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CAV - Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese ODV

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di Mimmo Muolo, inviato in Myanmar
Canti, gioia, preghiera e tanto affetto per papa Francesco. La prima visita di un successore di Pietro Myanmar si conclude con una festa di giovani e non è certo una scelta casuale. Francesco indica ai ragazzi birmani la via del futuro e li incoraggia ad andare avanti. “Sono belli i vostri passi – dice il Pontefice – ed è bello e incoraggiante vedervi, perché ci recate un lieto annuncio di bene, il lieto annuncio della vostra gioventù, della vostra fede e del vostro entusiasmo. Vorrei che la gente sapesse – aggiunge quindi – che voi, giovani del Myanmar non avete paura di credere nel buon annuncio della misericordia di Dio, perché esso ha un nome e un volto: Gesù Cristo”. E dunque “siete pronti a recare il lieto annuncio, siete pronti a recare una parola di speranza alla Chiesa, al vostro Paese, al mondo. Siete pronti a recare il lieto annuncio ai fratelli e alle sorelle che soffrono e che hanno bisogno delle vostre preghiere e della vostra solidarietà, ma anche della vostra passione per i diritti umani, per la giustizia e per la crescita di quello che Gesù dona: amore e pace”.

L'abbraccio entusiasta dei giovani

La Messa conclusiva si svolge nella Cattedrale di Saint Mary, colma fino all'inverosimile. Fin dalle prime del mattino infatti i giovani si sono assiepati tra i banchi, sotto gli occhi di un attento servizio d'ordine e anche nei giardini tutto intorno al duomo. Diverse migliaia di giovani con le bandierine bianche e gialle, le magliette con scritto viva il Papa e i coloratissimi costumi tipici. Molti hanno trascorso la notte in viaggio, a bordo di vecchi pullman, pur di non mancare all'appuntamento. Ma negli occhi hanno solo gioia. Per la stanchezza c'è tempo.
Francesco arriva in golf car e compie un giro di saluto nei giardini suscitando ondate di entusiasmo. Poi entra in cattedrale in uno strano originale clima di silenzio che però è solo il preludio all'esplodere di un bellissimo canto di ingresso. Comincia la Messa concelebrata con i vescovi del Myanmar, il cardinale arcivescovo di Yangon, Charles Maung Bo, e anche alcuni porporati giunti dall'India.
All'omelia ripete: «Non abbiate paura»
Nell'omelia pronunciata in italiano con traduzione successiva, il Papa ripete il suo mandato missionario e più volte insiste: “Non abbiate paura”. Ad esempio dice “non abbiate paura di imparare dai vostri errori”. Anche i santi li hanno commessi (cita Sant'Andrea, di cui oggi ricorre la memoria liturgica). “Il Signore vi concederà di portare frutto, un frutto che potrete condividere con gli altri”. “Non abbiate paura di essere discepoli missionari soprattutto per i vostri coetanei e amici, di portare scompiglio, di porre domande che facciano pensare la gente. E non abbiate paura se a volte percepirete di essere pochi e sparpagliati. Fatevi sentire, gridate con la vostra vita, con il cuore, così da essere segni di speranza per chi è scoraggiato, una mano tesa per chi è malato, un sorriso accogliente per chi è straniero, un sostegno premuroso per chi è solo”. Non abbiate paura ripete ancora una volta: “Gesù è sempre al nostro fianco”.
«Vi esorto: siate coraggiosi e, soprattutto, siate generosi»
Il Papa ricorda che diverse possono essere le vocazioni, al presbiterato alla vita religiosa o alla famiglia, ma "qualunque sia la vostra vocazione – conclude affidando i giovani del Myanmar all'Immacolata Concezione – vi esorto: siate coraggiosi, siate generosi e, soprattutto, siate generosi”. “Dio benedica il Myanmar”, è il suo congedo, prima di andare in aeroporto per la seconda tappa del viaggio.
All'arcivescovado, che è stata la sua casa nei tre giorni della visita, lascia una scultura raffigurante san Francesco che parla agli uccelli (molte volte ha fatto riferimento alla salvaguardia del creato nei discorsi in terra birmana) e incassa il grazie del cardinale Bo. “La sua presenza è stata come un tocco di guarigione per questa Nazione. Possa la nostra storia essere benedetta da oggi in poi perché lei ha benedetto questa terra”. Da questo pomeriggio e fino a sabato comincia la visita in Bangladesh.
 
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 30 novembre 2017

di Gigi De Palo : Presidente del Forum delle associazioni familiari
Caro direttore, grazie sempre per il prezioso contributo che “Avvenire” offre portando avanti l’approfondimento e la proposta sui grandi temi della famiglia.-
Caro direttore,
grazie sempre per il prezioso contributo che “Avvenire” offre portando avanti l’approfondimento e la proposta sui grandi temi della famiglia. Ti scrivo per ringraziarti anche per lo spaccato che avete raccontato martedì scorso, 22 novembre 2017, sul tema delle donne-mamme-lavoratrici. Le lettere che avete pubblicato, che sono solo tre delle centinaia che abbiamo ricevuto in questo periodo, mostrano tutta la miopia di un Paese che si riempie la bocca della parola “donna”, ma che poi, nei fatti non fa nulla per mettere realmente le donne nella possibilità di realizzarsi come lavoratrici e come mamme.
Questo è il Paese nel quale una donna è costretta a nascondere il pancione sul posto di lavoro perché rischia, altrimenti, di essere licenziata. Questo è il Paese dove una delle prime cause di povertà è mettere al mondo un figlio. Questo è il Paese in cui se lavori e hai figli vieni abbandonata a te stessa, come se l’educazione fosse un fatto privato e non un investimento sul futuro delle nostre città. Ho letto che il Governo ha scelto le categorie che, giustamente, potrebbero essere esentate dall’aumento dell’età pensionabile a 67 anni, perché trattasi di lavori logoranti. Ci sono muratori, conciatori di pelle, stampatori a caldo, ma anche maestre, infermiere, donne delle pulizie e badanti. Giustissimo, per carità, ma fa sorridere che tra queste categorie non ci siano le donne lavoratrici con figli che – come ha avuto modo di sostenere Flavia Perina – «il lavoro di maestra lo fanno di default nella fascia 0-18, per di più come secondo lavoro obbligatorio, per di più rifinendo quotidianamente merci (figli) che in prospettiva pagheranno la pensione anche ai guidatori di gru e agli addetti alla concia di pelli e pellicce...».
Io credo, caro direttore, che questo Paese debba ripartire da quelle donne che, oltre a portare uno stipendio a casa, sono anche, loro malgrado maestre, badanti, cuoche, donne delle pulizie, infermiere per il solo fatto di essere anche mogli e mamme. Per questo mi meraviglio che le Istituzioni tutte, non comprendano che non servono tante celebrazioni di facciata o tante attenzioni su terminologie politically correct, quanto mettere le donne nella condizione di vivere pienamente e serenamente, quando lo vogliono, il loro duplice ruolo di mamma e di lavoratrice senza ostacoli. Avremmo sicuramente città più belle, figli più sereni e donne più felici. La vera discriminazione è il dover scegliere tra la carriera e una famiglia. Se qualcuno cerca una battaglia decente per la prossima campagna elettorale, eccola. Chi ha davvero a cuore la situazione femminile italiana, lo mostri con i fatti e non solo a parole.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 28 novembre 2017

Redazione Internet
Nel 2016 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 473.438 bambini, oltre 12mila in meno rispetto al 2015. Crescono invece le nozze, che hanno toccato il minimo nel 2014.-
Nel 2016 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 473.438 bambini, oltre 12 mila in meno rispetto al 2015. Nell'arco di 8 anni (dal 2008 al 2016) le nascite sono diminuite di oltre 100mila unità. E' quanto emerge dal rapporto Istat "Natalità e fecondità della popolazione residente" relativo all'anno 2016. Questo calo avviene fondamentalmente per due fattori: le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno numerose e mostrano una propensione decrescente ad avere figli.
Il dossier fotografa però anche una ripresa dei matrimoni nello stesso periodo e prevede, proprio in virtù di questo fatto, "un ridimensionamento del calo delle nascite". Secondo i dati provvisori riferiti al periodo gennaio-giugno 2017, i nati sono stati solo 1.500 in meno rispetto allo stesso semestre 2016: si tratta della diminuzione più contenuta dal 2008.
Dal 2012 diminuiscono, seppur lievemente (-7mila), anche i nati con almeno un genitore straniero pari a poco più di 100 mila nel 2016 (21,2% del totale). Tra questi, a calare in maniera più accentuata sono i nati da genitori entrambi stranieri, che nel 2016 scendono per la prima volta sotto i 70mila. Tra i nati stranieri, al primo posto si confermano i bambini romeni (15.417 nel 2016), seguiti da marocchini (9.373), albanesi (7.798) e cinesi (4.602). Queste quattro comunità rappresentano il 53,6% del totale dei nati stranieri.
Nel 2016 si conferma la tendenza alla diminuzione della fecondità in atto dal 2010. Il numero medio di figli per donna scende a 1,34 (1,46 nel 2010). Le donne italiane hanno in media 1,26 figli (1,34 nel 2010). Osservando le generazioni, il numero medio di figli per donna in italia continua a decrescere senza soluzione di continuità. Si va dai 2,5 figli delle donne nate nei primissimi anni Venti (cioè subito dopo la grande guerra), ai 2 figli per donna delle generazioni dell'immediato secondo dopoguerra (anni 1945-49), fino a raggiungere il livello stimato di 1,44 figli per le donne della generazione del 1976.
Analogamente si osserva uno spiccato aumento della quota di donne senza figli: nella generazione del 1950 tale quota è stata dell'11,1%, nella generazione del 1960 del 13% e in quella del 1976 si stima che raggiungerà (a fine del ciclo di vita riproduttiva) il 21,8%.
Crescono invece, come detto, i matrimoni che hanno toccato il minimo nel 2014. Dal 2015 hanno ripreso a crescere (+4.612 rispetto all'anno precedente) e la tendenza si è accentuata nel 2016 (+9mila), anno in cui è stata di nuovo superata la soglia delle 200mila celebrazioni. Il legame tra nuzialità e natalità è ancora molto forte nel nostro paese: nel 2016 il 70% delle nascite è avvenuto all'interno del matrimonio.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 28 novembre 2017

di Giacomo Gambassi
Che cos'è l'Avvento? Quanto dura? Quali paramenti indossa il sacerdote? Come si articola questo tempo di attesa? Quali letture sono proposte nella Messa? Ecco le risposte.-
Inizia domenica 3 dicembre 2017 l’Avvento, il tempo forte dell’Anno liturgico che prepara al Natale. La prima domenica di Avvento apre il nuovo Anno liturgico. Quattro sono le domeniche di Avvento nel rito romano, mentre nel rito ambrosiano sono sei e infatti l’Avvento è già cominciato domenica 12 novembre (però nel computo delle sei domeniche va esclusa la domenica 24 dicembre che è definita «domenica prenatalizia»). «Uno dei temi più suggestivi del tempo di Avvento» è «la visita del Signore all’umanità», aveva spiegato lo scorso anno papa Francesco nel suo primo Angelus d’Avvento in piazza San Pietro. E aveva invitato alla «sobrietà, a non essere dominati dalle cose di questo mondo, dalle realtà materiali». Inoltre in una delle omelia durante la Messa mattutina a Casa Santa Marta il Pontefice aveva indicato «la grazia che noi vogliamo nell’Avvento»: «camminare e andare incontro al Signore», cioè «un tempo per non stare fermo».
La liturgia
Il colore dei paramenti liturgici indossati dal sacerdote è il viola; nella terza domenica di Avvento (ossia, la domenica Guadete) facoltativamente si può usare il rosa, a rappresentare la gioia per la venuta di Cristo. Nella celebrazione eucaristica non viene recitato il Gloria, in maniera che esso risuoni più vivo nella Messa della notte per la Natività del Signore.

I nomi tradizionali delle domeniche di Avvento sono tratti dalle prime parole dell’Antifona di ingresso alla Messa. La prima domenica è detta del Ad te levavi («A te elevo», Salmo 25); la seconda domenica è chiamata del Populus Sion («Popolo di Sion», Isaia 30,19.30); la terza domenica è quella del Gaudete («Rallegratevi», Filippesi 4,4.5); la quarta domenica è quella del Rorate («Stillate», Isaia 45,8).
L’origine dell’Avvento
Il termine Avvento deriva dalla parola “venuta”, in latino adventus. Il vocabolo adventus può tradursi con “presenza”, “arrivo”, “venuta”. Nel linguaggio del mondo antico era un termine tecnico utilizzato per indicare l’arrivo di un funzionario, la visita del re o dell’imperatore in una provincia. Ma poteva indicare anche la venuta della divinità, che esce dal suo nascondimento per manifestarsi con potenza, o che viene celebrata presente nel culto.
I cristiani adottarono la parola Avvento per esprimere la loro relazione con Cristo: Gesù è il Re, entrato in questa povera “provincia” denominata terra per rendere visita a tutti; alla festa del suo avvento fa partecipare quanti credono in Lui. Con la parola adventus si intendeva sostanzialmente dire: Dio è qui, non si è ritirato dal mondo, non ci ha lasciati soli. Anche se non lo possiamo vedere e toccare come avviene con le realtà sensibili, Egli è qui e viene a visitarci in molteplici modi.
Il tempo dell’attesa e le letture
L’Avvento è il tempo dell’attesa. Questo tempo liturgico celebra la venuta di Dio nei suoi due momenti: la prima parte del tempo di Avvento invita a risvegliare l’attesa del ritorno glorioso di Cristo; poi, avvicinandosi il Natale, la seconda parte dell’Avvento rimanda al mistero dell’Incarnazione e chiama ad accogliere il Verbo fatto uomo per la salvezza di tutti. Ciò è spiegato nel primo Prefazio di Avvento, ossia la preghiera che “apre” la liturgia eucaristica all’interno della Messa dopo l’Offertorio. In essa si sottolinea che il Signore «al suo primo avvento nell’umiltà della nostra natura umana, portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna salvezza». E poi si aggiunge: «Verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa».
Le letture – nel 2017 vengono seguite quelle dell’Anno B – testimoniano questa suddivisione dell’Avvento. Fino alla terza domenica di Avvento la liturgia si focalizza sull’attesa del ritorno del Signore. Poi marca in maniera più specifica l’attesa e la nascita di Gesù. Così nella prima domenica di Avvento il Vangelo (Marco 13,33-37) ha al centro le parole di Cristo: «Vegliate: non sapete quando il padrone di casa ritornerà». Nella seconda domenica di Avvento il Vangelo (Marco 1,1-8) si sofferma sul Battesimo e sulle parole di Giovanni Battista al fiume Giordano: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali». Nella terza domenica di Avvento il Vangelo (Giovanni 1,6-8. 19-28) ha ancora al centro il Battista che «venne come testimone per dare testimonianza alla luce» e che, interrogato dai Giudei, dice: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». Infine il Vangelo dell’ultima domenica di Avvento (Luca 1,26-38) è quello dell’Annunciazione e ha come perno la figura della Madonna.
Maria, icona dell’Avvento
Il tempo dell’Avvento ha come icona quella della Vergine. Papa Francesco ha sottolineato che «Maria è la “via” che Dio stesso si è preparato per venire nel mondo» ed è «colei che ha reso possibile l’incarnazione del Figlio di Dio, “la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni” (Romani 16,25)» grazie «al suo “sì” umile e coraggioso». La presenza della Solennità dell’Immacolata Concezione – 8 dicembre – fa parte del mistero che l’Avvento celebra: Maria è il prototipo dell’umanità redenta, il frutto più eccelso della venuta redentiva di Cristo.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 27 dicembre 2017
 
 

di Francesco Riccardi
Un contributo mensile (fino a 485 euro) per chi è sotto la soglia di povertà assoluta. Precedenza ai nuclei familiari con figli minori e ultra 55enni senza lavoro. Le ultime modifiche proposte.-
Dal 1° dicembre 2017 sarà possibile presentare domanda per ricevere il ReI, il Reddito di Inclusione. Lo conferma una circolare dell'Inps con cui si indicano le modalità tecniche per la trasmissione telematica delle domande stesse da parte dei Comuni. Con questo atto e con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo attuativo della legge delega di contrasto alla povertà, infatti, si è concluso il lungo iter di approvazione dello strumento che sarà pienamente operativo dal 1° gennaio 2018.
La legge delega per il contrasto alla povertà e il riordino delle prestazioni sociali era stata approvata in Senato (con 138 sì, 71 no, 21 astenuti) il 9 marzo scorso. Per la prima volta viene così previsto anche in Italia, ultimo Paese nell’Unione europea a dotarsene, uno strumento universale – il Rei, Reddito di inclusione appunto - di sostegno per chi si trova in condizione di povertà assoluta.
Cosa prevede la legge e ora il decreto?
Il ddl approvato definitivamente dal Senato è una legge delega e dunque prevedeva che il governo emanasse, entro sei mesi, uno o più decreti con i quali dare concreta attuazione ai principi contenuti nella delega. Il caposaldo è l’introduzione di “una misura nazionale di contrasto alla povertà (…) denominata reddito di inclusione”. E’ previsto poi il riordino delle prestazioni di natura assistenziale finalizzate al contrasto alla povertà, ad eccezione di quelle rivolte agli anziani oltre l’età di lavoro, delle misure a sostegno della genitorialità e quelle per disabili e invalidi. Ancora, si delega il governo a rafforzare il coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali per garantire in tutto il territorio i livelli essenziali delle prestazioni. A giugno era stato approvato dal consiglio dei ministri Il decreto attuativo che, dopo l'esame delle Camere, è stato definitivamente varato e pubblicato in Gazzetta ufficiale (decreto legislativo 147 del 15 settembre). Il decreto contiene tutte le linee guida operative di applicazione pratica del Reddito di inclusione
A chi è rivolto il Reddito di inclusione?
Si tratta di uno strumento universale ma selettivo, “condizionato alla prova dei mezzi sulla base dell’indicatore della situazione economica equivalente (Isee) tenendo conto dell'effettivo reddito disponibile e di indicatori della capacità di spesa, nonché all'adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato all'affrancamento dalla condizione di povertà”. I limiti Isee sono stati fissati a 6.000 euro, con un valore del patrimonio immobiliare, diverso dall'abitazione di residenza, non superiore a 20mila euro. Sarà rivolto sia a cittadini italiani sia stranieri, ma viene fissato un periodo minimo di residenza nel territorio nazionale per avere diritto al beneficio. In sostanza, per usufruirne occorrerà essere al di sotto di un certo livello di reddito secondo i parametri Isee, essere residenti in Italia da almeno 2 anni ed essere disponibili a seguire programmi di inserimento lavorativo per evitare che gli assistiti rimangano intrappolati in una condizione di bisogno. Il Rei, all'interno dei parametri Isee fissati, è compatibile con lo svolgimento di un'attività lavorativa, mentre non è possibile ricevere contemporaneamente la Naspi o altre forme di ammortizzatori sociali per la disoccupazione.
Quante persone concretamente potranno beneficiare del Reddito di inclusione?
L’obiettivo è quello di raggiungere le persone in povertà assoluta, che l’Istat calcola in 4,6 milioni, circa 1,6 milioni di famiglie nel suo ultimo rapporto ma le risorse stanziate non bastano certamente. La stessa legge delega prevede dunque di dare priorità ad alcuni soggetti: “nuclei familiari con figli minori o con disabilità grave o con donne in stato di gravidanza accertata o con persone di età superiore a 55 anni in stato di disoccupazione”. La prima reale ipotesi è perciò quella di raggiungere con il beneficio circa 600mila famiglie, fino a 1,8 milioni di persone, ha assicurato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. In particolare 5-600mila minori, cioè la metà del milione di bambini che versa in condizioni di assoluta miseria.
Quante sono le risorse dedicate al Reddito di inclusione?
La legge di Stabilità ha stanziato 1 miliardo e 150 milioni per quest’anno, a cui andranno aggiunti i fondi non spesi lo scorso anno per un totale di circa 1,6 miliardi. Sempre secondo il governo a fine anno si possono raggiungere con altri risparmi e utilizzo di fondi europei quasi 2 miliardi. Si tratta di una cifra assai limitata, basti considerare che l’Alleanza contro la povertà (il cartello di Caritas, associazioni, sindacati ed enti locali) nella sua proposta di Reddito di inclusione sociale prevede una spesa complessiva di 7 miliardi di euro l’anno per raggiungere tutti i 4,6 milioni di poveri assoluti, seppure in maniera graduale.
Quanti soldi prevederà il Reddito di inclusione?
La cifra è variabile in base alla condizione reddituale, al numero dei componenti il nucleo e al luogo di residenza. Il parametro indicativo può essere quello della soglia di povertà assoluta anch’essa variabile. Quest'ultima per un singolo oscilla tra 552 euro al mese per chi abita in un piccolo comune nel Mezzogiorno a un massimo di 819 euro mensili per chi risiede in un grande centro del Nord, per una famiglia di 4 persone da 1.098 a 1.534 euro. Il contributo monetario, erogato su dodici mensilità, andrà da circa 190 euro per una persona singola a un massimo di 485 euro mensili per un nucleo familiare di 5 o più componenti. Per l'erogazione verrà utilizzata una carta di credito, con la quale sarà possibile prelevare anche contanti fino alla metà dell'importo del ReI e darà diritto a uno sconto del 5% nei negozi convenzionati.
Quando entrerà effettivamente in funzione?
il nuovo strumento diventerà pienamente operativo dal 1° gennaio 2018, ma già dal 1° dicembre 2017 sarà possibile presentare domanda nel proprio Comune di residenza attraverso un'Isee precompilata. In ogni caso, nel periodo transitorio rimane in vigore il Sia, Sostegno all'inclusione attiva, che prevede un assegno di 80 euro al mese a componente fino a un massimo di 400 euro mensili.
La legge di bilancio ha modificato il decreto?
Sì, la legge di bilancio, approvata dal Consiglio dei ministri e ora all'esame del Parlamento, ha previsto alcune modifiche significative. Innanzitutto ha innalzato l'importo massimo erogabile mensilmente per i nuclei con 5 o più persone dai 485 euro iniziali a 534 euro. La seconda importante novità è che da luglio 2018 la misura sarà a tutti gli effetti universale, non essendo più rivolta prioritariamente alle famiglie con figli minori o disoccupati ultra 55enni. Nella legge di bilancio sono previsti fondi aggiuntivi per 300 milioni di euro nel 2018, 700 milioni per il 2019 e 900 milioni per gli anni successivi. Il fondo arriverebbe così a una dotazione di 2,7 miliardi nel 2020. Queste modifiche devono però essere approvate dal Parlamento entro la fine dell'anno.
Quali sono le differenze con il Reddito di cittadinanza?
Il Reddito di cittadinanza intenso in senso classico è universale e non selettivo. La proposta del Movimento 5 Stelle di Reddito di cittadinanza, che pure è condizionato alla disponibilità a lavorare e a uno stato di bisogno, prevede un beneficio di circa 720 euro al mese, con una spesa stimata, però, di oltre 15 miliardi di euro l’anno.
Cos’altro prevede il piano di contrasto alla povertà
L’obiettivo del piano nazionale è una vera “presa in carico” del singolo o della famiglia in povertà per farli uscire dalla condizione di bisogno attraverso l’attivazione di servizi sul territorio di residenza per l’inserimento al lavoro e la cura delle eventuali necessità socio-sanitarie. Per questo viene previsto un raccordo con gli enti locali e con le associazioni del Terzo settore. Ancora da stabilire, però, quali e quante risorse saranno dedicate allo sviluppo di questi servizi. Per il 2017 sono stati stanziati 170 milioni l'anno per 3 anni per i servizi territoriali e 40 milioni per il rafforzamento dei Centri per l'impiego con 600 operatori dedicati proprio alle situazioni di povertà. E' prevista infatti una componente di servizi alla persona che verrà stabilita in base ad una valutazione del bisogno del nucleo familiare che terrà conto, tra l'altro, della situazione lavorativa e del profilo di occupabilità, dell'educazione, istruzione e formazione, della condizione abitativa e delle reti familiari, di prossimità e sociali della persona e servirà a dar vita a un "progetto personalizzato" volto al superamento della condizione di povertà. Tale progetto indicherà gli obiettivi generali e i risultati specifici da raggiungere nel percorso diretto all'inserimento o reinserimento lavorativo e all'inclusione sociale, nonché i sostegni, in termini di specifici interventi e servizi, di cui il nucleo necessita, oltre al beneficio economico.
Per quanto tempo si riceverà il Reddito di inclusione?
E' previsto che il ReI venga erogato per non oltre 18 mesi e che debbano poi passare almeno 6 mesi prima che possa erogato di nuovo alle stesse persone. Per ottenere il beneficio si potrà sottoscrivere una dichiarazione Isee "precompilata", un'innovazione per snellire ulteriormente la parte burocratica del progetto e aiutare le persone più in difficoltà. Il decreto approvato ieri prevede poi i meccanismi per ampliare sia il contributo monetario sia la platea dei beneficiari quando verranno incrementate le risorse disponibili.
E' previsto un monitoraggio?
Sì. Il decreto istituisce la Rete della protezione e dell'inclusione sociale, presieduta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e composta da rappresentanti dei diversi livelli di governo. E' una struttura permanente di confronto e programmazione delle politiche sociali, nonché di coinvolgimento nelle decisioni programmatiche del terzo settore, delle parti sociali e degli altri stakeholder. La Rete si articola in tavoli regionali e territoriali e ha l'obiettivo di rendere più omogeneo il sistema superando le attuali sperequazioni territoriali. La rete sarà articolata in un Comitato per la lotta alla povertà, come organismo di confronto permanente tra i diversi livelli di governo, e un Osservatorio sulle povertà, con il compito di predisporre un Rapporto biennale sulla povertà, in cui verranno formulate analisi e proposte in materia di contrasto alla povertà. Dovrà poi promuovere l'attuazione del ReI, evidenziando eventuali problematiche riscontrate, anche a livello territoriale, ed esprimere il proprio parere sul Rapporto annuale di monitoraggio.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 23 novembre 2017
 
 

Le sedi di lavoro si concentrano principalmente a Milano e nel resto della Lombardia, in Veneto ed Emilia-Romagna, con posizioni aperte anche in altre regioni italiane.-
L’Agenzia per il lavoro E-work cerca 100 addetti per servizi di vigilanza e portierato, in tutta Italia (i dettagli su: www.e-workspa.it). La ricerca si svolge per conto della società Ivri - Istituti di Vigilanza Riuniti d’Italia Spa, che conta 40 sedi sul territorio nazionale, con 7mila dipendenti, e riguarda i seguenti profili:
- guardie giurate
- addetti ai servizi di portierato
- receptionist.

Le sedi di lavoro si concentrano principalmente a Milano e nel resto della Lombardia, in Veneto ed Emilia-Romagna, con posizioni aperte anche in altre regioni italiane.
Per la posizione di guardia particolare giurata, sono indispensabili un diploma di scuola media superiore e la conoscenza fluente della lingua inglese, mentre la conoscenza di una seconda lingua straniera è un titolo preferenziale. È preferibile ma non indispensabile un’esperienza pregressa. Si richiedono in ogni caso una forte motivazione, buono standing, buone abilità di resistenza allo stress e di problem solving, oltre alla disponibilità a lavorare su turni e a prendere Porto d’armi e Decreto Prefettizio, per svolgere i servizi di vigilanza armata.
Per gli addetti al portierato, si richiedono il diploma, buono standing, dinamismo, attenzione al cliente e, preferibilmente, una buona conoscenza dell’inglese. È anche necessaria la disponibilità al lavoro su turni.
Le posizioni di receptionist sono riservate a candidati tra i 25 e i 40 anni di età, anche alla prima esperienza lavorativa, purché diplomati, con una buona o ottima conoscenza della lingua inglese – oltre che italiana, per chi non è madrelingua – buona padronanza del pacchetto office e dell’utilizzo del Pc, disponibilità a lavorare su turni. Si applica il contratto collettivo nazionale “Vigilanza servizi fiduciari”, con inquadramento da valutare in funzione dell’esperienza dei candidati.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 03 novembre 2017

Alcune scuole hanno vietato ai ragazzi delle medie di tornare a casa da soli, scatenando le polemiche dei genitori. Il dibattito è acceso, ma riguarda il codice penale. Ecco cosa dice la legge e cosa si potrebbe fare per risolvere il problema.-
Chi non è mai tornato a casa da solo alle medie? Chi magari lo faceva fin dalle elementari? Sono in molti a protestare contro la decisione di alcuni dirigenti scolastici di vietare l'uscita da scuola degli studenti delle medie, se non accompagnati da un adulto maggiorenne. Secondo molti genitori, che faticano a conciliare le esigenze lavorative con gli orari scolastici, la restrizione è anacronistica e troppo limitante, ma i presidi parlano chiaro: a vietare l'uscita da scuola da soli ai minori di 14 anni è il Codice penale.
La circolare della discordia
A far discutere in questi giorni è in particolare una circolare, emanata in diverse scuole secondarie di primo grado (le "vecchie medie") su tutto il territorio nazionale, che chiarisce le responsabilità nel controllo degli studenti: l'art. 591 del Codice penale prevede infatti che "Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici (...) e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni". Gli insegnanti che, al suono della campanella, permettano agli studenti di lasciare la scuola senza affidarli ad un altro adulto di riferimento (genitori, nonni o baby sitter autorizzati con apposita delega e documento di identità) incorrono nel reato di abbandono di minore. Sempre il Codice penale prevede, per i minori di quattordici anni, la presunzione assoluta di incapacità. Insomma, non sarebbero in grado di tornare a casa da soli.
Le polemiche
È proprio sulla presunta incapacità degli studenti che si è scatenato il dibattito. Sono in molti a ritenere che i ragazzi di oggi non solo siano in grado di tornare a casa da soli, come facevano i loro genitori, ma che godano anche di maggiore autonomia rispetto ai coetanei delle generazioni precedenti. «Sanno usare smartphone e maneggiare la tecnologia con una facilità enorme, sono molto più emancipati di noi, figuriamoci se non sono in grado di attraversare la strada da soli» protestano alcuni genitori fuori da un istituto scolastico romano. «Noi abitiamo a meno di un chilometro da casa, io lavoro: come faccio a pensare di lasciare l'ufficio poco prima delle 14 per andare a prendere mio figlio all'uscita?» spiega la madre di una 13enne in Liguria, dove l'istituto ha adottato la circolare.
Il precedente
Il precedente, che ha spinto i dirigenti a mettersi al riparo da ripercussioni giuridiche, risale a 15 anni fa, quando uno studente morì dopo essere stato trascinato da uno scuolabus, tra le cui porte era rimasto incastrato. La responsabilità non fu solo dell'autista: secondo la Cassazione, che si è pronunciata cinque mesi fa, la scuola e gli insegnanti non avevano messo in atto le opportune misure per evitare l'incidente, venendo meno al dovere di "diligenza e attenzione", previsto dal contratto nazionale di lavoro.
«La questione è piuttosto delicata» spiega Rosaria D'Anna, Presidente dell'AGI, l'Associazione Genitori Italiani. «Basti pensare che per i docenti il suono della campanella corrisponde alla fine delle ore lavorative previste dagli obblighi contrattuali.
Quanto alle responsabilità, i regolamenti di istituto partono dalla normativa generale, secondo la quale il compito degli insegnanti è quello di controllare e assistere i ragazzi all'uscita delle classi, mentre al personale ATA dovrebbe spettare il compito di vigilare.
Alla luce di quanto accaduto al ragazzo morto anni fa, i dirigenti hanno chiesto delle liberatorie ai genitori per far sì che la scuola fosse sollevata da responsabilità. Il problema è però che altre sentenze hanno invalidato le liberatorie».
Cosa dice la legge
La circolare al centro delle polemiche delle ultime ore contiene i riferimenti di legge, in base ai quali i presidi hanno deciso di non consentire più, da quest'anno scolastico, l'uscita da soli dei minori di quattordici anni, né di accettare liberatorie, che non hanno alcun valore giuridico dal punto di vista della responsabilità penale del personale scolastico.
Tra le sentenze della Cassazione c'è, ad esempio, la numero 3074 del 30/03/1999, secondo la quale "L’Istituto d’Istruzione ha il dovere di provvedere alla sorveglianza degli allievi minorenni per tutto il tempo in cui gli sono affidati, e quindi fino al subentro reale o potenziale, dei genitori o di persone da questi incaricate; […] La posizione assunta in merito da alcune Avvocature della Stato, tende ad escludere la valenza di disposizioni interne all’Istituzione scolastica dirette a chiedere ai genitori degli alunni la “autorizzazione” al rientro a casa di questi da soli ovvero non accompagnati da soggetto maggiorenne (nel gergo in uso, tali autorizzazioni vengono definite “liberatorie” concretizzandosi codice in formule di esonero da responsabilità dell’Amministrazione scolastica per gli eventuali danni conseguenti alla descritta situazione)".
Dello stesso tenore un altro pronunciamento del Tribunale di Trieste del 2010, così come la Sezione Penale della Corte di Cassazione (17574/2010) nello stesso anno. Per colmare il vuoto normativo, quattro anni fa era stato presentato un apposito disegno di legge, che prevedeva di inserire l'uscita autonoma nel Regolamento d'Istituto, tutelando il personale scolastico, ma il testo è rimasto fermo in Parlamento.
Possibili soluzioni
«Quello che anche noi auspichiamo, come Associazione Genitori Italiani, è un dialogo tra la scuola e i genitori, in modo da evitare inutili contrapposizioni e soprattutto per tutelare realmente la sicurezza degli studenti» spiega D'Anna. «Io credo che si potrebbe arrivare a soluzioni pratiche condivise, come un patto genitori-scuola, nel quale elencare norme che possono tutelare entrambe le parti. Una liberatoria non può, infatti, tutelare un bambino da qualsiasi incidente, che peraltro può capitare anche nel tragitto casa-istituto, quando non è prevista alcuna sorveglianza da parte degli insegnanti».
Ma come fare? "Io credo che bisogna contestualizzare: ad esempio, c'è molta differenza tra una grande città o la realtà di un piccolo centro, dove anche la densità di traffico è differente" prosegue D'Anna. "Si potrebbe, in ogni caso, sollecitare la presenza di vigili e personale ausiliare del comune che presti servizio di vigilanza". La dirigente di uno degli istituti romani che ha adottato la circolare, invece, non esclude la possibilità di "modalità assistite di percorrenza" da scuola a casa e viceversa, come un tragitto organizzato in collaborazione tra le famiglie, magari grazie all'aiuto di realtà come quelle offerte dall'Albo dei Genitori Volontari. In questo modo, oltre a liberare il personale scolastico dalla responsabilità (affidata in questo caso ad altri adulti), si permetterebbe di sviluppare la necessaria autonomia dei ragazzi, venendo anche incontro alle esigenze dei genitori.
da www.donnamoderna.com
@Riproduzione Riservata del 12 ottobre 2017

di Fulvio Fulvi
Il fondatore della Comunità Exodus racconta “amori” e “tradimenti” dei suoi quarant’anni da prete di strada. E parla dell’impegno per strappare i giovani dalla droga e dal disagio sociale.-
Due bianche ali di polistirolo che spuntano dietro le spalle, il solito sorrisetto birbante di chi la sa lunga e un cappellino di lana in testa. Nel fotomontaggio che lo ritrae sull’accattivante sovraccoperta turchese dell’autobiografia (da oggi nelle librerie), don Antonio Mazzi, 88 anni, sembra proprio un angioletto. E forse, a modo suo, lo è. La pensano così, sicuramente, le migliaia di ragazzi che nella sua cinquantennale attività missionaria, prima all’“Istituto don Giovanni Calabria” di Ferrara e in seguito nella Comunità Exodus fondata a Milano alla fine degli anni ’70, il sacerdote ha strappato dalle grinfie mortali della droga o da un’esistenza impossibile. E che – quando arriverà il momento – salirà in Paradiso, ne è convinto lui stesso, e non certo per superbia o per orgoglio. «Non ci andrò per colpa mia ma perché tra le migliaia di poveri che ho abbracciato uno mi ha travolto: e ne sono sicuro perché quando l’abbracciai non me ne accorsi nemmeno » spiega don Antonio. Cristo è diventato la sua vita. Il titolo del libro Amori e tradimenti di un prete di strada (San Paolo, pagine 166, euro 16.00) annuncia subito una pubblica confessione senza pregiudizi nè barriere, come nello stile del coraggioso presbitero veronese.
Perché ha deciso di farsi prete e dedicare la propria vita agli altri?
«Perché ero orfano... Per riempire quel vuoto terribile lasciato da mio padre che non ho visto nemmeno sulla foto della lapide del cimitero di Valdobbiadene. Ma ero orfano anche di mia madre vedova, più vicina al marito morto che a noi figli. E orfano di me stesso, disperso dentro il mio carattere e la mia indisciplina. E anche orfano di Dio, quel Dio pieno di candele che mi veniva proposto. Così, a 20 anni, ho deciso di diventare io padre degli altri, più padre che prete, forse... anche se è difficile distinguere le due cose».
E questa sua esperienza le ha dato la forza di capire e di perdonare...
«È ciò di cui hanno bisogno i giovani che vengono accolti nella comunità, portandosi dietro storie sempre più complicate e diverse. Oggi non sono più soltanto tossicodipendenti ma personalmente vuoti, fragili, abbandonati, non capiti, appunto. Vittime di una società guidata dagli adulti che livella tutto e svuota, esaurisce. E noi cerchiamo, piano piano, prima di farli respirare, poi di ragionare e infine, dopo un anno, farli credere in se stessi. Ma se non si riesce a smuoverli in 15 giorni, di solito, vuol dire che non c’è proprio niente da fare».
È più difficile adesso svolgere il suo compito oppure lo era quando ha iniziato, cioè negli anni in cui imperversavano droga e terrorismo?
«Al “Don Calabria” allora, il primo giorno che arrivai, c’erano mille ragazzi. Erano più disperati e violenti di quelli di oggi ma li prendevi più facilmente. Ora invece il sistema ha cavato loro l’anima riempiendo il vuoto rimasto con il portafoglio, lo smartphone, il computer, gli spinelli. E dopo? Sono davvero preoccupato ».
È una grande fatica, vero?
«Non direi. Sono accompagnato. Se non era per il Padreterno non imboccavo questa strada. È l’unica vita che potrei fare. Avevo bisogno di un’avventura, l’ho scelta e la vivo ancora perché ogni mattina non so mai cosa succederà. È così da 40 anni, e le giornate sono sempre diverse».
Qual è il metodo che segue?
«Non terapie ma educazione. Non si salvano i giovani con le medicine. È lo stesso metodo di don Bosco».
Quali sono le persone che l’hanno aiutata a far venire fuori la sua vocazione?
«I ragazzi che ho conosciuto a Ferrara nel 1951: frequentavano “La città del ragazzo” e abitavano tutti nei centri del Polesine che furono investiti dall’alluvione del Po: molti di loro persero i genitori e tutto quello che avevano. Mi ci identificai. Allora ebbi più chiaro il mio bisogno di esercitare la paternità. Come esempio da seguire nella mia vita, invece, ho avuto soprattutto don Primo Mazzolari e padre Davide Maria Turoldo. Ma una persona decisiva per me è stato il cardinale Carlo Maria Martini il quale da arcivescovo di Milano ha seguito personalmente il nostro lavoro di Exodus e ci è stato sempre vicino. L’ho amato molto».
Oggi dilagano scetticismo e indifferenza. Cosa risponde a chi, ghermito dalla disperazione, dice che il mondo non si può cambiare?
«Le strutture di ingiustizia sono create dall’uomo e l’uomo è chiamato a modificarle. Può farlo anche nel suo piccolo, cambiando se stesso. Dio può tutto. Come si può interpretare altrimenti il fatto che ci abbia mandato proprio in questo momento storico un Papa come Francesco? Dio entra nei modi più impensati nella vita degli uomini. Cristo, nel Vangelo, vince quando muore! Ci dice niente questo? Non c’è niente di logico nella Parola. A partire dalla nascita della Madonna...».
Tra le tante storie che ha vissuto come “padre-prete”, ce n’è una che le è rimasta di più nel cuore?
«Una mamma venne da me per chiedermi di andare a confessare il figlio, malato terminale di Aids. Era un giovanotto, un giocatore di basket, abitava in un quartiere alla periferia di Milano. Mi trovai di fronte a uno scheletro. Sudavo, non sapevo cosa fare, erano i tempi in cui dell’Aids si conosceva poco o niente e i primi a occuparsi di questi malati fummo proprio noi di Exodus. Mi affidai alla misericordia del Signore. Abbracciai quel ragazzo, lo baciai, lo assolsi dei suoi peccati. Due giorni dopo morì. In lui ho visto Cristo. E ce l’ho ancora dentro».
Che cosa le ha insegnato quella esperienza?
«Che senza misericordia non sono nessuno. È la cosa più importante nella vita, mi fa sentire sereno. Anche di fronte a chi vuole farmi fuori».
Perché, come dice nel libro, vorrebbe fare il prete- monaco? Non va bene così com’è?
«L’ho chiesto ai miei superiori della congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza: “posso fare il semplice monaco?”. Perché il prete regala autorità, credibilità e in cambio ti viene regalata stima. Ma io vorrei essere un “nessuno” per essere qualcuno... Senza nessuno che ti corre dietro e ti chiede di fare un selfie. Ma capisco che anche questa è una tentazione e cerco di scacciarla quando dico Messa».
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 10 ottobre 2017

Sabato 7 ottobre, alle ore 21, presso l'Ex Cotonificio Dellepiane di Tortona, si terrà la Conferenza di apertura della Settimana dell'arte e della musica "In perosi memoriam".
Alla conferenza interverrà il Vescovo di Tortona, Mons. Vittorio Francesco Viola. La Conferenza, dal titolo "LUCE E BUIO: la speranza nella vita e nell'arte, oltre ogni disperazione ed oscurità".
La conferenza affronterà il tema della speranza e della vita, capace di emergere anche nelle nostre esperienza di buio e di tenebra dello spirito. Il tema, affrontato all'interno dell'Ex Cotonificio è di grande interesse, e viene affrontato attraverso riferimenti al mondo dell'arte e della cultura, oltre che dell'umanesi e della fede.
La Conferenza aprirà anche ufficialmente la mostra LUCEBUIO", dell'artista italo-agentino Raul Gabriel che, insieme anche al Prof. Paolo Bolpagni, interverrà durante la conferenza stessa.
da www.diocesitortona.it
@Riproduzione Riservata del 01 ottobre 2017

Sabato 7 ottobre, inizia la Visita Pastorale di mons. Vittorio Francesco Viola, nel Vicariato di Voghera.
Le prime parrocchie ad essere visitate saranno Mondondone, Murisasco, Codevilla e Retorbido.
 
 
www.diocesitortona.it
@Riproduzione Riservata del 02 ottobre 2017

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