di Il blog delle mamme
I limiti possono insegnare a crescere più consapevolmente, trovare le proprie risorse e aiutare i bambini a vivere meglio... con se stessi e con gli altri.-
Che cosa significa insegnare a un bambino l'importanza dei limiti? Prima dei piccoli l'avventura inizia dal genitore, perché capire il senso del limite è una sfida... a ogni età.
Spesso vissuto e recepito in senso negativo, il limite è qualcosa di ben diverso. Iniziamo dal vocabolario. Viene definito limite un valore dal quale risulta condizionata l'entità o l'estensione di un'attività... di un'azione o un comportamento. Attenzione, il limite circoscrive il confine: disegna la linea sottile entro cui ci possiamo muovere e fare esperienza nello spazio. È il motivo per cui sperimentare i limiti significa diventare più consapevoli di ciò che possiamo e ciò che non possiamo. Impariamo a conoscere il pericolo e quello che non lo è, camminiamo nel territorio del noto e iniziamo a correre il rischio esplorando l'ignoto.
Nessuno può oltrepassare la fine, recita un antico proverbio: riflettere sui limiti significa riconoscere il proprio potere e iniziare a costruire il potenziale che ognuno di noi ha, consapevole che gli strumenti possono essere molto differenti, a seconda delle persone e dei contesti. Il cancello che segna il confine oltre il quale non è possibile andare ci insegna che sapersi fermare in alcuni casi protegge la nostra incolumità. Lo stesso cancello, limite in senso fisico e simbolico, a seconda dei casi si trasforma anche nel punto da dove guardare l'infinito. Per andare avanti, con coraggio, e sapere quando siamo in grado di farcela, per uscire dagli schemi e andare verso il mondo forti sulle proprie gambe, grazie alle risorse che abbiamo imparato a trovare.
Perché è difficile dire no a chi si ama? Negare significa essere in grado di sopportare la frustrazione dell'altro e questa capacità non è qualcosa di cui siamo corredati fin dalla nascita: l'abbiamo appresa, e a fatica, grazie alle esperienze di vita e sopportando noi stessi il senso acuto dell'insoddisfazione. Prima di essere genitori c'è bisogno di digerire e metabolizzare ciò che per ognuno significa essere figli: un processo non scontato, una lezione che forse non ha mai fine.
Le regole in questo senso non hanno valore in sé. Non esiste una regola che vale sempre e questo ogni genitore lo sa bene. Il termine 'regola' deriva dalla lingua latina, dal verbo 'regere', guidare dritto. Dare regole è atto d'amore perché accompagna nella vita: esse sono funzionali rispetto ai valori che consideriamo importanti e che desideriamo trasmettere. Sedersi a tavolino insieme al partner e accettare di negoziare lo stile educativo meditando il proprio vissuto è un atto di umiltà, consapevoli che la relazione, con un figlio e con chiunque, è sempre in costante trasformazione, destinata a completarsi non sulle pagine del passato, bensì nel presente.
Il bambino ideale sognato prima di diventare genitori non esiste: davanti a noi c'è e ci sarà sempre una persona in carne e ossa, contro cui si infrange ogni convinzione, sistema o pedagogia prefissata. Ogni giorno ci confrontiamo con un essere umano che, come noi, ha un suo carattere, sogni e bisogni differenti. I limiti non sono mai un concetto generale, ecco il motivo per cui hanno bisogno di essere ridiscussi (sempre!) e non funzionano granché se applicati in maniera indiscriminata. Ogni bambino è unico. E lo è anche il suo cammino nel mondo, perché lo spazio che possiamo e vogliamo percorrere è un viaggio in costante cambiamento. Anno dopo anno, momento per momento.
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@Riproduzione Riservata del 01 ottobre 2017
«Cosa vuoi fare da grande?» è la domanda che ognuno di noi si è sentito rivolgere da bambino e a cui si è risposto nei modi più svariati. Quando poi arrivano le prime scelte - dalla scuola secondaria da frequentare- servel’equilibrio tra passioni e un percorso di studi che permetta di entrare più facilmente nel mondo del lavoro. L’alternanza scuola- lavoro è un’occasione preziosa per capire cosa significa entrare in un contesto lavorativo: si può respirare la dimensione di un ufficio, un’officina o una Pubblica amministrazione. iniziando a capire se quell’ambiente – con le attività e le relazioni che lo caratterizzano - risponda alle proprie aspirazioni. C’è un altro aspetto rilevante: i progetti di alternanza rafforzano nei giovani quella riflessione attorno al proprio futuro così fondamentale per avere obiettivi chiari, porsi domande e gestire ostacoli e crisi che arriveranno. E offrono un’occasione per chi in quegli ambienti ci lavora da tempo per confrontarsi col mondo dei “millenials”, esercitandosi a uno scambio di esperienze e punti di vista.
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@Riproduzione Riservata del 25 settembre 2017
L’alternanza scuola-lavoro (di cui parleremo con gli esperti di The Adecco Group Italia in diretta Facebook giovedì 28 alle 15,30) è stata istituita dalla Legge 107/2015, si sviluppa lungo gli ultimi tre anni di scuole superiori e prevede 200 ore per i licei e 400 ore per gli istituti tecnici. Si tratta di una bella opportunità per i ragazzi, perché oggi che il sapere e il saper fare sono fasi della vita non disgiunte come un tempo, ma intersecate, occorre ampliare presto il proprio sguardo culturale e professionale. Come? Uscendo dalle aule e cogliendo sfide e opportunità dentro le aziende. Per conoscere al- cune delle esperienze più significative e strutturate di alternanza scuola-lavoro abbiamo sentito Cristina Cancer, Head of Talent Attraction and Academic Partnership di The Adecco Group Italia, società che ha creato una divisione specifica per far dialogare istituti superiori (ma anche università) e mondo del lavoro.
Un ponte tra aziende e scuole. «Vista la nostra presenza capilla- re sul territorio» spiega Cristina Cancer «riusciamo a mettere in contatto le scuole e le imprese, le quali spesso propongono pro- getti che coinvolgono per l’intero anno scolastico i ragazzi in mo- do concreto e produttivo».
Un’opportunità per gli studenti. «La nostra missione» continua Cristina Cancer «è fare attività di orientamento che consentano ai giovani di acquisire consapevolezza sulle loro competenze e su quanto richiede il mercato. L’alternanza scuola-lavoro si snoda lungo gli ultimi 3 anni di superiori e noi offriamo contenuti specifici per ciascuno di essi: da quali siano, e come vadano sfoderate, le soft skills fino ad arrivare a un percorso pensato per ogni singolo stu- dente che lo “accompagni” verso possibili sbocchi lavorativi. E lo facciamo anche attraverso la gamification, l’utilizzo quindi di tecni- che e giochi che garantiscono un’ottima partecipazione dei ragazzi».
Un valore per i docenti. «I docenti che, con le scuole, sono attori fondamentali in questo processo non sempre colgono il valore dell’opportunità offerto dalle attività di alternanza scuola-lavoro» continua Cristina Cancer. «Il nostro lavoro sta proprio nel “creare la cultura del valore” rispetto a questo tipo di attività, partendo dai referenti scolastici con i quali abbiamo a che fare che rivestono un ruolo determinante nella riuscita del progetto».
Un invito ai genitori. «Ci siamo resi conto» sottolinea Cristina Cancer «che spesso la famiglia è l’anello cruciale di questa catena, che dà i risultati più soddisfacenti quando tutti gli attori coinvolti collaborano al meglio. È importante che i genitori siano attivi e che comprendano perché un’efficace esperienza di alternanza scuola-lavoro può rappresentare un grande valore aggiunto per il futuro dei loro figli».
L'impegno di The Adecco Group Italia. Le attività di alternanza scuola-lavoro di The Adecco Group Italia nel 2017 si riassumono così: 300 le scuole che hanno partecipato; 45.000 gli studenti coinvolti; 47.000 le ore in cui esperti di The Adecco Group Italia sono stati impegnati in classe; 800 le aziende che hanno preso parte a TecnicaMente, un progetto in sintonia con i piani di alternanza scuola lavoro, che offre ai ragazzi un percorso di sviluppo delle competenze e di work experience. Tutte le informazioni si trovano sul sito scuolaelavoro.com.
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@Riproduzione riservata del 25 settembre 2017
di Serena Allevi
Imparare a leggere e a scrivere prima della scuola è consigliabile, oppure no? Abbiamo chiesto il parere di una maestra speciale.-
Non sono poche le mamme che, durante l'ultimo anno di scuola materna, avvicinano i figli alla lettura e alla scrittura. Alcune, addirittura, impartiscono vere e proprie lezioni a bambini non ancora seienni. Ma imparare a leggere e a scrivere prima della scuola primaria è consigliabile? Oppure si rischia di commettere persino qualche "danno"?
Per fare chiarezza, abbiamo chiesto il parere di Antonella Meiani, maestra molto amata e autrice del libro "Tutti i bambini devono essere felici" (Terre di mezzo Editore).
Appagare una curiosità, senza mai forzarli
A volte i bambini manifestano il desiderio di scrivere e/o di leggere già durante la scuola materna. O, a volte, sono le mamme a forzare questo tipo di pre-apprendimento, con la speranza che i figli possano poi trovarsi in qualche modo avvantaggiati una volta giunti sui banchi di scuola.
«Se è il bambino che manifesta il desiderio di leggere o di scrivere qualcosa (dal proprio nome alle parole che più lo incuriosiscono), ben venga. I genitori possono mostrargli come scrivere o leggere lettere e parole, lasciandolo poi libero di sperimentare. Ma se sono i genitori a insistere perché il bambino legga e scriva prima dell'ingresso alla scuola primaria, il discorso cambia. Infatti, al centro di tutto va sempre messo il bambino. Dunque, i figli non andrebbero mai forzati a leggere o a scrivere prima del tempo. Se esprimono curiosità e chiedono di imparare, invece, non vi è ragione per tarpar loro le ali. Diciamo che può succedere, però, che bambini già capaci di leggere e scrivere i primi mesi di scuola possano annoiarsi. In questi casi, spetta all'insegnante trovare il giusto equilibrio assegnando loro compiti particolari. È anche vero che, partendo tutti da uno stesso punto, la classe riesce a trovare più facilmente un suo "ritmo"» spiega Antonella.
Lettura e scrittura
Come precisa Antonella Meiani, vi è poi una sostanziale differenza tra lettura e scrittura in tal senso.
«Una volta che si sa leggere, si è imparato a leggere. Invece, per imparare a scrivere è necessario seguire un metodo. E questo tipo di metodo è diverso da insegnante a insegnante. Se una mamma o un papà insegnano al bambino a scrivere prima di andare a scuola, quest'ultimo potrà poi trovarsi di fronte a un metodo (quello della maestra) diverso dal metodo usato dai genitori. Tutto ciò può generare confusione nel bimbo e, in generale, all'interno della classe. Quindi, consiglio di affidare l'apprendimento della scrittura all'ambito della scuola primaria» continua Antonella.
«Se nella classe sono presenti bambini che sanno già leggere o scrivere, la maestra dovrà armonizzare i talenti creando un equilibrio: soprattutto, evitando che questi bambini tendano a "scavalcare" gli altri» ci spiega Antonella.
Rispettare le diverse età
Vi è, poi, un ulteriore aspetto da considerare quando si valuta l'opportunità di insegnare a un bambino della materna a leggere o a scrivere.
«Imparare a leggere e a scrivere richiede un impiego di tempo. E questo tempo viene inevitabilmente sottratto ad altre attività, che io ritengo cruciali per un bambino in età pre-scolare. Non dimentichiamo che la scuola materna è una sorta di "epoca d'oro", ovvero un momento magico della crescita in cui i bambini possono dedicarsi ad attività fondamentali per il loro sviluppo psico-fisico. Alla scuola materna, i bambini possono ancora giocare per ore, manipolare, ballare, cantare, imparare gesti e azioni manuali fondamentali per la crescita. Per esempio, sottoporre un bambino della scuola materna alla frequente compilazione di schede di pregrafismo significa, in parte, sottrarre del tempo a quel tipo di attività "fisiche" e sensoriali. Per me, è più importante che i bambini arrivino alla scuola primaria con competenze legate alla loro età (per esempio, sapersi allacciare le scarpe)» spiega Antonella Meiani.
La chimera di evitare ai figli le difficoltà
Entriamo qui in un terreno un po' ostico ma sicuramente sempre più attuale. Le mamme (ma anche i papà) oggi tendono a voler evitare difficoltà e impedimenti ai figli, a "rastrellare" loro la strada nella speranza di rendere la vita più facile e meno problematica.
«Esiste una tendenza diffusa: il desiderio di evitare le difficoltà ai figli, di metterli in condizione di non soffrire (per esempio, attraverso errori e piccole delusioni). In questo modo, però, si dimenticano sia il ruolo della scuola, sia l'importanza dell'errore e della difficoltà per la crescita dell'individuo. Infatti, ci si evolve e si cresce proprio attraverso gli errori. E il ruolo fisiologico della scuola è quello di seguire esigenze e talenti del bambino, portandolo anche a sbagliare e a trovarsi in difficoltà (per difficoltà, non intendiamo abusi o gravi situazioni). Qui, i genitori svolgono un ruolo di sostegno e di incoraggiamento durante il percorso scolastico. Sostegno che, però, non dovrebbe mai diventare “invasivo"» conclude Antonella.
Tutti i bambini devono essere felici. E la conquista della felicità passa anche dall'apprendimento e dagli errori, vissuti in un ambiente sereno in cui tutti i piccoli adulti di domani abbiano le stesse opportunità e imparino a valorizzare le differenze come ricchezze. L'ansia, la fretta e le angosce del mondo adulto non dovrebbero trovare spazio in un percorso che richiede tempo e pazienza. Buone "basi" sono importanti perché, poi, l'adultità sia più consapevole e finalmente anche più coraggiosa.
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@Riproduzione Riservata del 21 settembre 2017
di Cristina Sarto
Come e perché cambia il corpo di una donna dopo il parto. E i consigli per tornare in forma.-
Durante la gravidanza l'organismo è stato sottoposto a una "rivoluzione" causata soprattutto dagli ormoni (gli estrogeni e il progesterone) e che ha lasciato il segno. "L'ideale sarebbe arrivare alla fine dei nove mesi senza superare i 10-12 chili rispetto al peso di partenza" spiega Carmen Martella, ostetrica dell'Ospedale San Giuseppe a Milano. "Durante il parto se ne perde circa la metà e quindi rimangono 5-6 chili da smaltire. Molte donne, però, ne accumulano di più". Vediamo, allora, cosa è successo al fisico nei nove mesi precedenti. E come affrontare la situazione.
La pancia dopo il parto: è ancora grossa
La speranza di vederla scomparire dopo aver dato alla luce il piccolo non è realizzabile. Purtroppo, ci vuole un po' di tempo. "L'utero di una donna non incinta è alto circa 6 o 7 centimetri, mentre al termine di una gestazione può superare anche i 30 centimetri" spiega Carmen Martella, ostetrica.
Perché succede
"Dopo il parto, dunque, ci vogliono almeno 10 o 15 giorni perché l'utero riprenda le sue dimensioni originali". Ma i cambiamenti sono anche esterni, naturalmente. "I muscoli e la pelle sono costretti a tendersi per assecondare l'aumento di volume dell'addome" aggiunge Giovanna Testa, ginecologa a Milano. "E i tessuti non sono completamente elastici, come quelli di un palloncino di gomma: ecco perché, una volta terminato il parto, risultano molli e sotto tono".
Il seno: è smisurato
All'inizio, e per tutta la gravidanza, l'aumento di volume del seno viene in genere considerato sexy. Dopo, senza il pancione, quel décolleté così abbondante sembra solo sproporzionato. Anche in questo caso, però, c'è una spiegazione ben precisa. Vediamola.
Perché succede
"Durante la gravidanza il seno si prepara per la fase dell'allattamento" spiega Giovanna Testa, ginecologa. "Per questo motivo, la ghiandola mammaria si ingrossa, mentre le aureole e i capezzoli si estroflettono. Senza contare che nel corpo femminile il seno è uno dei punti di accumulo del grasso. È normale, dunque, che quando si aumenta di peso, parte dell'adipe si depositi lì, intorno alle braccia e alle ascelle".
I muscoli: hanno perso tono
Nonostante non si sia state pigre, è possibile che dopo nove mesi i muscoli siano decisamente sotto tono. E che le cosce non abbiano l'aspetto definito di nove mesi fa.
Perché succede
"Può essere colpa dell'aumento del tessuto adiposo, ma non solo" spiega Giovanna Testa, ginecologa. "Nei mesi di gestazione si verifica un calo dei livelli di testosterone, l'ormone che contribuisce a mantenere la muscolatura tonica. In più, l'organismo produce alcune sostanze che inducono i muscoli e i legamenti a rilassarsi. Poco importa se quest'azione è mirata a facilitare la dilatazione del canale del parto: l'effetto relax colpisce tutto il corpo, anche quelle zone che non sono direttamente coinvolte nel parto".
Le gambe: sono gonfie anche dopo il parto
Molte mamme oggi, sensibili all'aspetto del loro corpo, fanno molta attenzione durante la gravidanza. Cercano di non esagerare con il cibo, vanno in piscina e si impegnano a stare in movimento, con passeggiate e giri in bici. Così, se una settimana dopo il parto le caviglie e le ginocchia sono più gonfie di quando si era in dolce attesa, la delusione è grande.
Perché succede
"Spesso è un problema di stasi venosa, cioè di ritenzione idrica causata da una cattiva circolazione" spiega Carmen Martella, ostetrica. "Soprattutto negli ultimi mesi il peso dell'utero preme su alcuni vasi sanguigni, rendendo più difficile il ritorno del sangue verso l'alto: questo ristagno rallenta gli scambi di liquidi tra i tessuti, scatenando il gonfiore".
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@Riproduzione Riservata del 15 settembre 2017
di Maddalena De Bernardi
Un nuovo paradigma educativo per riflettere sulle esperienze di scuola e crescere felici.-
SPAZIO PER LA DIMENSIONE UMANA
«Il bosco è un ambiente suggestivo che ci avvolge silenziosamente, è sopra, sotto, accanto a noi, carico di mistero e ricco di biodiversità. Il bosco selvatico, ricco, mutevole e incerto risponde a molti dei loro bisogni e li incoraggia a imparare l'uno dall'altro, a collaborare, a cercare nuove soluzioni, a sperimentare i propri limiti per costruire fiducia in se stessi e autonomia»: inizia con le parole di Michela Schenetti L'asilo nel bosco, un nuovo paradigma educativo, pubblicato dalle Edizioni Tlön. Monica Guerra scrive: «Ne emerge un'educazione non soltanto -e molto meno- del fare, quanto piuttosto dell'essere, dello stare e dell'andare, dello straordinario, ma soprattutto del quotidiano». Paolo Mai, uno dei fondatori del progetto, cita il giornalista uruguaiano Eduardo Galeano. A quel tale che gli domanda a cosa servisse l'utopia, rispose: l'utopia serve a camminare. La parola 'utopia' proviene dalla lingua greca, non-luogo. Identica a se stessa, al di là della diversità che contraddistingue ogni Paese, la natura costituisce uno spazio in cui ritroviamo la radice primitiva e spontanea della nostra umanità: grazie al contatto con la terra, la presenza degli alberi e la vicinanza a un tempo dell'anima, si apre la possibilità di una scuola nuova, un non-luogo immaginario in cui far vivere un'idea oggi sempre più condivisa. Sei curiosa? Ecco come funziona l'asilo nel bosco:
Imparare dalla natura;
Coltivare l'orto;
Giocare ad esplorare il mondo;
Giornate in libertà;
All'asilo nel bosco nessuno ha paura di sporcarsi!
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@Riproduzione Riservata del 13 settembre 2017
di Alberto Pellai - Psicoterapeuta
Lettera di mamma Carlotta
Il mio bambino è molto timido e ogni volta che deve affrontare una nuova situazione è sempre molto in ansia e agitato. Io cerco di infondergli sicurezza, ma spesso sto più male di lui, quando so che deve affrontare situazioni per le quali non si sente pronto o nelle quali rischia di sentirsi escluso e ai margini per la sua incapacità di sentirsi all’altezza del gruppo nel quale si deve inserire. La mia preoccupazione adesso è altissima perché a settembre comincerà la scuola primaria e comincio a prevedere tutte le difficoltà che dovrà affrontare e le lacrime che dovrà versare per gestire questa grande novità che lo aspetta. C’è qualcosa che posso fare per aiutarlo?
Carlotta
— Sì, Carlotta, ci sono molte cose che puoi fare per aiutare il tuo bambino timido e un po’ introverso. Tanto per cominciare: essere un po’ meno ansiosa. Leggendo e rileggendo la tua lettera mi sono reso conto che sembra che tu parli della timidezza del tuo bambino come se fosse una disabilità e non per quello che è, ovvero un tratto specifico del suo temperamento e della sua personalità. Essere timidi può esporre a maggiore ansia e fatica nelle situazioni sociali, ma non necessariamente rende la vita così faticosa come tu scrivi. È chiaro che se vede nei tuoi occhi un atteggiamento di costante preoccupazione, un’aspettativa implicita che tutto sarà più difficile e complesso, quasi senza saperlo e volerlo si adatterà a ciò che tu pensi di lui. Proverà ansia, si sentirà meno all’altezza delle situazioni, andrà più facilmente in crisi e starà più spesso ai margini. Se il tuo volto invece sarà positivo, accogliente, sorridente, capace di sostenerlo nelle attività sociali con uno sguardo che gli comunica «Vai, bimbo mio, vai che ce la fai» per lui diventerà tutto più semplice. Penserà che, anche se il mondo è grande, la gente intorno è tanta e tutto quello che succede lo “attiva” in termini emotivi, dentro e fuori di sé lui ha comunque risorse e competenze sufficienti per far fronte a questa complessità. Ti consiglio un libro che ti permetterà di vedere il tuo bimbo timido con un nuovo paio di occhiali: Quiet Power. I superpoteri degli introversi di Susan Cain (Bompiani Ed.), ricco di consigli relativi proprio alla sfida che sta per affrontare, ovvero l’inserimento alla scuola primaria. Ti aiuterà a rimettere in prospettiva il “potere quieto”, calmo e silenzioso di cui godono i timidi, che, come scrive l’autrice, possono addirittura diventare i leader nel loro gruppo classe, sfruttando i vantaggi che derivano dalla loro capacità di ascoltare gli altri, di rimanere tranquilli quando tutti gli altri intorno urlano e che spesso vengono scelti dai docenti come esempio da imitare.
Alberto Pellai
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 12 settembre 2017
di Serena Allevi
Fare attività fisica in gravidanza è benefico e aiuta anche il momento del parto. Il pilates può essere un'ottima idea.-
L'attività fisica in gravidanza è consigliata da medici e ostetriche. Infatti, secondo una ricerca condotta dalla Thomas Jefferson University, le donne che praticano attività fisica durante la dolce attesa, mostrano un minor rischio di parto prematuro, nonché di taglio cesareo.
Michela Bardino e Francesca Mulas, ostetriche presso il Centro Medico Santagostino, confermano: muoversi in gravidanza aiuta ad alleviare alcuni sintomi come l'irregolarità intestinale o le gambe gonfie. Ma non solo, attraverso l'attività fisica si controllano anche ipertensione, diabete e aumento ponderale.
Non tutti gli sport, però, sono ideali per la gravidanza. Diciamo che, se una donna si è sempre allenata, non vi è motivo per smettere quando rimane incinta. A meno che, ovviamente, non vi siano particolari complicazioni o che il medico prescriva riposo. Gli sport da evitare, invece, sono quelli a rischio di cadute e traumi come le camminate in montagna, l'arrampicata o l'equitazione.
In tal senso, il pilates può essere una scelta ottimale poiché questo tipo di attività, ispirata alla danza, è dolce e graduale. Nonostante l'approccio in apparenza soft, però, il pilates permette di tonificare al meglio i muscoli e di allungarli, preparando anche al momento del parto.
Il pilates è un'attività fisica speciale e sempre più amata. Le sue basi prendono spunto dalla danza classica e si può praticare sia a corpo libero, sia con l'ausilio di speciali macchine e attrezzi. Tra questi ultimi, la fitball è un accessorio fitness perfetto per la gravidanza (anche per riposare la schiena). In gravidanza, le ostetriche e i medici consigliano di praticare attività fisica evitando, però, tutti gli sport a rischio caduta e traumi. Ma chi si è sempre allenata, in assenza di complicazioni, potrà continuare a farlo in tutta tranquillità e salute. Il pilates è una buona soluzione per tonificare e allungare dolcemente i muscoli durante la gestazione. Il consiglio è di affidarsi a un corso specifico di pilates per la gravidanza.
Gli integratori specifici per la gravidanza, consentono di avere a disposizione tutti i minerali e le vitamine necessari all'organismo in questo periodo. Inoltre, il corretto apporto di nutrienti significa energia anche per praticare attività fisica. Neomam di Solgar è un integratore per gravidanza e allattamento, con acido folico e iodio, nutrienti raccomandati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. La formula è arricchita con calcio, beta-carotene ed altri importanti elementi nutritivi come cromo e selenio.
Allungare i muscoli con dolcezza
Quali esercizi di pilates sono più indicati in gravidanza? La soluzione migliore è farsi seguire, almeno le prime volte, da istruttori esperti per imparare a eseguire i movimenti nel modo corretto. Inoltre, esistono specifici corsi di pilates per gestanti e post-parto.
In linea generale, sono da evitare tutti i movimenti bruschi e gli scatti, soprattutto a livello addominale. Gli esercizi di allungamento sono l'ideale, sia a corpo libero sia con la fitball.
Tra questi, uno in particolare permette di tonificare l'addome in modo delicato. Ci si sdraia su un materassino da fitness e si appoggiano le gambe alla fitball. Da questa posizione si alza delicatamente e lentamente il busto esercitando in modo soft i muscoli dell'addome.
Glutei e gambe al top
La gravidanza può provocare gonfiori agli arti inferiori. Per contrastarli, è bene bere molto ed eseguire un'attività fisica aerobica preferibilmente in acqua (il nuoto è perfetto). Anche il pilates, però, può aiutare a mantenere al top glutei e gambe.
Per tonificare i glutei, ci si inginocchia appoggiando i gomiti alla fitball: da qui si alza la gamba destra fino all'altezza dei fianchi e poi si ritorna alla posizione di partenza. Si alterna, poi, con la sinistra.
Per le gambe, invece, ci si siede sulla fitball e si stende lentamente il ginocchio davanti a sé. Si tiene la posizione per qualche minuto e poi si flette nuovamente il ginocchio.
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@Riproduzione Riservata del 10 settembre 2017
di Jessica Rizza
Secondo una recente ricerca, i genitori smettono troppo presto la lettura ad alta voce ai bambini: un errore. Scopri le ragioni per continuare a raccontare storie.-
Leggere ad alta voce, raccontando storie e favole ai bambini è fondamentale per la loro crescita. Già dai 6 mesi di età un neonato è capace di ascoltare e la lettura precoce contribuisce a sviluppare le sue capacità cognitive, aiutandolo nell'alfabetizzazione linguistica. Non solo: le favole della buonanotte sviluppano anche le capacità emotive e relazionali del bambino, che si immedesima nei personaggi e nelle trame delle storie, stimolando anche l'intelligenza logica. Anche la relazione adulto-bambino viene rafforzata, perché leggere è un vero e proprio gesto d'amore. I genitori dei bambini tra 0 e 6 anni sono infatti molto propensi a questa attività. Che però viene abbandonata troppo precocemente: già a 7 anni, cioè quando i bambini imparano a leggere da sé. La lettura ad alta voce, soprattutto nel momento che accompagna il sonno, lascia il passo all'intrattenimento con tablet, pc o televisione! Secondo un'indagine della Oxford University Press, condotta su un campione di mille genitori con figli tra i 5 e gli 11 anni, il 44% di loro smette di leggere ai bambini intorno al settimo anno di età. Un errore, perché la lettura può avere un riscontro positivo anche sul rendimento scolastico.
Le favole possono essere considerate una vera scuola di vita per i bambini. Addirittura, secondo la scuola psicoanalitica, le storie che raccontiamo loro aiutano i piccoli a riconoscere ed affrontare le paure. Non devono spaventarci le favole dalla trama cruenta, perché il bambino ha la capacità di proiettarsi verso il finale. Le storie lo aiutano nella vita di tutti i giorni, gli permettono di esplorare le proprie emozioni e il rapporto con gli altri.
Secondo il progetto "Nati per leggere" esistono dei momenti ideali da riservare alla lettura col bambino.
Si può riservare alla lettura un momento particolare della giornata: prima della nanna o dopo i pasti, l'importante è che sia un momento di tranquillità. Non servono ore passate sui libri: bastano pochi minuti ma ripetuti ogni giorno. Se il bambino si agita o è inquieto meglio rimandare al momento giusto, perché potrebbe associare la lettura con un momento spiacevole. Si può approfittare dei momenti di attesa: durante un viaggio o dal medico. La lettura può essere anche di conforto al bambino quando è malato.
Come condividere i libri con i bambini? Quando sono molto piccoli, i bimbi hanno bisogno che le abitudini diventino un rito e che siano sempre uguali a se stesse. Ecco i consigli di "Nati per leggere": bisogna scegliere un luogo confortevole dove sedersi o recitare le filastrocche del suo libro preferito. Eliminare le altre fonti di distrazione (televisione, radio, stereo). Tenere in mano il libro in modo che il bambino possa vedere le pagine chiaramente. Possiamo indicargli le figure e quando sarà più grande, lasciarlo fare: indicherà lui stesso le figure e girerà le pagine. Dobbiamo cercare di leggere con partecipazione, creare le voci dei personaggi e usare la mimica per raccontare la storia. Variare il ritmo di lettura e fargli domande sulla trama. Lasciare che lui stesso faccia delle domande e spronarlo a raccontare nuovamente la storia (ma succederà solo dopo i 3 anni). Se il bambino chiede sempre lo stesso libro bisogna assecondarlo, anche se per noi può sembrare noioso. Una buona idea è anche quella di portarlo in biblioteca, dove troverà un luogo accogliente e una vasta scelta di libri!
Leggere è l'attività più importante che i genitori possano fare per preparare il bambino alla scuola. Un bambino che riceve letture quotidiane avrà un vocabolario più ricco, si esprimerà meglio e sarà più curioso di leggere e di conoscere molti libri.
Infatti i bambini che leggono per piacere al di fuori dell'orario scolastico risultano più bravi sia in inglese, che in matematica! Lo dice il recente rapporto della London School of Education, cercando di incoraggiare l'amore per la lettura in casa, un valore capace di garantire il successo e la felicità futura dei figli. Soffermarsi su parole nuove e discutere degli argomenti letti stimola l'apprendimento dei bambini, oltre a costituire del "tempo di qualità" passato con i figli. Non servono ore passate sui libri: 10-15 minuti al giorno sono sufficienti per stimolare l'apprendimento scolastico.
da www.donnamoderna.com
@Riproduzione Riservata del 10 settembre 2017