 arrivarono a Rocca di Papa oltre mille persone, tra famiglie con bambini e studiosi.

Quale fu la formula vincente delle “Settimane”?

Quella di mettere a confronto per sette giorni famiglie impegnate nella pastorale familiare ed esperti. Non era soltanto un convegno – e neppure oggi lo è – ma era anche un’occasione per uno scambio culturale e umano che, a partire dalle relazioni, proseguiva poi per tutta la giornata. C’erano teologi, sociologi, psicologi ed altri esperti. E tantissime coppie con figli. I piccoli seguivano percorsi adatti alle diverse età, secondo un progetto organizzato. Non solo animazione ma proposte mirate e intelligenti. Il cosiddetto “Animatema di famiglia”. Anche questo fu un elemento decisivo per incentivare la presenza delle famiglie.

Come è cambiata la partecipazione delle famiglie in questi 25 anni?

Insieme alle varie coppie responsabili a livello regionale e diocesano, c’erano tante coppie provenienti dai movimenti di spiritualità coniugale. Presenze importanti dell’Equipe Notre Dame, di Incontro matrimoniale, del Rinnovamento nello Spirito, dei Focolari, del movimento Pro Familia, dell’Azione cattolica, che aveva allora un vivace settore famiglia, e di tante altre realtà. Con il tempo queste presenze sono un po’ venute meno. Forse perché i movimenti sono un po’ in crisi, forse perché si è deciso di puntare con maggior decisione sulla partecipazione delle famiglie legate alle varie diocesi

Cosa lasciano queste “Settimane” alle famiglie, a livello di crescita culturale e pastorale?

Fanno crescere certamente la consapevolezza sul ruolo della coppia e della famiglia nella Chiesa. E regalano profondi spunti teologici e pastorali. D’altra parte, lasciano anche una certa frustrazione perché si vede come il rinnovamento pastorale di base, parlo delle nostre parrocchie, va raramente di pari passo con gli stimoli che arrivano da questi incontri nazionali. È come se ci fosse uno scollamento tra la teoria teologica e pastorale, sempre molto coinvolgente, e le proposte di base. Credo che il marcato clericalismo e una certa impostazione tutta focalizzata sulla preparazione ai sacramenti abbia finito per rendere difficile l’apertura verso nuovi sbocchi. Qualche parliamo di “ministerialità della coppia” poi è sempre difficile capire come tradurre questo concetto nella pastorale ordinaria delle parrocchie.

Non è che le “Settimane” hanno offerto tanta teologia d’avanguardia e pochi spunti per la prassi pastorale?

Ma no, all’interno dei vari convegni c’è sempre stata la preoccupazione di fornire indicazioni pastorali concrete. Dopo le relazioni non sono mai mancati i gruppi di lavoro. E dai gruppi sono sempre uscite schede pensate proprio per far funzionare meglio la pastorale ordinaria. Un lavoro “pronto all’uso” che, certo, poi dev’essere portato nelle parrocchie e accettato.

In venticinque anni le “Settimane” hanno affrontato tanti temi importanti per la vita di fede delle coppie e delle famiglie. Oggi, parlando di pastorale familiare, qual è l’argomento che andrebbe approfondito con urgenza?

Credo la trasmissione della fede. Anche tra le famiglie “belle e buone” – una battuta, naturalmente, non esiste la famiglia ideale - che si occupano di pastorale familiare e frequentano, per esempio, la “Settimana” Cei e altri appuntamenti nazionali, ci sono molti casi complicati. Figli che non seguono i genitori, che rifiutano l’idea del matrimonio, che preferiscono attese infinite o che scelgono la convivenza. Se questo succede con “famiglie doc” è facile pensare che il problema sia avvertito in modo ancora più palpabile nel resto dei nuclei familiari. E sono questioni che ci interrogano e ci sollecitano a tentare nuovi percorsi.

di Barbara Garavaglia

da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 24 aprile 2024

Mangia abbastanza? Perché non dorme mai? Per le neo mamme spaventate e sole adesso c'è una figura di supporto. Volontarie esperte che offrono sostegno e consigli. Ecco dove trovarle.-

Image 84

Per molte è il primo bambino che tengono tra le braccia. Un piccolissimo essere umano, leggero, delicato, dipendente totalmente dagli altri per sopravvivere. Un piccolo essere umano, in quest’ottica, “pesantissimo” da portare. Il neonato mangia, dorme, a volte piange: tutto è nuovo per i genitori, tutto è nuovo per il bambino. Le domande si susseguono nella mente dei neo genitori. Quel pianto sarà eccessivo? Sarà il sintomo di un malessere? Si attacca bene al seno per la poppata, oppure non mangia abbastanza e incamera aria? Sarò una buona mamma anche se allatto con il biberon? Capita anche ad altri che il bimbo si svegli ogni due ore per mangiare? Coperta, berretta, calzine, oppure body e golfino? Ciuccio? Sarò incosciente a uscire con il vento? E se lo svezzamento non funzionasse, come potremmo fare?

Tutto ruota attorno alla diade mamma-bambino, in teoria. La mamma che ha tra le braccia, nella mente, in ogni fibra del proprio corpo il bambino, è stanca – come potrebbe non esserlo, dato anche lo scarso ricorso al congedo parentale -, ha anche una casa a cui prestare un po’ di attenzione, una dispensa da riempire, un lavoro che spesso non riesce a mettere in pausa. Come sarebbe bello se il parente di turno passasse uno straccio sul pavimento, ritirasse la biancheria asciutta, portasse, perché no, una teglia di lasagne da poter utilizzare in caso di emergenza. Invece capita sovente che dispensi consigli non richiesti su pappe, nanne, coccole, senza entrare nella concretezza oppure nella discrezione che caratterizza un aiuto fruttuoso.

Ci sono sempre più donne che vivono lontane dai parenti e dagli amici e che affrontano la maternità da sole.

L’esigenza di avere un aiuto è chiara, ma non sempre si incanala in una richiesta di sostegno. Un sostegno magari fornito da chi ha vissuto lo stesso cambiamento, in tempi recenti. Un aiuto “alla pari” che non metta a disagio, non faccia sentire mancanti e inadeguati, ma che rafforzi, rincuori, che dia consigli davvero utili.

Esiste anche in Italia una rete di “mamme alla pari”, figura prevista da Oms-Unicef. Sono donne che seguono percorsi di formazione e che si mettono a disposizione, gratuitamente, di altre mamme per accompagnarle, sostenerle, consigliarle, soprattutto nei primi mesi di vita del bambino. Spesso legate a consultori, ospedali, a realtà che si occupano di favorire l’allattamento al seno, queste mamme alla pari, che non sostituiscono figure professionali specifiche, si affiancano alle madri, portando anzitutto la propria esperienza, riuscendo così a sfondare la barriera della solitudine, delle paure grandi o piccole che possono attanagliare i pensieri di una donna che ha da poco dato alla luce un figlio.

Sentire raccontare che anche altre donne hanno un bimbo che si sveglia o che rigurgita, avere accanto qualcuno che ti consiglia su come provare a svezzare il bambino, che ti offre un suggerimento sul cibo, sull’abbigliamento, sulla cura del corpo, diventa importante.

“È una figura preziosa – rimarca Giorgia Cozza, giornalista, autrice di libri dedicati alla genitorialità e alle maternità -, non ancora abbastanza conosciuta, che si può maggiormente diffondere. È preziosa proprio perché le mamme sono oggi molto sole. La realtà di molte mamme è questa, con la famiglia di origine lontana, oppure con genitori ancora impegnati col lavoro oppure non danno quel tipo di sostegno di cui la mamma avrebbe bisogno. Infatti può capitare che i parenti offrano consigli non utili, se non critiche e giudizi, e manchi quell’aiuto pratico che sarebbe necessario”.

“Ci sono anche parenti ben intenzionati – prosegue Cozza - ma le informazioni che ha a disposizione la nonna di oggi, talvolta non sono aggiornate. Quando loro sono diventate mamme c’erano altri approcci alla genitorialità e altre indicazioni. Ci sono anche pregiudizi rispetto alle coccole, al contatto fisico. Perché il bimbo ha bisogno di latte, ma anche di coccole per crescere e per crescere bene. E una mamma si sente dire che lo vizia…”.

Le neo mamme di oggi si trovano di fronte anche a un’altra realtà, ovvero quella del disfacimento di una rete parentale e amicale che un tempo era più presente. “C’era un tempo – aggiunge Giorgia Cozza – anche un patrimonio di conoscenze che si tramandava. In più le mamme sono sole perché i padri sono partecipi e coinvolti nella cura dei bambini, anche molto piccoli, ma il congedo per i papà è di dieci giorni e quindi, all’undicesimo giorno di vita del figlio, la maggior parte delle madri italiane si trova da sole, in casa, col neonato, dalla mattina alla sera. È meraviglioso, certo, ma è anche molto impegnativo a livello fisico, mentale. Una mamma alla pari, in questo quadro, è davvero una figura preziosa”.

Mettersi al fianco di chi è da poco genitore, diventa importante, essere lì senza pregiudizi e senza pretese è fondamentale: “Lei sa, conosce la tua stanchezza, i tuoi dubbi, la tua paura di sbagliare, perché l’ha vissuta da poco – specifica Cozza -. Le mamme alla pari sono persone formate su temi di allattamento e accudimento. In più questo è un supporto volontario, quindi anche chi è in un momento di fatica finanziaria può, senza esitare, chiedere aiuto”.

Sorge però una domanda, ovvero se sia naturale domandare aiuto: “Purtroppo no. Tante mamme temono che chiedere aiuto sia sintomo di una inadeguatezza. Questo perché viviamo in una società che butta sulle madri delle aspettative irrealistiche. Sei mamma – conclude Cozza -? Devi essere sempre felice, super efficiente, devi essere sempre al massimo. Puoi dire di essere stanca? Purtroppo non è così”.

Alessandra Jerman è una “mamma alla pari” di Trieste; una mamma alla pari, o meglio, come ella stessa si definisce: “Quella sorella che non hai”. Perché attorno alle neo madri e in generale ai neo genitori, spesso, manca quel tessuto sociale, quel “villaggio” con cui condividere l’avventura della genitorialità. “Un primo gruppo di volontarie – racconta Alessandra Jerman – nacque nel 2014 quando l’Azienda sanitaria, per diventare comunità amica dei bambini dell’Unicef, ha dovuto compiere dei passi; uno di questi era appunto la “rete”. Ci siamo formate… Pian piano abbiamo sentito l’esigenza di diventare comitato e poi, nel 2018, associazione. Attualmente siamo una ventina di soci e quindici volontarie. Abbiamo risposto a una esigenza provata, perché siamo tutte donne che hanno provato diversi tipi di allattamento. Abbiamo tutte compreso che, quando diventi mamma, ti si apre un mondo: puoi leggere, informarti, ma ti sentirai comunque un po’ disorientata. Tante volte nella comunità odierna manca quello che era una volta il villaggio. Come mamme alla pari continuiamo a formarci, anche perché le mamme oggi sono preparate. Non ci sostituiamo mai ai sanitari, ma rimandiamo al professionista di riferimento. Diamo il consiglio di “chi ci è già passato””.

Come specifica questa “mamma alla pari”, il dato caratterizzante è quello della solitudine. Basta poco, perciò, un pensiero, un consiglio, qualcuno pronto a condividere un pezzo di strada per far riemergere dalla fatica: “Sapere che c’è un orecchio che ti ascolta, perché a volte si risolvono le cose con una telefonata, è importante. Alla mamma spesso basta il sentirsi libera di esprimersi, senza sentirsi addosso un giudizio. Oltre a consulenze personali, facciamo incontri mensili su temi caldi, come il sonno, le pappe. In questi anni cresce la frequentazione dei papà e anche delle nonne. Durante il Covid, facendo incontri on line, si collegavano anche i neo padri. Caldamente invitiamo sempre agli incontri tematici più persone, come le nonne che accudiscono i bimbi e che quindi possono aggiornare le loro conoscenze. Tutto perché chi sta attorno alla mamma non sia di ostacolo, ma sia un vero aiuto”.

Il gruppo di Trieste è entrato in contatto, lo scorso anno, con circa duecento donne. Non sempre però le mamme hanno la determinazione di chiamare, di entrare in una rete di supporto: “A volte però – aggiunge Alessandra – ci chiamano anche papà, o nonne perché osservano qualcosa nella neo mamma. E questa attenzione nel cogliere una difficoltà nella donna, diventa già positiva. Si appianano piccoli conflitti, si risolvono piccole situazioni stressanti. Il nostro aiuto è un sostegno morale, è essere quella sorella, quella cugina che non hai, che portava quell’esperienza che non si ha maturato. Il nostro servizio è impegnativo, ma gratificante. Siamo un anello importante, in un’epoca in cui manca il “villaggio” di riferimento”.

di Andrea Zaghi, Torino 
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 26 aprile 2024

La giovane educatrice di origini marocchine è l'anima e il braccio del Circolo Banfo in Barriera Milano, dove ragazzi e bambini in difficoltà trovano uno spazio sicuro per crescere.-

Image 83

Kenza parla con due bimbi della scuola d'infanzia di Torino

C'è un'altra resistenza, o una resistenza nuova. La portano avanti donne e uomini sconosciuti, tra le mille difficoltà del quotidiano, in un'Italia liberata dalla guerra e dal fascismo ma non dai nemici della convivenza civile e della democrazia: le mafie e l'illegalità, il razzismo e il pregiudizio verso il diverso, l'abbandono e il degrado delle periferie e degli ultimi, la violenza sulle donne e la cancellazione dei diritti. Polemiche e scontri politici offuscanoil significato di una data che è simbolo di lotta e riscatto dal male. Il Paese, alle prese con tanti problemi, esprime ancora queste forze. Avvenire in occasione del 25 aprile ha deciso di raccontare tre storie di “resistenti”: quella di Kenza che leggete qui sotto, quella di Pino col suo ristorante e la sua cooperativa sociale più forti delle minacce e delle intimidazioni e quella di Massimo Baroni, il padre della giovanissima Alba Chiara uccisa nel 2017 in Trentino dal suo ex fidanzato, impegnato in prima linea accanto alle donne nella lotta contro la violenza e per la parità.

I pregiudizi fanno male sulla pelle. Un male fisico, profondo. «Eppure si possono superare, si resiste. Il punto è che non ci si riesce da soli. Niente si può fare da soli. E quando si capisce questo, allora si capisce anche che l’unico modo per uscire dalle discriminazioni e dai pregiudizi è guardare agli altri e cercare di capirli».
Kenza Kissou ha 26 anni, è nata a Casablanca ed è arrivata a Torino quando di anni ne aveva 5. «I miei genitori – dice adesso – avevano fatto domanda per farmi andare alla scuola materna: sono stata respinta perché in classe gli stranieri erano troppi. Nel 2020 in quella stessa scuola io sono entrata come educatrice». Kenza racconta il suo impegno a Barriera di Milano, forse uno dei quartieri più difficili di Torino, e dice subito: «Qui si possono fare cose bellissime. Basta volerlo».

Le “cose bellissime” si concentrano al Circolo Antonio Banfo, un luogo che ha tanta storia da raccontare. Banfo era un operaio comunista che lavorava alla Fiat Grandi Motori negli anni Trenta, amava la cultura e i diritti ed era antifascista: fu trovato morto il mattino del 18 Aprile del 1945, pochi giorni prima della liberazione della città. Per questo il circolo porta il suo nome. Lì, prima di Kenza e di molti altri giovani, sono passati personaggi come Salvatore Quasimodo e Italo Calvino. Ma poco importa, perchéquello che conta oggi è che al Banfo si fa resistenza al degrado della vita. «Tutto sta nel superare i pregiudizi. Gli italiani pensano che chi arriva qui sia solo dedito al crimine – spiega Kenza –, mentre chi arriva qui pensa che gli italiani odino a prescindere. È davvero questione di culture che, spesso, non riescono ad incontrarsi». Il lavoro di Kenza Kissou si colloca proprio in quell’area di confine, la sottile linea dalla quale può scaturire il dialogo oppure lo scontro. E quel dialogo che iniziare dall’infanzia: «Lavoro come educatrice in una cooperativa per i bambini da 0 a 6 anni e per quelli da 6 a 12. Mi interesso anche di temi sociali, culturali, di musica e di arte. Al Banfo mi occupo del doposcuola: chi è arrivato qui nel 2016 come ragazzo che doveva fare i compiti, dopo si è accorto di essere cresciuto e di poter aiutare gli altri più giovani di lui a fare i loro compiti. E dopo i giovani sono arrivate le madri e poi i padri. Qui c’è un forte senso di comunità che si può creare solo in un quartiere con tante difficoltà».

Eppure, si diceva, gli stereotipi sono tanti. Talvolta troppi. Kenza racconta un episodio accaduto proprio al Banfo: «Un giorno arriva un ragazzo mandato qui dagli assistenti sociali. Lo accolgo io. Di lui mi viene detto solo il nome, il cognome, l’età e che ha rubato un coltellino all’Ikea. Quel ragazzo era solo questo: un ladro di coltellini con un nome. È una cosa triste. Non si può ridurre una persona ad uno sbaglio». Kenza prova a guardare oltre gli sbagli dei giovani: «Offriamo – spiega – quello che si chiama un safe space, uno spazio sicuro dove fare musica, arte, studiare, crescere». E attenzione, anche alle famiglie. «Mi ha colpito qualche tempo fa un altro episodio. C’era un ragazzo con una famiglia che non reagiva a nessuna comunicazione. Una famiglia fantasma. Poi abbiamo scoperto che padre e madre di questo ragazzo non potevano comunicare normalmente perché erano entrambi analfabeti».

Resistere significa capire: «Non è facile, occorre superare barriere invisibili ma grandissime. Non significa solo guardare il bello oppure il brutto, ma adattarsi al contesto di ogni singola persona che incontri. E resistenza sta anche nel contrapporsi alle dinamiche che ti spingono lungo una strada prestabilita. Ma cambiare strada significa anche essere capaci di riconoscere l’altro, senza per questo dimenticare le proprie radici culturali». E i pregiudizi pesano così tanto anche a 26 anni? «Certamente. Perché lasciano il segno. Ne ho sopportato moltissimi, ad iniziare dalla storpiatura del nome per arrivare alle domande sulle mie capacità. Ma sono qui».

Image 81

di Adriana Masotti

da www.chiesadimilano.it
@Riproduzione Riservata del 26 aprile 2024

In 60 mila hanno accolto Francesco in Piazza San Pietro per l'incontro intitolato «A braccia aperte»: sono tanti gli abbracci, quelli mancati e causa di tanti conflitti «in questi giorni sotto i nostri occhi», quelli che salvano e quelli che cambiano la vita.-

Image 82

Da Vatican News

«Poco fa, passando in mezzo a voi, ho incrociato sguardi pieni di gioia e pieni di speranza. Grazie per questo abbraccio così intenso e bello»: così papa Francesco ieri mattina in Piazza San Pietro. Circa 60 mila soci e amici dell’Azione Cattolica Italiana provenienti da tutta Italia sono arrivati qui per incontrarlo, per ascoltare la sua parola e fare festa insieme a lui. Adulti, giovani e ragazzi hanno viaggiato diretti a Roma con oltre 600 pullman, ma anche in treno e con migliaia di auto, con la voglia di costruire un futuro di pace e di speranza, impegnati a essere discepoli e missionari, corresponsabili della costruzione del bene comune. «A braccia aperte», il titolo dell’incontro che vuol esprimere questo camminare insieme valorizzando le diversità e andando incontro agli uomini e alle donne di oggi.

Francesco arriva alle 9.45. Dopo un lungo giro in papamobile, il Papa prende la parola: «L’abbraccio è una delle espressioni più spontanee dell’esperienza umana», afferma, facendo riferimento al tema dell’incontro. Per ognuno di noi, al primo abbraccio dei genitori ne seguono tanti altri, ma la nostra vita è soprattutto «avvolta dal grande abbraccio di Dio, che ci ama, ci ama per primo». Tre i tipi di abbraccio che Francesco dice di voler proporre alla riflessione dei presenti, «l’abbraccio che manca, l’abbraccio che salva, l’abbraccio che cambia la vita».

L’abbraccio che manca

«Non sempre i sentimenti di amicizia e di accoglienza che l’abbraccio manifesta sono compresi e accettati nelle società – afferma il Papa -, spesso trovano resistenza e opposizione fino ad arrivare ai conflitti: Sì, all’origine delle guerre ci sono spesso abbracci mancati o rifiutati, a cui seguono pregiudizi, incomprensioni e sospetti, fino a vedere nell’altro un nemico. E tutto ciò purtroppo, in questi giorni, è sotto i nostri occhi, in troppe parti del mondo! Con la vostra presenza e con il vostro lavoro, invece, voi potete testimoniare a tutti che la via dell’abbraccio è la via della vita».

L’abbraccio che salva

C’è poi l’abbraccio che è salvezza: succede quando ai valori positivi insiti in questo gesto si aggiunge la dimensione della fede al cui centro c’è proprio «l’abbraccio misericordioso di Dio che salva» e che Gesù morendo in croce ci ha dimostrato donando la sua vita. E questo, afferma Francesco, «perché anche noi impariamo a fare lo stesso».

«Perciò, non perdiamo mai di vista l’abbraccio del Padre che salva, paradigma della vita e cuore del Vangelo, modello di radicalità dell’amore, che si nutre e si ispira al dono gratuito e sempre sovrabbondante di Dio. Fratelli e sorelle, lasciamoci abbracciare da Lui, come bambini. Ognuno di noi ha nel cuore qualcosa di bambino che ha bisogno di un abbraccio. Lasciamoci abbracciare dal Signore. Così, nell’abbraccio del Signore impariamo per poter ad abbracciare gli altri».

L’abbraccio che cambia la vita

Il Papa ricorda che molte volte un abbraccio dato e ricevuto ha cambiato una vita. Come è accaduto a Francesco d’Assisi, per esempio, che decise di seguire Cristo «dopo aver stretto a sé un lebbroso». Questo è valido anche per la vostra associazione, sottolinea Francesco, «che trova il denominatore comune proprio nell’abbraccio della carità, unico contrassegno essenziale dei discepoli di Cristo». La raccomandazione è allora che sia la carità «a plasmare ogni vostro sforzo e servizio, perché possiate vivere fedeli alla vostra vocazione e alla vostra storia» e per porre segni concreti di cambiamento a tutti i livelli della vita sociale. Il Pontefice prosegue: «Allora, fratelli e sorelle, la “cultura dell’abbraccio”, attraverso i vostri cammini personali e comunitari, crescerà nella Chiesa e nella società, rinnovando le relazioni familiari ed educative, rinnovando i processi di riconciliazione e di giustizia, rinnovando gli sforzi di comunione e di corresponsabilità, costruendo legami per un futuro di pace».

Siate «atleti e portabandiera di sinodalità»

Papa Francesco si avvia alla conclusione del suo discorso facendo un riferimento al Sinodo, un pensiero suggerito dal vedere così tante persone riunite insieme. Il percorso sinodale, ricorda il Papa, giunge ormai alla sua terza tappa, «la più impegnativa e importante, quella profetica» che significa tradurre il lavoro fatto fin qui «in scelte che diano slancio e vita nuova alla missione della Chiesa nel nostro tempo». E aggiunge: «Ma la cosa più importante di questo Sinodo è la sinodalità. Per questo c’è bisogno di gente forgiata dallo Spirito, di “pellegrini di speranza”, di uomini e donne sinodali, che sappiano dialogare, interloquire, cercare insieme, come dice il tema del Giubileo ormai vicino, uomini e donne capaci di tracciare e percorrere sentieri nuovi e impegnativi. Vi invito dunque a essere “atleti e portabandiera di sinodalità”, nelle diocesi e nelle parrocchie di cui fate parte, per una piena attuazione del cammino».

L’Assemblea

Nel pomeriggio, a Sacrofano, si è aperta la XVIII Assemblea nazionale elettiva dell’associazione per eleggere il Consiglio nazionale per il triennio 2024-2027.  Ad aprire i lavori che si concluderanno giovedì 28 aprile, l’intervento di monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica Italiana, mentre il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, ha celebrato la Messa alle 19.30. All’assemblea saranno presenti inoltre il cardinale Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, il presidente della Cei cardinale Matteo Zuppi e il cardinale Mario Grech, segretario generale della Segreteria generale del Sinodo.

Image 80

di Stefania Cecchetti

da www.chiesadimilano.it
@Riproduzione Riservata del 24 aprile 2024

Il vicepresidente del Centro ambrosiano di aiuto alla vita interviene sull'emendamento alla legge sull'aborto inserito nelle nuove disposizioni per l'attuazione del Pnrr, che nei giorni scorsi ha suscitato numerose polemiche.-

Image 79

Sono state appena approvate dal Senato le nuove disposizioni per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), all’interno delle quali si trova l’emendamento alla legge 194, sulla presenza nei consultori delle associazioni pro-vita, che ha causato forti polemiche nei giorni scorsi. Ne abbiamo parlato con Giulio Boati, vicepresidente del Centro ambrosiano di aiuto alla vita.

Qualcuno ha parlato di attacco alla legge 194. Lei cosa ne pensa?
Ho trovato poca felice l’idea di inserire questo emendamento nelle disposizioni per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che poco ha a che fare con la legge 194, tanto che dall’opinione pubblica, soprattutto quella laica, questa mossa è stata avvertita come una specie di “colpo di mano”. Credo invece che questi temi meriterebbero un dibattito ben più attento e approfondito

Da che punto di vista?
Per esempio andrebbe approfondito il discorso sulla reale applicazione della legge 194, secondo cui è previsto che quando una donna si presenta, nella maggior parte dei casi in un consultorio, per la richiesta di un certificato per abortire, non ci si limiti a una datazione ginecologica dell’età del feto, ma le vengano presentate tutte le possibilità di scelta, in modo che la sua decisione sia effettivamente libera e non dettata solo da ragioni economiche, dalla paura o da motivi di altro genere. Infatti la legge 194 prevede che alla donna sia fornito un adeguato sostegno psicologico e un secondo appuntamento a distanza di 15 giorni. Io ho qualche dubbio che questo avvenga davvero nella maggior parte dei casi.
Posso dire invece con certezza che questo è lo stile con cui cerchiamo di lavorare noi e le associazioni come la nostra: non tanto fare opera di dissuasione, quanto cercare di offrire un aiuto alla donna che si trova in difficoltà. Lasciandola comunque libera di decidere se, nonostante le possibilità di aiuto proposte, vuole comunque abortire.
Da diversi anni siamo presenti con uno sportello all’Ospedale San Carlo di Milano. Ci aveva chiamati il professor Buscaglia, uno dei medici abortisti della prima ora, perché lui era convinto che, senza avere davanti tutte le possibilità di scelta, una donna non fosse veramente in grado di decidere liberamente.

Di cosa ha più bisogno una donna in difficoltà a causa di una gravidanza inattesa?
La statistica è enorme, non c’è una regola precisa in queste cose, ma direi che la cosa che le donne chiedono di più è di non sentirsi sole, di sentire che la loro gravidanza non è un affare privato. Purtroppo, invece, la maternità è vissuta per il 90% dei casi in solitudine, anche in situazioni non problematiche.
Ogni donna deve cambiare i suoi ritmi di vita, non può più fare le cose che faceva prima, si allontana dalle amicizie di sempre, dal suo lavoro. Questo può generare una serie di problematiche, anche psicologiche, a cui la nostra società non è in grado di rispondere. Quello di cui ci sarebbe bisogno è una vicinanza vera, una serie di reti, anche culturali, che sostengano una mamma. Per dirla con gli africani, servirebbe un intero villaggio per crescere un bambino, perché i figli non sono solo affare delle donne, sono una questione sociale.

Di contro invece, ogni dibattito sulla legge 194 è un affare non solo sociale, ma addirittura politico, come dimostrano le polemiche di questi giorni…
Sì, ma è un dibattito ideologico, non sostanziale, che si riaccende davanti a casi sconcertanti, come il neonato lasciato nel cassonetto, ma che poi non affronta davvero le questioni. Per farlo è necessario impostare un dialogo serio, che non si nutra solo di slogan vecchi di anni. Ma se non riusciamo nemmeno a mettere in piazza a Milano una statua che raffigura una maternità direi che su questi temi siamo proprio lontani da un dibattito sereno.

da www.diocesitortona.it
@Riproduzione Riservata del 26 aprile 2024

Anche a Tortona ieri mattina si è svolta, presso il monumento in corso Leoniero, la tradizionale cerimonia del 25 aprile, organizzata dal Comune insieme all’Anpi Tortona, dedicata quest’anno al ruolo delle donne nella Resistenza sul territorio. 

 Prima la messa in duomo, officiata dal vescovo Guido Marino, poi il corteo che percorrendo corso Leoniero, alle 10.15 e la deposizione della corona di alloro al monumento ai Caduti, con l'esibizione musicale del coro dei bambini della Civica Accademia "Lorenzo Perosi”.

 A seguire i saluti istituzionali del Sindaco Federico Chiodi, che, non potendo per le nuove normi pronunciare in periodo elettorale nemmeno discorsi istituzionali, ha letto un messaggio del prefetto di Alessandria. Poi gli interventi delle donne, su cui la cerimonia era incentrata: Alexia Cellerino, nipote di Dolores Alberghini, staffetta partigiana alla quale è dedicato il Quaderno dell'ANPI 2024, e le testimonianze di Isabella Ercolini, Oumemia Khemiri, Ketrin Kurti e Lucrezia Teti sul tema "Libertà è donna". 

 Infine, le premiazioni del concorso “La Costituzione oggi”: i riconoscimenti sono andati alla classe 4’AA Chimica e alla 5’ AS Scienze applicate dell’Istituto “Marconi”, alla classe II del corso Operatore del benessere dell’istituto “Santachiara”, alla 2’ A Scienze umane del Liceo “Peano” e al CIOFS FP “San Giuseppe” che custodirà per i prossimi dodici mesi la bandiera della Brigata partigiana “Arzani”.  Nel pomeriggio, a Castellar Ponzano, la cerimonia in ricordo di Bruno Prati, ucciso alla Benedicta.

@Riproduzione Riservata

Molino De Torti

@Riproduzione Riservata

Lions Castello Visconteo

di Redazione

da www.bambinopoli.it
@Riproduzione Riservata del 23 aprile 2024

Il raffreddore nei neonati rappresenta una delle principali preoccupazioni per i neogenitori. Ecco alcuni consigli utili. -

Image 78

Il raffreddore nei neonati rappresenta una delle principali preoccupazioni per i neogenitori. Anche se è una malattia comune e solitamente lieve, la gestione dei sintomi nei più piccoli può essere fonte di ansia e incertezza. Il sistema immunitario di un neonato è ancora in via di sviluppo, e questo lo rende più suscettibile alle infezioni rispetto agli adulti. Inoltre, i neonati non possono esprimere il proprio disagio e ciò complica la comprensione delle loro esigenze da parte dei genitori.

Identificazione dei sintomi del raffreddore nei neonati

Il raffreddore nei neonati si manifesta con sintomi simili a quelli degli adulti, ma con alcune peculiarità che necessitano un'attenzione particolare. I genitori possono notare che il loro bambino è più irritabile del solito, ha difficoltà a dormire, o mostra una perdita di appetito. 

I sintomi respiratori includono naso che cola o congestionato, starnuti frequenti e, talvolta, tosse. È essenziale monitorare questi sintomi per comprendere se il bambino sta solamente manifestando un lieve raffreddore o se sono presenti complicazioni che richiedono un intervento medico.

L'importanza di mantenere le vie aeree pulite

Uno degli aspetti fondamentali nella gestione del raffreddore nei neonati è mantenere libere le vie aeree. Un naso congestionato può causare notevole disagio in un neonato, interferendo con l'allattamento e il sonno. In questo contesto, dispositivi come il tira muco si rivelano strumenti preziosi. Potete trovare ottimi tira muco per neonati su Notino. Questi dispositivi sono progettati per essere delicati e efficaci, permettendo ai genitori di aiutare i loro bambini a liberarsi delle secrezioni nasali in modo sicuro.

Trattamenti e rimedi casalinghi

Nonostante la tentazione di ricorrere a farmaci, è importante ricordare che molti farmaci da banco non sono sicuri per i neonati. Pertanto, i trattamenti per i raffreddori nei più piccoli tendono a concentrarsi sul confort e sui rimedi naturali. L'umidificatore, per esempio, può aiutare a mantenere l'aria umida e alleviare la congestione nasale del bambino.
Altre pratiche includono tenere il bambino in posizione eretta durante l'allattamento e assicurare che il neonato sia adeguatamente idratato. Questi semplici gesti possono fare una grande differenza nel livello di confort del bambino.

Quando consultare un medico

È cruciale sapere quando un raffreddore richiede attenzione medica. Se i sintomi persistono per più di una settimana, se il bambino presenta febbre alta o difficoltà respiratorie, o se si notano segni di disidratazione, è imperativo contattare un pediatra. Inoltre, respirazione affannosa, pianto incessante o una improvvisa peggioramento delle condizioni generali sono tutti segnali che non devono essere ignorati.

Strategie preventive

Prevenire il raffreddore nei neonati è altrettanto importante quanto saperlo gestire. Pratiche come lavare frequentemente le mani, evitare il contatto con persone malate, e mantenere puliti gli ambienti in cui il neonato trascorre la maggior parte del tempo sono fondamentali. Inoltre, è benefico per i genitori conoscere i principi di una corretta nutrizione e di uno stile di vita sano per rafforzare il sistema immunitario del loro bambino fin dai primi mesi di vita.

L'educazione dei genitori sulle pratiche sanitarie e sui comportamenti preventivi può avere un impatto significativo sulla salute dei neonati. Essere informati non solo aiuta a gestire meglio le malattie quando si presentano, ma può anche ridurre la loro frequenza, garantendo ai bambini un inizio di vita più sano e sereno.

CAV Voghera

L'Associazione Vogherese di volontariato, che aiuta gratuitamente la donna in difficoltà ad accogliere la vita, superando le difficoltà.

Donazioni

Se vuoi fare una donazione questo è il nostro IBAN:
IT91 X030 6909 6061 0000 0066 901 c/o Intesa Sanpaolo Milano

Sostienici con il 5 per mille

L'Associazione Vogherese di volontariato, che aiuta gratuitamente la donna in difficoltà ad accogliere la vita, superando le difficoltà.
Cod. Fiscale:  95007440183
Top