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Giovani e fede: verso nuove esigenze

Di Sara Falco, consigliere nazionale per il Settore Giovani
In che cosa credono oggi i giovani? Quanto è diffuso tra loro il sentimento religioso? Quanto incide l’esperienza religiosa nella loro vita? A queste domande abbiamo cercato di rispondere durante l’ultima mattinata del modulo formativo “Ci vuole passione!” per vicepresidenti giovani, grazie al confronto avuto con il Professor Valerio Corradi, docente dell’Università Cattolica di Milano. Con il suo aiuto ci siamo soffermati sul grande tema del rapporto tra giovani e Dio ed in particolare sul desiderio dei giovani di coltivare un cammino di fede e anche su quali strumenti e modalità di azione da attivare per stare accanto ai giovani delle nostre realtà territoriali.
Per troppo tempo, in ambito pastorale ed educativo si è insistito solo sul “dover essere religioso” perdendo di vista l’uomo concreto e le espressioni storico-sociali della religiosità. Quest’ultima, infatti, non è solo una dichiarazione di adesione intellettuale a una credenza, ma chiama in causa una serie di vissuti esperienziali collegati a un dialogo nella sfera interiore di ogni uomo con se stesso.
Una delle questioni più spinose del nostro tempo, riguarda la possibilità di farsi portatori e promotori di una visione della vita che voglia dirsi pienamente cristiana all’interno di un contesto socio-culturale dai tratti sempre più post-moderni. Si avverte l’urgenza di una riflessione sul destino dei capisaldi del pensiero cristiano all’interno delle culture giovanili in un’epoca che sembra non più riconoscere assoluti morali ma che anzi, a tratti, li ritiene pericolosi e deleteri.
Se agli inizi degli anni 2000 il 70-80 % dei giovani si dichiarava cattolico, negli ultimi anni la percentuale è scesa al 50%. Osservando gli anni più recenti, si può notare che oggi circa il 50% di adolescenti e giovani si dicono cattolici, circa il 25% è ateo o agnostico e il restante 25% si dichiara cristiano senza altra specificazione. Dati statistici questi, che ci mettono di fronte a uno scenario, completamente diverso da quello degli scorsi decenni, in cui esistono diverse vie alla religiosità, dentro le quali coesistono spinte contrapposte che non si traducono mai in un completo declino dell’esperienza religiosa.
È facile al giorno d’oggi incontrare giovani che vivono una fede solitaria, individualistica ed anonima, giovani che non comprendono i linguaggi della Chiesa e che li ritengono ormai teorici, idealisti e passati di moda. Gli educatori ed in generale gli operatori pastorali, si imbattono in un atteggiamento di diffidenza da parte dei giovani nei confronti della Chiesa eppure chiedono, forse alle volte anche col silenzio, attenzioni e vicinanza.
Prendendo atto dunque dei segni del nostro tempo, insieme al Professor Corradi, abbiamo provato ad avanzare delle proposte operative, delle linee di intervento per contesti educativi e pastorali. Non si tratta di fornire ricette, ma piuttosto di avanzare spunti concreti per educare a vivere la religiosità in maniera più consapevole e matura. In questo quadro, è importante riconoscere le nuove esigenze dei giovani per costruire buone pratiche d’azione che accolgano le sfide del nostro tempo.
Cambiare il linguaggio per parlare ai giovani di religiosità in maniera più efficace è sicuramente un primo step. Ciò non significa banalizzare o svilirne i contenuti ma piuttosto diffonderlo in ambiti nuovi, come spazi virtuali e social network assiduamente frequentati dai giovani e che si rivelano inediti luoghi per l’evangelizzazione.
Coinvolgere i giovani in esperienze che forniscano “provocazioni di senso”, aprano all’altro e favoriscano una maturazione di una “coscienza religiosa” delle cose, serve a dare ai giovani l’opportunità di “sporcarsi le mani”, perché è dalle esperienze autentiche e non da quelle virtuali che sorgono domande e che ci si interroga sulle risposte. E a tal proposito, sempre durante la mattinata di lavori del modulo formativo di novembre, abbiamo ascoltato la testimonianza dell’esperienza delle “3P” dell’Azione cattolica dell’Arcidiocesi di Milano, che prova concretamente a investire sul cammino di fede dei propri giovani.
È importante inoltre, ripartire dalla preghiera. Uno dei dati forse più sorprendenti è che i giovani sentono l’esigenza di pregare. La preghiera è un viaggio dentro se stessi che porta all’incontro con Dio: per questo diventa un antidoto importante contro una visione unicamente esteriore della vita.
Necessario diviene riscoprire il carattere assembleare e conviviale della liturgia, radice e centro della vita cristiana; un momento nel quale si è chiamati ad uscire da se stessi e a percepire con mano che il credere non è mai un percorso solitario, ma è il frutto di un incontro comunitario. Ecco allora che una liturgia che voglia ottenere un coinvolgimento dei giovani deve trovare il giusto equilibrio tra la sua natura sacrificale e quella convivale che apre all’incontro e alla condivisione fraterna.
Quello della fede, si rivela ancora un forte bisogno per i giovani. La nostra sfida è allora, saper cogliere il loro desiderio di Dio e indirizzarci verso scelte nuove e audaci senza paura di rischiare, proprio come Papa Francesco più volte, dall’apertura del Sinodo sui giovani, ci sta invitando a fare.
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