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CAV - Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese ODV

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Redazione Internet

Ecco come e perché l'abbiamo scelta per dedicarle la copertina del numero speciale di Famiglia Cristiana in edicola, e poi in parrocchia, in cui si racconta in un'intervista a cuore aperto.-

L’Italiana dell’anno 2017 secondo Famiglia Cristiana è Gessica Notaro la ragazza di Rimini sfregiata con l’acido dall’uomo che diceva di amarla. L’abbiamo scelta non per quello che ha subìto ma per come ha reagito: con il coraggio di mostrarsi, di esporsi perché ad altre non possa capitare, con l’impegno civile nonostante il dolore, la fatica, la paura, il rapporto con Dio. Ha concesso a Famiglia Cristiana una lunga intervista, in cui racconta a fondo a cuore aperto come ha trovato il coraggio che mostra e il segreto della forza che dimostra da sempre. Potete leggerla sullo speciale di Famiglia Cristiana in edicola da oggi, in cui ha posato, per scelta senza trucco, per la copertina e per il servizio fotografico.
Il numero che ha data 31 dicembre, contiene anche la nostra lettura dell’anno appena trascorso: senza pretese di esaustività ma con il nostro punto di vista. Ma soprattutto prova a rispondere con l’aiuto di molti esperti, alle domande dell’anno che verrà: Sarà l’anno delle donne nella Chiesa? Chi governerà l’Italia? Trump farà la guerra alla Corea? Parleremo con i nostri figli solo al cellulare? Avremo un lavoro più dignitoso? Gli ultimi resteranno ultimi? Carlo diventerà re d’Inghilterra? Il turismo e la cultura salveranno l’Italia? Chi vincerà il Festival di Sanremo targato Baglioni? Sono solo alcuni degli interrogativi che ci siamo posti. Buon anno e buona lettura.
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 28 dicembre 2017

di Lorenzo Rosoli
«Non arrenderti alla notte», è lo slogan che accompagna l'incontro dell'arcivescovo con gli abitanti di Bruzzano. Preghiera e festa tra cortili e strade di periferia. All'insegna del «buon vicinato».-
«Lei, caro vescovo, stasera è Gesù tra noi che viene a creare unità, a portare la pace dove può esistere violenza e solitudine, dove si può ricomporre ciò che per la nostra fragilità umana si è potuto disgregare. Ci affidiamo alla sua preghiera affinché la venuta di Gesù risvegli in noi il desiderio di novità di vita e ci apra alla speranza! Buon Natale con tutto il cuore papà Mario!». Isra ha undici anni, è nata in Italia da genitori marocchini e vive con le due sorelle e la mamma in via del Danubio, a Bruzzano, alla periferia nord di Milano. È alla voce limpida, serena, di questa ragazzina musulmana che ha saputo vincere la propria timidezza e l’emozione della circostanza, che le famiglie del quartiere hanno affidato il messaggio di benvenuto all’arcivescovo Mario Delpini, ad aprire l’incontro di preghiera, condivisione e benedizione in vista del Natale.
Questa la formula scelta da tre anni dalla parrocchia della Beata Vergine Assunta in Bruzzano: non più benedizioni casa per casa (se non quando il desiderio e le necessità dei residenti lo richiedono), ma incontri comunitari, nei caseggiati. Preghiera, Vangelo, canti, scambi di riflessioni. E di doni. Così è stato anche la sera di giovedì 14 dicembre. Ma stavolta, ad accompagnare il parroco don Paolo Selmi, c’è un ospite speciale: l’arcivescovo. Non arrenderti alla notte, sta scritto sul volantino che annuncia gli incontri con Delpini in via Senigallia 60, ai giardini di via Grassini e in via del Danubio 6. Tre luoghi che, in modo diverso, raccontano problemi, sofferenze e speranze di questa periferia. Ed è davvero una Bruzzano che non si arrende, quella che l’altra sera ha sfidato il freddo per farsi incontro – con calore – al proprio arcivescovo. Italiani, stranieri, famiglie con bambini, giovani, anziani, persone in carrozzina. Donne musulmane con il velo. E altre senza. Stasera conta quello che porti nel cuore.
«Una luce di speranza fra questi palazzi difficili»
«Non lasciatevi rubare la speranza, dice papa Francesco. Cosa significa? Non dimenticatevi di Gesù. Perché la speranza non è una favola per bimbi o un ottimismo da quattro soldi: la speranza, per noi, è Gesù», spiega Delpini fra le case nuove di via Senigallia, l’ultimo complesso di edilizia popolare nato a Bruzzano. «La Chiesa è qui non perché abbia chissà quali strutture, risorse o iniziative, ma è qui per dire: siamo alleati della vostra speranza. Dio è nostro alleato, noi siamo il popolo della speranza e con la nostra piccola luce dobbiamo far sì che in questo quartiere nessuno più abbia paura della notte».
Una piccola luce. Come quella dei flambeaux che vengono distribuiti nei tre luoghi d’incontro. Assieme alle copie di «Un Angelo in paese», le «Storie di Natale per famiglie» scritte da Delpini, ad un messaggio per le famiglie musulmane e ad un bicchiere di tè caldo. «Io sono venuto a dirvi che Gesù è la luce del mondo, e la nostra speranza per il Natale è che quella luce che abbiamo dentro venga fuori, contagi il quartiere, faccia sorridere i bambini, consoli gli anziani, porti una carezza ai malati. Questo mondo guarisce se la luce che abbiamo dentro viene fuori», dice l’arcivescovo nei giardini di via Grassini, sotto le torri di via Vincenzo da Seregno. Quindi, riecheggiando temi e termini del suo primo Discorso alla città per Sant’Ambrogio: «Io vorrei raccomandare l’arte del buon vicinato, un’alleanza per il bene. So che questi palazzi sono difficili. Ma i cristiani sono qui a portare una luce, certamente piccola, fragile, esposta al vento, ma capace di far risplendere un po’ di speranza». Basta poco, suggerisce Delpini: un saluto, un sorriso, un invito per un caffè o una fetta di panettone. Ma quel poco è prezioso, in contesti difficili come questi. «Siamo qui per volerci bene, per rendere vivibile la città».

«Dio ci ha amati e ci ha resi capaci di amare»
Un invito rilanciato in via del Danubio. «Siamo qui per dire che la notte non vincerà, e che è più bello fare il bene che il male, essere insieme che da soli, curarsi gli uni degli altri che chiudersi in casa e aver paura di quelli che abitano vicino – esclama Delpini –. Sono venuto per dirvi che la Chiesa è alleata di questo quartiere. E la presenza dei sacerdoti, delle suore, di tanti di voi che vivono con sincerità e fierezza la loro fede, dice che la Chiesa è presente qui, ama questa terra, vuole fare alleanza con tutti coloro che vogliono fare il bene a questo territorio. Vedere la gloria di Dio farsi presente nella nostra famiglia, nel nostro quartiere, nella nostra comunità: questo sia il nostro Natale. Dio ci ha amati e ci ha resi capaci di amare. Teniamo accesa questa piccola luce. Ma ancor più dobbiamo tenere acceso il nostro sorriso, la nostra capacità di vincere il male con il bene, il nostro desiderio di voler bene alle persone che ci sono vicine. Ecco: questa notte non è più notte, la tenebra non vincerà, perché noi abbiamo dentro la luce di Dio».
Parrocchia e musulmani, dal dialogo all'amicizia
Via del Danubio 6. L’incontro con l’arcivescovo si è appena concluso. Un signore anziano si avvicina a Walter e Anna, marito e moglie, volontari della parrocchia. Sorride. Ma appare disorientato. Chiede di essere accompagnato a casa. Vive, solo, in uno di questi condomini. Ma non ricorda dove, e quale. A ricordarlo, indicando a Walter dove condurre l’uomo, è don Paolo Selmi, il parroco. Anna, intanto, saluta Isra, la ragazzina, figlia di una coppia marocchina, che ha letto il benvenuto dei residenti a Delpini. Walter e Anna, con altri volontari, partecipano all’esperienza di dialogo e incontro che la parrocchia ha avviato con alcune famiglie musulmane. Con quella di Isra (che con le sorelle frequenta l’oratorio), la semplice conoscenza è maturata in amicizia e familiarità.
All’arte del «buon vicinato», Delpini ha dedicato il suo Discorso alla città per Sant’Ambrogio. Un’arte che è tornato a raccomandare incontrando, giovedì sera, la gente di Bruzzano per la benedizione di Natale. Un’arte che, in questo quartiere, ha molti cultori. Di quelli che non fanno notizia. Ma che tengono in piedi la vita in comune. E il bene comune. Come in via Senigallia, prima tappa dell’itinerario di Delpini, ultimo complesso di case popolari sorto nel quartiere, dove convivono famiglie con bambini e persone sole, inclusi alcuni ex senza dimora, e ha sede una comunità psichiatrica. Qui, a svolgere il servizio di custodia sociale, è la Fondazione Aquilone, scaturita dalla parrocchia nella scia del convegno diocesano Farsi prossimo. Non è segnalata presenza di microcriminalità. Al contrario delle torri di via Vincenzo da Seregno 48, 50, 54 e 56. Fra le 340 famiglie che le abitano, molti sono gli anziani. E non pochi quelli che hanno congiunti in carcere. Da 35 anni, al civico 48, abitano le Suore delle Poverelle (ormai ne è rimasta una sola), da sempre un riferimento certo, specie per chi fa più fatica.

Sedie per gli ospiti, piatti e fuochi d'artificio
Non meno delicata e complessa è la realtà di via del Danubio 6. Farsi gli affari propri. E rispettare la legge del più forte. Ecco le regole del vicinato nel "quadrilatero dei fiumi". Qui – come altrove, in altri complessi di case popolari – i clan cercano di farla da padrone. Tanti anziani, spesso soli. Tanti stranieri, spesso onesti lavoratori. Ma anche tanti disoccupati. E gli alloggi occupati abusivamente. Un problema additato da Delpini nel Discorso alla città. Assieme alle indicazioni per un vicinato buono. Che spesso nasce da piccoli gesti. Da semplici attenzioni. Come i doni offerti a Delpini nelle tre tappe della sua visita: dolci fatti in casa da famiglie italiane e straniere. E ad ogni tappa, un segno. Un simbolo. In via Senigallia, alcune sedie vuote, come a dire: benvenuto, c’è posto per tutti, anche per te. Sotto le torri di via Vincenzo da Seregno: un piccolo fuoco d’artificio. Un segno di luce. Gentile, festoso. Acceso là dove petardi ben più potenti vengono fatti esplodere e usati come segnalazioni dagli spacciatori di droga. Infine: in via del Danubio – dove a Capodanno dalle finestre piovono stoviglie – nel cortile, davanti a Delpini, viene rotto un piatto. «Per rompere con il passato – spiega il parroco – e iniziare una vita nuova». Nel segno del buon vicinato.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 16 dicembre 2017

Redazione Internet
La visita del 17 marzo 2018 è in occasione del centenario dell'apparizione delle stimmate a san Pio da Pietrelcina e nel cinquantesimo anniversario della morte del frate cappuccino.-
Sabato 17 marzo 2018 papa Francesco sì recherà in visita pastorale a Pietrelcina, nella diocesi di Benevento, nel centenario dell'apparizione delle stimmate di san Pio da Pietrelcina, e a San Giovanni Rotondo, nella diocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, nel cinquantesimo anniversario della morte di Padre Pio. Lo ha riferito il direttore della Sala stampa vaticana Greg Burke.
Sarà il terzo Papa a recarsi a San Giovanni Rotondo dopo san Giovanni Paolo II il 23 maggio 1987 e Benedetto XVI il 21 giugno 2009.
Papa Francesco a Pietrelcina «il più bel regalo di Natale»
"Il più bel regalo di Natale che potevamo avere". L’arcivescovo di Benevento, Felice Accrocca, definisce così la visita che papa Francesco farà sabato 17 marzo 2018 a Pietrelcina per il centenario dell’apparizione delle stimmate di San Pio e a San Giovanni Rotondo, nel 50° anniversario della morte di san Pio. “Due luoghi cari a San Pio da Pietrelcina”, sottolinea monsignor Accrocca. Dalla visita del Papa “trarremo tutti grande beneficio spirituale”. “Speriamo di prepararci a questo dono nel modo migliore, con iniziative di preghiera e di formazione – conclude l’arcivescovo -, cercando di capire anche quello che è il nostro rapporto con il Successore di Pietro: Benevento è città pontificia, è stata parte dello Stato della Chiesa fino al 1860, quindi il nostro legame con la Chiesa di Roma è tutto particolare”.
Il programma di papa Francesco a Pietrelcina
Secondo il programma comunicato dalla Sala stampa vaticana, il 17 marzo 2018 papa Francesco decollerà da Roma alle 7 per arrivare a Pietrelcina alle 8. Qui sarà accolto dall'arcivescovo di Benevento, Felice Accrocca, e dal sindaco di Pietrelcina, Domenico Masone. Papa Francesco sosterà in preghiera alla Cappella delle Stimmate. Sul piazzale della Chiesa ci sarà l'incontro con i fedeli, poi il Papa incontrerà la comunità dei Cappuccini di Pietrelcina.
Il programma della visita del Papa San Giovanni Rotondo
Alle 9 l'elicottero del Papa decollerà verso San Giovanni Rotondo dove il Papa arriverà alle 9.30. Qui papa Francesco sarà accolto dall'arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, Michele Castoro e dal sindaco di San Giovanni Rotondo, Costanzo Cascavilla. Quindi papa Bergoglio visiterà il reparto di pediatria oncologica.
La Messa verrà celebrata alle 11. Dopo aver salutato la comunità dei Cappuccini di San Giovanni Rotondo, papa Francesco lascerà San Giovanni Rotondo alle 12.45 per atterrare all'eliporto del Vaticano alle 13.45.
Padre Pio testimone della misericordia divina nell'Anno Santo
Nel 2016 le spoglie di Padre Pio per la prima volta hanno lasciato la cripta di San Giovanni Rotondo. Dopo essere traslate a Roma per il Giubileo della Misericordia (assieme a quelle di san Leopoldo Mandic, ndr), sono state portate, dopo 100 anni, a Pietrelcina nel suo borgo natio.
Va ricordato che san Pio da Pietrelcina è stato un instancabile dispensatore della misericordia divina attraverso una presenza quotidiana in confessionale, l’ha incarnata nella sua vita, perdonando tutti coloro che lo hanno perseguitato e calunniato e prendendosi cura di quanti erano nel bisogno. A tutti è nota la sua opera di misericordia sociale che si staglia sul fianco del monte accanto al convento dei Cappuccini di San Giovanni Rotondo, l’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza.
Nel Santuario – centro di diffusione della spiritualità del frate – sono custodite importantissime reliquie appartenenti al santo del Gargano come il sangue, il mantello, un guanto e la stola che egli indossava nel giorno dell’inaugurazione dell’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 19 dicembre 2017
 

di Angela Mammana
Quando accade un evento negativo, si può avere l'impressione che vada tutto storto, ma è davvero così? Come reagire quando si vede tutto nero.

Spesso sento dire: “va tutto storto”, “mai una gioia”, “in questo periodo capitano tutte a me” e potrei continuare con tutta la serie di frasi tipo. Cosa succede quando qualcosa non va secondo i nostri piani e non siamo pienamente soddisfatti della nostra vita? Ci piace poi crogiolarci insieme agli amici nel condividere le piccole-grandi disgrazie, ripetiamo spesso “è un periodo”, ma questo periodo da quanto tempo si protrae?

Ci sono dei processi cognitivi che forse possiamo imparare a conoscere e gestire coscientemente senza farci travolgere dalla tristezza e dallo sconforto, dato che la nostra mente ha delle funzioni che tendono a “generalizzare” un evento e a farcelo percepire come il nostro mondo intero. Come non incastrarci in questo brutto gioco?

Ma allo stesso modo, se sappiamo che questo avviene, nel momento in cui ci viene la tentazione di evidenziare tutto ciò che non abbiamo, tutti i nostri sogni infranti, possiamo agire coscientemente ricordandoci per prima cosa che quella è “una parte e non il tutto”.

L’esercizio può essere quello di allargare lo sguardo ed esercitare come volontà intenzionale la gratitudine per quello che riusciamo a percepire di positivo, magari anche per ciò che diamo per scontato: una cosa completata, una persona che ci vuole bene, delle risorse da mettere a frutto. Anche quando non riusciamo a vedere niente di buono possiamo ritagliarci un momento profondo dove mettere a fuoco quali siano le cose importanti e il valore che diamo alla vita, se da soli non ci riusciamo perché l’umore è eccessivamente triste, allora è il momento di farci aiutare in questa risalita.

Un determinato evento, sia esso passato o presente, viene vissuto dalla persona non tanto in quanto tale (per le sue caratteristiche oggettivabili), quanto piuttosto per la valenza e gli effetti emotivi che l’individuo vi attribuisce. Qualsiasi situazione controversa o non favorevole della nostra vita può trasformarsi in un’occasione di crescita personale, nel momento in cui noi lo desideriamo e cambiamo il modo di affrontarla. Quando ha inizio un momento difficile (o percepito come tale) è possibile decidere volontariamente di sfruttarlo come opportunità per sviluppare se stessi. La psicologa e ricercatrice italiana Barbara Giangrasso ha individuato alcune basi fondamentali della sofferenza dell’essere umano nella non accettazione di vari aspetti che regolano la vita. Esemplificandoli, li elenco di seguito:

– la necessità di uscire dal proprio egocentrismo;

– la mancata coscienza che gli uomini hanno legami di interdipendenza;

– il non riuscire a focalizzare cosa fa soffrire;

– il cercare all’esterno le cause della propria sofferenza;

– non credere nelle proprie potenzialità.

Ciascuno dei punti sopra citati possono essere degli obiettivi di sviluppo da affrontare con i tempi personali e nella quotidianità. Possiamo attraversare dei momenti critici in cui queste “non consapevolezze” ci arenano, oppure, possiamo iniziare un nuovo percorso di crescita.

da www.cittànuova.it
@Riproduzione Riservata del 14 dicembre 2017
 

di Angela Mammana
Scegliere è già un processo complesso per il singolo individuo, ma quando questo avviene in “due” assume alcuni particolari aspetti.-
Ogni giorno ci troviamo ad imboccare una strada diversa, la “scelta” di per sé rappresenta una funzione che implica una direzione da intraprendere, ci porta davanti ad un bivio e a delle conseguenze. Scegliere è già un processo complesso per il singolo individuo, ma quando questo avviene in “due” assume alcuni particolari aspetti. Cosa vuol dire per una coppia fare una scelta?
Innanzitutto, è possibile che apparentemente una determinata decisione colpisca uno solo dei due partner, mentre l’altro ha un ruolo da “spettatore”. A mio avviso, questa percezione, è un bel tranello, perché la scelta di uno dei due condiziona e coinvolge entrambi i partner. Quando la scelta è presa insieme il modo di affrontare tutto il percorso sarà differente. Il singolo partner portando avanti una specifica decisione, avrà dei comportamenti, prenderà degli impegni fuori casa, avrà delle conseguenze che toccheranno anche l’altro partner e toglieranno o daranno tempo alla coppia.

Scegliere insieme è una presa di responsabilità comune, che non deve sfociare nel delegare le valutazioni al partner con maggiore spirito di iniziativa e capacità decisionale, ma presuppone che ci siano due posizioni, due idee relative al “caso”, che si incontrano e si confrontano.

Dall’osservazione sul campo ho potuto notare dei benefici maturati da questa buona abitudine.

I partner volendo scegliere insieme si trovano a dialogare sulla questione da decidere, applicano il metodo socratico della maieutica, questo è già uno scambio e uno spazio di conversazione importantissimo dove si conosce il punto di vista e si analizzano le possibilità. Il confronto di idee diverse alimenta una crescita, in cui si fanno dei passi insieme, si cammina braccio a braccio. Altro fondamentale aspetto, nel caso in cui la decisione tolga energie al “tempo” della coppia, se la scelta viene fatta insieme il disagio non sarà attribuibile ad uno solo come “causa” del malessere, ma ciascuno si sente fautore e responsabile non attaccando l’altro.
Questo, inoltre, stimola tra i partner comunanza e solidarietà, per cui al di là di chi compie le azioni derivanti dalla scelta, l’altro partner sarà un alleato, anche solo dal punto di vista del sostegno emotivo. Un ulteriore elemento che alimenta questo speciale allenamento dello “scegliere insieme” è la progettualità del Noi, in cui si guarda al futuro in modo armonico e si fanno delle negoziazioni facendo attenzione al bene di entrambi i partner.
Ogni piccola occasione decisionale, “faccio questo o vado lì”, “cambio lavoro” o “accetto questa proposta”, può essere un’interessantissima possibilità di crescita per la coppia, una piccola sfida che può rafforzare il legame e può far camminare unitamente.
Approfittiamo del tempo della scelta per fermarci e gustare lo stare insieme, è possibile che ci venga in mente che l’altro si potrà opporre al nostro desiderio, ma allora domandiamoci qual è il bene per me e per l’altro? Apriamo la mente alle considerazioni dell’altro, mettiamoci scomodi per capire quelle che sono le perplessità, a volte si dovrà perdere anche un’idea e altre volte il partner ci incoraggerà in una direzione sfidante. Al di là della strada intrapresa, sarà un allenamento di coppia, potrà alimentare la felicità del Noi.
da www.cittànuova.it
@Riproduzione Riservata del 13 dicembre 2017
 

 

 

Redazione Internet
Nella catechesi sul bisogno di andare a Messa la domenica: "Come possiamo praticare il Vangelo senza attingere l'energia per farlo, una domenica dopo l'altra, alla fonte inesauribile dell'Eucaristia?".-
"Perché andare a Messa la domenica?". È la domanda che ha posto papa Francesco in Aula Paolo VI all'inizio dell'udienza generale. La catechesi odierna è stata incentrata sul significato della Messa e della domenica, giorno di festa e incontro con Gesù.
"La domenica è un giorno santo per noi, santificato dalla celebrazione eucaristica, presenza viva del Signore tra noi e per noi. È la Messa, dunque, che fa la domenica cristiana".
Il Concilio Vaticano II ha voluto ribadire - ha ricordato papa Francesco nella sua catechesi - che "la domenica è il giorno di festa primordiale che deve essere proposto e inculcato alla pietà dei fedeli, in modo che divenga anche giorno di gioia e di astensione dal lavoro". "L'astensione domenicale dal lavoro non esisteva nei primi secoli: è un apporto specifico del cristianesimo - ha ricordato Francesco -. Per tradizione biblica gli ebrei riposano il sabato, mentre nella società romana non era previsto un giorno settimanale di astensione dai lavori servili. Fu il senso cristiano del vivere da figli e non da schiavi, animato dall’Eucaristia, a fare della domenica – quasi universalmente – il giorno del riposo".
Secondo il Papa, "senza Cristo siamo condannati a essere dominati dalla stanchezza del quotidiano, con le sue preoccupazioni, e dalla paura del domani. L'incontro domenicale con il Signore ci dà la forza di vivere l'oggi con fiducia e coraggio e di andare avanti con speranza".
Perché abbiamo bisogno di andare a Messa la domenica?
In un altro passaggio della catechesi papa Francesco si è chiesto "Cosa possiamo rispondere a chi dice che non serve andare a Messa nemmeno la domenica perché l'importante è vivere bene, amare il prossimo?"
"È vero che la qualità della vita cristiana si misura dalla capacità di amare, come ha detto Gesù: 'Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri'. Ma come possiamo praticare il Vangelo senza attingere l'energia necessaria per farlo, una domenica dopo l'altra, alla fonte inesauribile dell'Eucaristia? Non andiamo a Messa per dare qualcosa a Dio, ma per ricevere da Lui ciò di cui abbiamo davvero bisogno".
"Noi cristiani abbiamo bisogno di partecipare alla Messa domenicale perché solo con la grazia di Gesù, con la sua presenza viva in noi e tra di noi, possiamo mettere in pratica il suo comandamento, e così essere suoi testimoni credibili".
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 13 dicembre 2017

VOGHERA – E’ stato approvato dall’assessorato alla Famiglia guidato da Simona Virgilio, l’avviso per l’assegnazione di alloggi E.R.P. di proprietà comunale che necessitano di lavori di adeguamento impiantistico e/o di interventi minimi di manutenzione.

L’avviso prevede l’assegnazione di cinque alloggi per i quali si rendono necessari lavori di adeguamento impiantistico e/o lavori manutentivi minimi, il cui costo dovrà essere sostenuto dal soggetto assegnatario e successivamente scomputato dal canone locativo. La procedura avviata è finalizzata ad agevolare l’utilizzo di alloggi di proprietà comunale come attualmente si trovano, al fine di soddisfare parte della domanda abitativa, abbreviando i termini di assegnazione.

Possono aderire all’avviso pubblico i soggetti già inseriti nella graduatoria per l’assegnazione di un alloggio pubblico con la presentazione di una manifestazione di interesse per l’assegnazione di un alloggio tra quelli messi a disposizione dal Comune, con assunzione dell’onere di esecuzione dei lavori necessari a consentirne la fruibilità. I soggetti interessati, in possesso dei requisiti, potranno presentare la propria manifestazione di interesse al Comune di Voghera, Ufficio Casa, Corso Rosselli n. 20, dal 11 dicembre 2017 al 10 gennaio 2018, dal lunedì al venerdì dalle ore 8,30 alle ore 12,00. Informazioni possono essere richieste telefonicamente al numero 0383/336423.

«Siamo consapevoli dell’emergenza abitativa. E’ un ulteriore strumento per rendere più dinamica la situazione degli alloggi Erp – commenta l’assessore alla Famiglia Simona Virgilio – permette a chi è in graduatoria e chi ha possibilità di ristrutturare l’appartamento di presentare la domanda per l’alloggio di interesse. Il vantaggio è che l’importo speso viene decurtato dai canoni di locazione».

Ciascun alloggio presenta condizioni manutentive diverse che comportano interventi di messa a norma oppure di altro tipo, per un costo variabile indicativamente tra un minimo di 2.500 euro e un massimo di 4mila euro I.V.A. esclusa.

Gli alloggi disponibili sono cinque (Via - N - Piano – Superficie mq – Vani – n. componenti – nucleo familiare):

Via Cavallotti (7,T, 54.52, 3, 2)

Via Cavour (48, 1, 78.30, 4, 4)

Via Cavour (55, 1, 65. 33, 3, 3)

Via Morandi (5, 2, 46.80, 2, 1)

Via Morandi (10, 1, 74.84, 3, 4)

da www.vogheranewa.it
@Riproduzione Riservata del 12 dicembre 2017

di Tamara Pastorelli
Virginia Di Carlo, tetraparesi spastica dalla nascita, ha 25 anni ed è una degli “eroi” del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che l’ha nominata Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana «per aver testimoniato in prima persona come lo sport e la passione possano aiutare a superare i limiti derivanti dalla disabilità».-
C’erano Martina e Michele che ballavano la salsa, mentre a lei toccava stare lì, a guardare, seduta accanto alla mamma. La posizione non era sostenibile a lungo, considerando che quella musica sembrava volerla staccare dalla sedia e trascinarla via con sé. Virginia non pensò, semplicemente si abbandonò, cominciando a muoversi come sentiva lei: le braccia, le gambe, senza impostazioni, sul ritmo di quei quattro quarti. Daria, l’insegnante, a quel punto la notò, la raggiunse, la prese per mano e la portò a ballare, vicino ai suoi fratelli.

Fu così che, a 11 anni, Virginia, affetta da tetraparesi spastica dalla nascita, imparò a camminare: danzando. Visti i passi fatti, è proprio il caso di dirlo, la maestra Daria si propose di seguire questo nuovo talento una volta a settimana. Virginia scoprì che danzare i balli caraibici la rendeva felice. Anzi, di più. Provava ogni volta qualcosa di diverso, difficile da descrivere, se non banalmente. Come si fa a spiegare di cosa è fatta la pienezza, quella gioia immensa che mentre danzi porta via ogni pensiero, svuota la mente e ti libera il corpo… Che ti libera? Uno “stato” che Melissa Hayden, prima ballerina del New York City Ballet provò ad esprimere così: «Imparare a camminare ti rende libero. Imparare a danzare ti dà la libertà più grande di tutte: esprimere con tutto il tuo essere la persona che sei».

Così, dandosi piccoli obiettivi progressivi, Virginia cominciò a trovare la sua strada: prima i passi base, poi i balli di coppia con sua sorella Martina, una piccola coreografia da sola, infine il balletto, tutto per lei. Certo, lungo il cammino non mancarono gli ostacoli: ad un certo punto, la maestra Daria non poté più seguirla, e la “danza” di Virginia si fermò, per due anni. Ma come si dice, ogni ostacolo può divenire una pedana di lancio, e così, con Martina scovarono un’altra scuola, la Enjoy Latin Dance Studio e un’altra insegnante, Stefania, con la quale collaborano ancora oggi.

Nel 2011, a 19 anni, Virginia ha iniziato a partecipare alle gare Fids (Federazione Italiana Danza Sportiva) nelle discipline paralimpiche, vincendo sempre, tranne una volta, ci tiene a precisare, in cui si è classificata al secondo posto.

Poi, un giorno, Virginia si è presentata davanti a Stefania e le ha chiesto: «Io vorrei fare l’insegnante di danza come te. Ho sempre sognato di insegnare alle persone con problemi motori come i miei. Cosa mi consiglieresti di fare?». Stefania le propone di seguire un corso di musicoterapia oppure di iscriversi a Scienze Motorie e Sportive, che certamente le darà più competenze. Virginia sceglie l’università e si laurea ad aprile di quest’anno.

Oggi, con la sorella ed altri amici hanno dato vita a Special Angels, un’associazione artistica culturale sportiva dilettantistica che si occupa di avvicinare alla danza le persone con disabilità. Collaborando con la Enjoy, offrono corsi di balli caraibici individuali o di gruppo a ragazzi e bambini con disabilità fisiche o psichiche, in un’ottica di inclusione.

Per questo, e «Per aver testimoniato in prima persona come lo sport e la passione possano aiutare a superare i limiti derivanti dalla disabilità», Virginia Di Carlo di Grugliasco, in provincia di Torino, è stata nominata Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente Sergio Mattarella.

da www.cittànuova.it
@Riproduzione Riservata del 11 dicembre 2017


le nostre voci Marina Corradi
Caro Avvenire,
scriviamo sperando che possiate aiutarci. Abbiamo un figlio di 16 anni: terza liceo scientifico, brillante intelligenza, una passione per i computer, è sempre stato un po’ chiuso, non ha mai avuto molti amici. Da un po’ di tempo accampa delle scuse per non andare a scuola: malesseri vari, stanchezza, insonnia notturna e così via pur di rimanersene in camera sua per il giorno intero, incollato al computer. Anche la domenica esce a fatica dalla sua “tana” per condividere il pranzo con noi solo perché ci imponiamo, e poi si rinchiude subito in camera, dove non è ammesso nessuno. Nonostante tutto ciò e a parte le assenze, il rendimento scolastico è buono, quindi non possiamo lamentarci, ma davvero non capiamo che cosa gli stia succedendo. Abbiamo tentato di intavolare con lui un dialogo chiedendogli se avesse dei problemi, se si sentisse malato, se volesse parlare con il medico, ma ci ha risposto di stare benissimo e che comunque non sono fatti nostri. Un’amica ci ha detto che sono un po’ le caratteristiche dei ragazzi “ritirati”, ovvero che preferiscono i rapporti online invece che affrontare quelli reali. Brancoliamo nel buio. Con chi possiamo parlarne perché ci aiuti a capire qualcosa? Vi ringraziamo di cuore per l’aiuto.
Lettera firmata da Milano
Un figlio di 16 anni intelligente, brillante, bravo a scuola. Che cosa c’è che non va? C’è che da qualche tempo se ne sta sempre più rintanato in camera sua davanti al pc, e trova poco convincenti scuse per non andare a scuola: come se quella stanza fosse ormai una “tana” da cui non si può allontanare. Cosa succede? È un fatto passeggero o qualcosa di cui preoccuparsi? Questa lettera, che viene da una via nel centro di Milano, tratteggia il disegno di un disagio mentale nemmeno certo, confuso, e però angosciante per chi, trovandocisi di fronte, ammette: brancoliamo nel buio. Parla di un adolescente che potrebbe avere semplicemente voglia di solitudine, o che invece potrebbe essere alle prese con quella sindrome di “ritiro” che va diffondendosi, e che comporta appunto un chiudersi in sé, un escludersi prolungato dalla vita sociale. Il fenomeno è stato studiato per la prima volta in Giappone e laggiù è stato battezzato “hikikomori”. Ma la lettera parla anche di una possibile dipendenza dal web, che si intreccerebbe con la tendenza all’isolamento. Due genitori che scoprono di non sapere a chi chiedere aiuto: il medico di famiglia non ne sa abbastanza, gli insegnanti, a scuola, nemmeno. D’altronde il rendimento scolastico del ragazzo è buono, e dunque si potrebbe essere tentati di pensare che forse non c’è nulla di grave, che il problema non esiste. Questa nebulosità, questa indeterminatezza ricorrono spesso nella descrizione di disagi psichici vecchi e nuovi, quando emergono all’interno di una famiglia. L’idea ostinata di un congiunto di essere detestato e perseguitato in ufficio è realtà, o è il principio di una malattia? L’umore silenzioso e depresso di una donna appena diventata madre è stanchezza, o cela una depressione post partum, e occorre dunque intervenire? Nulla più della sofferenza mentale è difficile da definire e comunicare. Inoltre pesa ancora forse l’antico stigma, per cui non si vorrebbe ammettere che simili problemi possano esistere in casa propria. E da un medico, quel congiunto in difficoltà non vuole assolutamente andare, in particolar modo non da uno psichiatra, che, si sa, “cura i pazzi”. Si può avere tutto economicamente e socialmente, e trovarsi assolutamente spiazzati dall’emergere di una sofferenza mentale. Non esistono esami del sangue o lastre o Tac che diagnostichino queste sofferenze, nulla che dica nero su bianco: questo è il problema. Eppure niente come una malattia mentale può gettare una famiglia nello smarrimento. I parenti, gli amici non sanno che cosa consigliare, che cosa dire. Si rischia davvero di trovarsi soli. Cosa fare? Ai genitori che ci hanno scritto consiglierei di rivolgersi innanzitutto, per inquadrare il problema, a un’associazione di volontariato che si occupa da anni di informazione, prevenzione e supporto nell’ambito del disagio mentale. L’associazione si chiama Itaca e ha sede a Milano in via Volta 7, ma è presente in altre undici città italiane. Il sito web è www.progettoitaca.org e c’è anche un centro di ascolto al numero 800274274, per chiamate da cellulare 02.29007166. L’importante davanti a queste situazioni angoscianti e indefinibili è non chiuderci in noi stessi, l’importante è avere il coraggio di farsi aiutare.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 07 dicembre 2017

Il ritiro spirituale di Avvento per giovani e adulti dell’Azione Cattolica diocesana si terrà domenica 3 dicembre, presso la parrocchia di Santa Maria dei Canali a Tortona.
Dopo l’accoglienza alle ore 8.45 seguiranno la preghiera delle Lodi, la meditazione, la celebrazione eucaristica, il pranzo, le risonanze e i Vespri.
Il termine è previsto per le ore 17.
Guiderà la giornata don Ugo Ughi, già assistente nazionale degli Adulti di A.C. e del Seminario Lombardo a Roma.
Per il pranzo si deve comunicare la propria partecipazione (tel. 0131.861868; cell. 340.1573023; 340.5538671; mail: presidenza_ac@diocesitortona.it).
da www.diocesitortona.it
@Riproduzione Riservata del 29 novembre 2017

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