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CAV - Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese ODV

Via Mentana n. 43
27058 Voghera (PV)
Tel: 349 4026282
email: cavvoghera@virgilio.it

di Massimo Gramellini

Bianca è una bimba di Torino nata nel giugno di due anni fa con la spina bifida, una malformazione al sistema nervoso centrale che colpisce un neonato su ottantamila. La sua storia è abbastanza unica, eppure universale. Per i sentimenti opposti, ma entrambi legittimi, che ha suscitato nelle donne più importanti della sua ancora breve vita: le due madri. La prima l’ha messa al mondo senza sapere che c’era un problema. Appena lo ha saputo, d’accordo con il marito, l’ha lasciata andare, rifiutandosi di riconoscerla. La seconda l’ha accolta in casa senza sapere neanche lei che c’era un problema. Ma appena lo ha saputo, d’accordo con il marito, se l’è tenuta stretta. E ora aspetta che il percorso dell’affido si concluda con l’adozione.

Questa storia non è in cerca di giudizi. Nessuna persona, nemmeno una madre, può essere obbligata ad accollarsi fardelli che non se la sente di portare. Questa storia è semmai in cerca di definizioni. Chi e che cosa è una madre? Non necessariamente colei che genera, ma sicuramente colei che accoglie. A rendere il tutto ancora più straordinario, qui l’accoglienza non è il gesto di bontà estrema, quasi sovrumana, che compie chi decide di assistere un malato proprio perché sa che è malato. La nuova madre di Bianca ha saputo della sua malformazione soltanto dopo averla presa in affido. Aveva già altri figli. Eppure, anziché tirarsi indietro, è andata avanti, seguendola lungo il percorso estenuante della riabilitazione. Non le ha dato la vita, ma l’amore.

da www.corriere.it
@Riproduzione Riservata del 05 dicembre 2017

di Vittoria Prisciandaro

GIORNATA CONTRO L’AIDS

Il 1° dicembre ricorre la Giornata mondiale di lotta contro l’Aids, istituita nel 1988 dall’Organizzazione mondiale della sanità. Dal 1981 l’Aids ha ucciso oltre 25 milioni di persone; oggi l’accesso alle terapie e ai farmaci antiretrovirali ha migliorato le cure, ma l’Aids è ancora molto pericoloso. «Invito a pregare per i malati e a promuovere la solidarietà perché anche i più poveri possano beneficiare di diagnosi e cure», ha detto Francesco il 1° dicembre dello scorso anno, lanciando poi anche un appello «affinché tutti adottino comportamenti responsabili per prevenire un’ulteriore diffusione della malattia».
Suor Marisa Pitrella, con due consorelle vincenziane gestisce una Casa per malati di Aids: «La gioia più grande», dice, «è aver avuto ragazzi che hanno ripreso la loro vita in mano».-
La Bibbia e il telefonino sono gli amici fedeli di Blessing. Versetti evidenziati con gialli e fucsia sulle pagine del testo sacro; grigio seppia, arcobaleni, bianco e nero per i filtri della telecamera che maneggia con grande maestria, per i selfie e le foto con Ese, l’amica che condivide il suo stesso cammino. Alla Casa famiglia Riario Sforza Blessing vive da sei anni: «È la nostra principessa», scherza uno degli operatori. Da un po’ si muove grazie a una sedia a rotelle. È passata dalla Nigeria al quartiere Camaldoli di Napoli, in questa villetta di tre piani dove, dal 2003, chi cerca una casa dove ripartire ha trovato accoglienza e una proposta di vita.
La Casa nasce come opera della Caritas diocesana per malati terminali di Aids, affidata sin dall’inizio alle Figlie della Carità di san Vincenzo de’ Paoli e ai Guanelliani, andati via nel 2011. Immersa nel verde, in una zona periferica della città, non è lontana dal Cotugno, l’ospedale specializzato in malattia infettive. Una volta a settimana un’équipe di specialisti del Sod, Servizio ospedaliero domiciliare, del nosocomio segue gli ospiti della struttura. Quando la Casa famiglia è stata aperta, era “candidato” a essere ospitato chi aveva come unica possibilità la strada, che vent’anni fa voleva dire morire abbandonati in qualche angolo buio. «Da sempre privilegiamo gli ultimi degli ultimi», dice suor Marisa Pitrella, che dal 2016 coordina la casa.

RICOMINCIARE A VIVERE

Oggi, grazie ai progressi nelle cure, il centro per lo più offre agli ospiti un cammino di recupero, per un’autonomia totale o parziale. «La gioia più grande è aver avuto ragazze che hanno ripreso la loro vita in mano, grazie a relazioni stabili sono riuscite a metter su famiglia e oggi hanno anche dei bambini e una vita serena davanti». Quattro ragazze hanno avuto figli, una coppia si è formata proprio nella Casa famiglia. «Vent’anni fa pensare di poter avere una vita “normale” dopo l’infezione da Hiv era impossibile, oggi seguendo la terapia e restando sotto controllo si possono avere figli senza rischi».
Marisa è un’infermiera specializzata e con Alessandra e Cecilia, le consorelle che hanno la stessa qualifica, manda avanti la struttura. Anche se la Casa ha negli anni modificato la sue finalità − non solo per malati terminali − il criterio di accoglienza rimane invariato: «La domanda supera di gran lungo l’offerta. Abbiamo dovuto dire tanti no, sapendo che qualcuno può ancora morire in strada. In Campania ci sono solo due case, la nostra e un’altra nella zona della stazione a Napoli. In tutto sono una ventina di posti».
I dieci ospiti attuali, uomini e donne, vanno dai 28 ai 64 anni ma in passato, dice Marisa, «abbiamo avuto anche persone di 73 anni e ragazzi di 18, diventati sieropositivi per dei rapporti sessuali occasionali non protetti».
La malattia, spiega la religiosa, «non contagia solo persone che utilizzano droghe, ma si trasmette anche a chi ha rapporti non controllati. Molti non si rendono conto che bisogna essere attenti, bisogna proteggersi dai rischi quando si hanno rapporti». La durezza dell’esperienza, il fatto di aver comunque accompagnato diverse persone fino alla morte, informa un linguaggio poco diplomatico e molto concreto. Sia da parte della religiosa che degli ospiti della casa, che non hanno problemi a farsi fotografare e a raccontarsi, perché «quello che è successo a noi può aiutare altri a non cadere negli stessi errori», dice Ciro, che ogni tanto ha bisogno di attaccarsi al respiratore.
C’È ANCHE CHI NON CE L’HA FATTA
Sfogliando i calendari dei vari anni, che raccontano la vita della piccola comunità, Ciro mostra gli amici presenti, quelli che hanno lasciato la casa per metter su famiglia, altri che non ce l’hanno fatta. Momenti di festa e gite al mare o in montagna, al momento rimandati a data da destinarsi, per la presenza di quattro ospiti allettati. «Quando possiamo qui facciamo sempre festa, ogni occasione è buona», racconta Marisa.
Accolta inizialmente con grande sospetto e qualche protesta, la Casa e la sua piccola comunità − gli ospiti, le tre vincenziane, più sette operatori e alcuni volontari − negli anni è diventata una presenza alla quale anche il quartiere si è abituato. Gli ospiti frequentano i locali della parrocchia Santa Maria del Paradiso ai Guantai, e i contadini della zona, oltre a dare qualche suggerimento per la cura dell’orto, hanno donato un piccolo appezzamento di terreno per la coltivazione di cavoli, broccoli, pomodori…
«Il servizio con le persone affette da Hiv richiede solo un’attenzione in più, ma la domanda di tenerezza è la stessa di chi vive nella sofferenza: hanno bisogno di un amore gratuito che curi le ferite», dice suor Marisa. 44 anni, vincenziana da quasi 23, quinta di cinque figli di una famiglia contadina di Grammichele, in provincia di Catania, Marisa ha imparato a conoscere l’apertura al povero proprio in famiglia: «In un paesino ci si conosce tutti e i miei erano sempre attenti a chi era più solo o nel bisogno». Catechista e animatrice dell’Azione cattolica a 12 anni, a 16 decide di fare un corso da infermiera dopo l’incidente di un’amica: «Chi aiuta i malati, chi sta con loro?», si era chiesta durante le numerose visite in ospedale.
In chiesa diventa ministro straordinario dell’Eucaristia, accompagna la presidente dell’associazione in giro a portare la comunione ai malati, mentre dentro di sé decide che si sarebbe in qualche modo consacrata al Signore. Gli studi da infermiera la portano a incontrare le vincenziane nei vari ospedali dove va a fare tirocinio, mentre il Natale del ’92, trascorso in corsia di malavoglia («volevo andare in parrocchia a Messa, a cantare con il mio coro»), le permette di individuare meglio la sua vocazione.
Quando nel ’94 annuncia in famiglia la sua decisione − «entro in convento, dalle Vincenziane» − per la famiglia è uno shock. Anche perché, vista la dedizione agli altri della più piccola di casa, i genitori speravano potesse restare in famiglia per prendersi cura del quartultimo figlio, affetto dalla sindrome di down. «Mi sono posta il problema di non andare via, ma ho sentito dentro di me quella frase che avevo letto da qualche parte: “Non voglio qualcosa da te, ma voglio te”».
Fa comunque il concorso da infermiera e lo vince, senza prepararsi né chiedere raccomandazioni, perché la traccia che esce è sull’assistenza ai malati di Hiv. Quando la notizia del superamento della prova arriva, la madre neanche lo comunica a Marisa: la figlia è ormai avviata su un’altra strada, che comunque le farà incontrare quei malati di cui aveva scritto con tanta competenza da impressionare la commissione del concorso. Un segno della Provvidenza, visto che proprio con i malati − dopo esperienze diverse in varie parti d’Italia, tra ospedali e scuole − oggi suor Marisa si ritrova a lavorare. «Al centro del nostro carisma, come Figlie della carità, c’è servire Cristo nei poveri, con umiltà, carità e semplicità», dice ricordando che quest’anno si festeggia il Giubileo dei Vincenziani, cresciuti sotto il motto del fondatore: «I poveri sono il vostri maestri, signori e padroni».
Un carisma che le tre consorelle vivono concretamente alla Casa dei Camaldoli, dove i loro ospiti seguono un programma ben preciso, con percorsi su misura. «La prima proposta, uguale per tutti, punta a recuperare la salute: se sono tossicodipendenti si scala il metadone fino a quando non ci si libera dalla dipendenza. Si punta poi, se ci sono, al recupero degli affetti, a ricucire un legame con le famiglie. La permanenza alla Casa è temporanea fino a quando non riescono a camminare da soli, non hanno acquisito autonomia». In 14 anni sono passati circa 60 persone.
Le giornate alla casa prevedono programmi personalizzati e dei laboratori comuni dal découpage, alla cucina, al cucito, all’orto. Un’occupazione su cui le suore investono tanto: «Il senso di quest’ultimo laboratorio è molto importante», dice Marisa. «Se un piccolo seme riesce a sbocciare, anche loro, con molta pazienza e cura verso se stessi, possono farcela».
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 02 dicembre 2017
 

Una bella iniziativa

Sabato 2 dicembre dalle 9 alle 18 nell’atrio della clinica Mangiagalli sono stati messi in vendita tanti prodotti dolciari dello storico marchio milanese per sostenere il Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli che aiuta le maternità minate da difficoltà economiche.-

<<Il 5 dicembre è previsto il parto del mio primo figlio. Penso non ci sia migliore occasione per aiutare le donne in difficoltà per la gravidanza>>. Tancredi Alemagna, erede con il fratello Alberto di uno dei marchi storici simbolo dell’industria dolciaria italiana e patron del marchio T’a Milano, annuncia con orgoglio l’imminente lieto evento della sua famiglia e lo fa in occasione della partnership con il Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli, che sostiene le maternità minate da difficoltà economiche. Sabato 2 dicembre dalle 9.00 alle 18.00 nell’atrio della clinica Mangiagalli saranno in vendita tanti prodotti di T’a Milano (www.tamilano.com) per augurare buon Natale a tutte le neomamme del CAV: dallo storico panettone artigianale ai finissimi cioccolatini di pasticceria, dai lecca lecca di cioccolato fino ai biscotti alla vaniglia e al cacao. Il ricavo netto della vendita sarà devoluto ai progetti di aiuto concreto e immediato offerti alle madri in affanno per un bisogno economico, psicologico o abitativo che quotidianamente si rivolgono all’Associazione milanese e che nel 2016 hanno raggiunto quota 2.528. <<In casa siamo pronti ad accogliere mio figlio>> dichiara il fondatore di T’a <<ma mi piacerebbe che fosse un Natale felice per tanti bimbi: tutti quelli che le loro mamme decideranno di far nascere>>.
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 02 dicembre 2017

Venerdì 24 novembre alle ore 18 presso la ns. sede, abbiamo avuto la straordinaria occasione di incontrare Mons. Vittorio Viola. La Sua presenza ci è stata di grande aiuto per poter continuare nel nostro impegno di volontariato a favore della vita.
Il nostro Volontario Presidente ci ha fatto  i Suoi auguri di Lieto Buon Santo Natale e Sereno Anno Nuovo 2018,  attraverso un bella lettera; mi è gradita l'occasione per rendere partecipi tutti, scrivendo un passaggio della stessa:
"Riflessione:
Allora dobbiamo scegliere : Natale reale o Natale virtuale?
Vi suggeriamo di cercare di incrociare almeno una volta il sorriso di un bambino, e di soffermarvi ad ammirarlo nella sua bellezza, nella sua semplicità, cercatelo come si cerca una medicina speciale o qualcosa che avete perso.
Non regalate a Natale niente che possa abbassare lo sguardo di un bambino che lo escluda dal dialogo in famiglia e lo limiti nella sua naturale espressività, regalate qualsiasi cosa che favorisca l'essere guardati e il guardare, l'essere ascoltati e l'ascoltare.
Fate come noi, preparatevi un Natale vero!
Buon Santo Natale per tutti."
Volontario-Presidente insieme alla moglie Segretaria
Luigi e Rita
 
 

di Rossella Verga

Alice ha 23 anni e viene dall’Albania. La sua testa ha scelto di cancellare un’infanzia difficile. Tolta al padre naturale e poi adottata a 8 anni, si sta laureando con una tesi sulla legalità.-

«Io sono una seconda opportunità, credo sia evidente. E penso che tutti debbano averla. Anche per questo vorrei lavorare come educatrice, credo sia un modo per restituire quello che hai avuto». Alice è un nome di fantasia. Ma questa è la storia vera di una ragazza che oggi ha 23 anni e vive nell’hinterland milanese. Abita con mamma e papà (adottivi). Ha due sorelle, di 26 e 28 anni. Accanto, i nonni e gli zii, le compagne della pallavolo e i tantissimi amici che l’hanno aiutata a diventare quello che è: una ragazza «normale» con una vita «normale». Alice ha «un po’ di buchi nel passato», ma un presente pieno di soddisfazioni. Mancano due esami alla laurea in Scienze dell’Educazione e la sua tesi sarà sulla legalità.

Viva la legalità

«Non so perché sono così affascinata dalla legalità, ma è innegabile. E per la mia tesi ho voluto prendere ad esempio l’associazione di Gherardo Colombo “Sulle regole”, lui è uno dei pochi in Italia che fa un lavoro sulle regole anche con i bambini. Non lo conoscevo. L’ho sentito parlare a un seminario e ho deciso di approfondire l’argomento». Non lo sa, Alice, perché la legalità è un tema che le è entrato dentro. Forse per capirlo bisogna riavvolgere il nastro fino ai primi anni della sua vita, dopo che è arrivata in Italia dall’Albania. Gli anni dei maltrattamenti. Una notte, quella notte che ha segnato l’inizio della «seconda opportunità», è stata strappata al padre naturale e portata nella casa de «La Fanciullezza», la Onlus milanese fondata oltre 100 anni fa per dare rifugio ai minori senza famiglia e negli anni diventata un luogo di accoglienza per bambini e ragazzi in difficoltà, ma oggi anche un punto di aggregazione giovanile. Di «quella notte» Alice non ricorda nulla.

 A teatro

Ma la sua vicenda è stata reinterpretata così dall’attore teatrale Antonio Gargiulo, nella sede de «La Fanciullezza»: «Alice ha pochi anni. È avvolta in una coperta, in braccio a un poliziotto con gli occhi lucidi. Lui è gigantesco. Lei fragilissima e spaventata, i capelli lunghi probabilmente mai tagliati. Gli occhi sbarrati nel viso minuscolo e un pianto disperato». Così Alice, come ricordano gli educatori, ha fatto il suo ingresso nella casa protetta di Milano. Dove con il passare dei giorni ha ritrovato il sorriso, con le tempere colorate sempre impiastricciate sulle mani, lo smalto rosso e il pigiama troppo grande. E poi il salto alle elementari del quartiere. Quattro anni in comunità finché, attorno agli otto, è arrivata finalmente l’adozione. Ma per lei non è stato facile voltare pagina. In mezzo ci sono state tante telefonate con il papà violento, con la nonna minacciosa.

Dimenticare anche la lingua

Nella lingua d’origine che a un certo punto Alice ha deciso di «dimenticare». «Ho finto di non capire ciò che mi dicevano - racconta - Ho staccato, chiuso. Sono sempre stata testarda e questo è stato il mio modo di dire basta». Con l’adozione per Alice è iniziata una nuova vita. «Nell’estate dei miei 8 anni ho cominciato a conoscere la famiglia. Non è stato facile lasciare la casa della Fanciullezza. Lì c’era la mia educatrice, c’erano gli amici. Eravamo tanti bambini, sempre insieme. Ci venivano a prendere a scuola e dopo aver fatto i compiti facevamo sport e giocavamo. Ho dei ricordi bellissimi di quel periodo. All’inizio infatti è stato difficile staccarmi dalla comunità, forse è stato più difficile che entrarci...».

Il ritorno

Ecco perché per qualche anno Alice non è più tornata. Un taglio netto per poter ricominciare. «Poi ho sentito l’esigenza di rivedere il luogo che è stato parte della mia vita. E ancora adesso ci torno ogni tanto e ritrovo le educatrici impegnate con i ragazzi». Alice è cresciuta in un piccolo comune. «Non avrei potuto desiderare una famiglia diversa», dice. «I miei genitori sono fantastici, come le mie sorelle e tutti i miei familiari». Ora fa l’università a Milano. Dove ha anche un lavoro part time. «Faccio assistenza a un signore con la sindrome di Down». In estate le esperienze di volontariato: un campo di «Libera» in Calabria e in Africa con gli «Educatori senza frontiere». Eccola l’Alice di oggi. Una ragazza sorridente che guarda solo avanti. Ce l’ha fatta. Ha saputo cogliere tutta la sua «seconda opportunità». E quello che è rimasto dietro è «un’immagine sfuocata». «Vedo dei flash dei miei primi anni... Non mi ricordo neanche com’era mio papà. Ricordo soltanto le sue mani. Grandi. Tutte rovinate... faceva il muratore». Non si comportava da padre, anche se questo Alice non lo dice.

da  www.corriere.it/buonenotizie.it
@Riproduzione Riservata del 28 novembre 2017

di Marisa Fumagalli

Gianfranco Re, manager della catena di supermercati, fa solidarietà a tavola. Nel suo giardino cucina per gli amici e raccoglie fondi per diverse cause: dai banchetti dell’Ail a Pane Quotidiano. «Con le buone cause ci si annoia meno».-

Lo chiamano King. E il gioco di parole viene facile, visto che di cognome fa Re. «Il mio vero soprannome è Cooking», avverte. Il perché è presto detto. Chi abita a Milano può imbattersi in Gianfranco Re ai banchetti dell’Ail (Associazione italiana contro le leucemie) di piazza Amendola. Qui, due volte l’anno vende le rose di Natale e le uova di Pasqua, con l’aggiunta di un personale street food: polenta che cuoce sul braciere, una fetta di salame e via... «Così attiro i potenziali benefattori», spiega. Il meglio di sé (in cibo e solidarietà) King lo dà “chez lui” dove - d’estate in giardino («C’è spazio per tanti amici»), nelle stagioni fredde in sala da pranzo - allestisce cene per finanziare cause benefiche di ogni tipo.

Le cozzate

Di giorno lavora e, nel caso, cucina anche di notte. Mitiche sono le “cozzate” all’aperto con chili e chili di cozze sauté servite da King, in un viavai continuo dai fornelli al giardino. Chi partecipa lascia un obolo destinato, al netto delle spese vive, alle varie cause di solidarietà. In primis, c’è l’Ail («Conobbi l’associazione 15 anni fa tramite un’amica, e mi arruolai come volontario») e poi altre «opere buone», che vengono via via segnalate. Ad esempio, la spaghettata all’Amatriciana («140 persone») per Andrea, 10 anni, bambino di Amatrice rimasto orfano dei genitori, morti sotto le macerie del terremoto. E poi c’è l’iniziativa «Io sto con Paolo», rilanciata anche da Buone Notizie, dedicata al ventenne Paolo Palumbo, sardo, chef e malato di Sla.

 Il King

Ma chi è King? Dirigente tecnico della società «Il Gigante» (supermarket alimentari) dopo essere passato per «Autogrill» e prima ancora per altre esperienze, Gianfranco Re, 62 anni («Sono nato a Garlasco nel Pavese»), single, senza impegni di famiglia, è un tipo simpatico. Sorridente, generoso a vista. Gianfranco ha esitato un po’ prima di accettare di raccontarsi. Preferisce, infatti, il basso profilo. Ma eccolo al tavolo di un locale in zona Brera. Allegria e amicizia «Il mondo della solidarietà - confida - non ha confini, l’ho scoperto nel corso degli anni. Bisogna crederci, certo. Ma un po’ di leggerezza non guasta…». Ci mostra alcune foto. Ce n’è una in cui King firma l’assegno di 1.500 euro destinati ai nonni di Andrea che lo accudiscono dal dopo terremoto: «I miei amici e gli amici degli amici si fidano di me.

Cooking garden

Tuttavia, la trasparenza è fondamentale. Qualcuno potrebbe farsi venire dei dubbi». A proposito di Paolo, invece, racconta che la prima festa a lui dedicata risale al 23 giugno del 2016. «È la data del mio compleanno - precisa - e così, ho pensato di mettere in piedi a casa mia un party no stop per tutta la giornata. Il 25, sabato, nel Cooking garden c’erano in tanti, grandi e piccoli. Messaggio preventivo: niente regali, chiedo invece l’acquisto del libro scritto da Paolo. È stato un successo». All’occorrenza, King si associa: «Ho messo su due pranzi natalizi solidali assieme a “Pane Quotidiano”. Ho affittato un pullman e ho portato gli indigenti al ristorante Cantalupa di Assago. Con il passa parola, ho reclutato 20 amici volontari. Sembra impossibile, ma c’è chi preferisce evitare i riti delle Feste… Scegliendo la buona causa, ci si annoia di meno».

da www.corriere.it/buonenotizie
@Riproduzione Riservata del 28 novembre 2017

La parrocchia del Redentore nel quartiere Libertà rappresenta l’ancora di salvezza per i minori preda della criminalità. Due anni fa è stata creata l’associazione di promozione sociale “Laboratorio don Bosco Oggi” che ha tracciato un intenso percorso pastorale e culturale ricco di progetti e iniziative.-

Gli insegnamenti di San Giovanni Bosco sono la fonte inesauribile che alimenta la speranza per un futuro migliore di molti ragazzi del quartiere Libertà a Bari dove ci sono sacche di emarginazione e forme di devianza minorile per la presenza della criminalità organizzata. La parrocchia del Santissimo Redentore rappresenta l’ancora di salvezza per i bambini e giovani che hanno trovato un punto di aggregazione non solo nell’oratorio ma anche nelle diverse strutture culturali e ludico-sportive organizzate all’interno della Casa Salesiana.
«Troppi ragazzi lasciati soli ed esposti ai pericoli della strada spesso delinquono», afferma don Francesco Preite, direttore dell’Opera Salesiana. «Bisogna ripartire dalla famiglia e sostenerla perché in ogni ragazzo c'è un punto accessibile al bene, e l'educatore deve trovarlo e potenziarlo per il bene del ragazzo e della comunità».
L’azione pedagogica, basata molto sul volontariato, assume un valore importante per dare segni concreti e tangibili a tutti coloro che entrano in sintonia con il variegato e funzionale pianeta dell’Istituto Salesiano Redentore di Bari. Per questo, un paio di anni fa è stata creata l’associazione di promozione sociale “Laboratorio don Bosco Oggi” che ha tracciato un intenso percorso pastorale e culturale ricco di progetti e iniziative.
Di recente sono stati portati a termine lo short master in “L’educatore nei servizi per minori”, frutto della collaborazione con l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, e il corso di formazione in comunicazione sociale. Don Francesco Preite dice: «Nella chiesa e nel mondo la nostra missione è proprio quella di educare i ragazzi, i minori e le famiglie. Ecco allora che questa collaborazione ci consente di avere quella competenza e quella ricchezza tipica della cultura universitaria. Abbiamo bisogno dell’aiuto continuo delle istituzioni. Dobbiamo andare avanti, continuando a operare il bene, facendo scelte radicali nel senso più positivo del termine».
Nella giornata conclusiva dei corsi è intervenuto anche il Magnifico Rettore dell’Università Pontificia Salesiana, don Mauro Mantovani, che ha tenuto una lectio magistralis dal titolo “Educare all’umanesimo solidale, sfide e prospettive”. Partendo dal documento della Congregazione per l’educazione cattolica, “Educare all’umanesimo solidale”, scritto nel cinquantesimo anniversario della Populorum Progressio di papa Paolo VI, don Mantovani ha messo in risalto il tema della verità, virtù alla base del credo cristiano, che deve essere recuperato per non rischiare di cadere in unicità di pensieri che non producono criticità. «Bisogna invece suscitare interrogativi, aprendo a orizzonti nuovi, perché ciò che si vive va condiviso e non va tenuto per se stessi», ha rimarcato don Mantovani.

IL MASTER E IL CORSO DI COMUNICAZIONE SOCIALE ESPERIENZE POSITIVE

Al Redentore di Bari si lavora molto sul piano della prevenzione, diffondendo tra i ragazzi la cultura della solidarietà e della legalità. “Se vuoi che i giovani facciano quello che tu ami, ama quello che piace ai giovani”, diceva San Giovanni Bosco. Per arginare il disagio bisogna saper dialogare con i giovani, un’opera preziosa svolta non solo dai sacerdoti della parrocchia ma anche dagli educatori che fanno riferimento al Laboratorio don Bosco Oggi, il cui presidente don Giuseppe Ruppi afferma: «Sia lo short master che il corso di comunicazione sociale sono state delle esperienze positiva dove si è creata una proficua sinergia tra docenti e allievi. Ogni educatore, ogni volontario supportato da conoscenze e da una formazione mirata deve andare incontro ai giovani per dare loro certezze e speranza». Don Ruppi ha annunciato l’avvio di un secondo corso incentrato sulla comunicazione sociale, previsto a inizio 2018, che verterà sulla figura dell’animatore parrocchiale.

da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 28 novembre 2017

di Paolo Ferrario
La 21esima Giornata ha permesso di raccogliere 8.200 tonnellate di generi alimentari, che saranno distribuite a 8mila strutture caritative. La raccolta è stata effettuata anche in 28 carceri.-
È diventata una grande «festa del dono», la 21esima edizione della Giornata nazionale della Colletta alimentare, promossa sabato dalla Fondazione Banco alimentare. In un solo giorno, grazie all'impegno di 145mila volontari in 13mila supermercati, sono state raccolte 8.200 tonnellate di generi alimentari (dai prodotti per l'infanzia alla pasta, dai legumi al riso...), che a partire da dicembre saranno distribuite ad oltre 8mila strutture caritative.
Raccolta in calo? È colpa della crisi
Rispetto all'edizione 2016, quest'anno la raccolta ha subito una leggera flessione, con un decremento del 3,5%. «Il perdurare della crisi economica - commenta il presidente della Fondazione Banco alimentare, Andrea Giussani - rende ancora più cauti i comportamenti di spesa dei cittadini, che comunque rispondono sempre più frequentemente ad altre proposte di solidarietà».
Anche chi ha meno riesce a donare
Avvicinando le persone nei supermercati, i volontari del Banco hanno percepito che si è ulteriormente ridotta la distanza tra «chi dona» e «chi riceve». E anche chi, «agganciato» all'ingresso, rispondeva scocciato lasciando intendere di non avere i soldi nemmeno per sé, all'uscita lasciava comunque un pacco di pasta o un omogeneizzato, dicendo «oggi anch'io posso aiutare gli altri». E non è mancato chi, sostenuto durante l'anno dal Banco, si è prestato per fare il volontario alla Colletta. Un segno di condivisione che dice che nessuno è troppo povero per fare del bene.
La Colletta in 28 carceri
Anche in carcere è stato raccolto cibo per i poveri. A promuovere la Colletta dietro le sbarre (28 gli istituti di pena coinvolti) sono stati i detenuti-volontari, che hanno ottenuto «rilevanti risultati» in termini di alimenti recuperati. Inoltre, davanti ai supermercati, numerose squadre di volontari erano composte da persone di tutte le estrazioni sociali e di fede e provenienze diverse. Tutti insieme hanno voluto così rendere concreto e operativo l’invito che il Papa ha lanciato alla Giornata Mondiale dei poveri, quando ha ricordato di non amare «a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità», in una atmosfera diffusa di festa.
Aumentare l'impegno
La buona riuscita, anche se in leggera flessione, della Colletta 2017, ha già sollecitato i volontari a rinnovare l'impegno per l'edizione del prossimo anno, che sarà la 22esima, ma soprattutto per portare avanti le attività di «ogni giorno»: il recupero e la redistribuzione del cibo eccedente, a favore di circa 1 milione e 600mila persone disagiate.
«Risposta concreta all'indigenza»
«La Giornata della Colletta alimentare - conclude Giussani - è stata, ancora una volta, la risposta più vasta e popolare di chi opera silenziosamente, tutto l’anno, contro l’indigenza, ponendosi una seria domanda sulla dignità umana, messa spesso in discussione dalle gravi condizioni di povertà assoluta. Invitiamo tutti a tener viva la scintilla che si è sprigionata, cercando occasioni di carità nella vita quotidiana e restando vicini nei prossimi mesi all’opera del Banco alimentare, attraverso l’informazione, la collaborazione ed il sostegno economico».
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 27 settembre 2017
 

di Gianni Cardinale
Nel Messaggio per la 51ª Giornata mondiale della pace, il Papa chiede di: accogliere, proteggere. promuovere e integrare. Fiducia e speranza nei due patti globali in approvazione dall’Onu.-
È dedicato agli oltre 250 milioni di migranti nel mondo, dei quali 22 milioni e mezzo sono rifugiati, il Messaggio di papa Francesco per la 51ma Giornata mondiale della pace che verrà celebrata da tutta la Chiesa il prossimo 1° gennaio. Con l'invito a guardare a questo fenomeno non come “una minaccia” ma come “una opportunità per costruire un futuro di pace”.
Il documento, diffuso oggi, porta significativamente la data del 13 novembre, memoria liturgica di Santa Francesca Cabrini, patrona dei migranti, che – sottolinea il Pontefice . “ci ha insegnato come possiamo accogliere, proteggere, promuovere e integrare questi nostri fratelli e sorelle”.
Papa Francesco esorta ad abbracciare “con spirito di misericordia” tutti coloro che “fuggono dalla guerra e dalla fame” o che “sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale”. E lo fa ricordando che “accogliere l’altro richiede un impegno concreto, una catena di aiuti e di benevolenza, un’attenzione vigilante e comprensiva”, e anche “la gestione responsabile di nuove situazioni complesse che, a volte, si aggiungono ad altri e numerosi problemi già esistenti, nonché delle risorse che sono sempre limitate”.
Di qui l’invito ai “governanti” affinché “praticando la virtù della prudenza” sappiano “accogliere, promuovere, proteggere e integrare, stabilendo misure pratiche”, e questo, con una espressione ripresa dalla Pacem in Terris di Giovanni XXIII, “nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, [per] permettere quell’inserimento”. I governanti infatti “hanno una precisa responsabilità verso le proprie comunità, delle quali devono assicurarne i giusti diritti e lo sviluppo armonico, per non essere come il costruttore stolto che fece male i calcoli e non riuscì a completare la torre che aveva cominciato a edificare”.
Papa Francesco osserva che “in molti Paesi” raggiunti dai migranti “si è largamente diffusa una retorica che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati, disprezzando così la dignità umana che si deve riconoscere a tutti, in quanto figli e figlie di Dio”. “Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, - aggiunge - anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia, che sono fonte di grande preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore la tutela di ogni essere umano”.
Ma se “alcuni” considerano le migrazioni globali “una minaccia”, “io, invece, - ribadisce con forza il successore di Pietro - vi invito a guardarle con uno sguardo carico di fiducia, come opportunità per costruire un futuro di pace”.
Papa Francesco esorta ad avere uno “sguardo contemplativo” sul fenomeno migratorio, in modo che sappia “guidare il discernimento dei responsabili della cosa pubblica, così da spingere le politiche di accoglienza fino al massimo dei ‘limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso’ (Pacem in Terris), considerando cioè le esigenze di tutti i membri dell’unica famiglia umana e il bene di ciascuno di essi”.
A questo punto Papa approfondisce il senso delle quattro azioni che sono alla base di una adeguata strategia per affrontare il fenomeno delle migrazioni: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Così “accogliere” richiama “l’esigenza di ampliare le possibilità di ingresso legale, di non respingere profughi e migranti verso luoghi dove li aspettano persecuzioni e violenze, e di bilanciare la preoccupazione per la sicurezza nazionale con la tutela dei diritti umani fondamentali”.
Proteggere” poi ricorda “il dovere di riconoscere e tutelare l’inviolabile dignità di coloro”, e in particolare delle donne e dei bambini a rischio di abusi e schiavitù, che “fuggono da un pericolo reale in cerca di asilo e sicurezza, di impedire il loro sfruttamento”.
Promuovere” quindi rimanda “al sostegno allo sviluppo umano integrale di migranti e rifugiati”, con un attenzione speciale ad “assicurare ai bambini e ai giovani l’accesso a tutti i livelli di istruzione” in modo che siano “maggiormente in grado di andare incontro agli altri, coltivando uno spirito di dialogo anziché di chiusura o di scontro”.
Integrare”, infine, “significa permettere a rifugiati e migranti di partecipare pienamente alla vita della società che li accoglie, in una dinamica di arricchimento reciproco e di feconda collaborazione nella promozione dello sviluppo umano integrale delle comunità locali”.
Il Messaggio di papa Francesco si chiude con un auspicio riguardante il processo che lungo il 2018 condurrà alla definizione e all’approvazione da parte delle Nazioni Unite di due patti globali, uno per migrazioni sicure, ordinate e regolari, l’altro riguardo ai rifugiati. L’auspicio è che questi patti “siano ispirati da compassione, lungimiranza e coraggio, in modo da cogliere ogni occasione per far avanzare la costruzione della pace: solo così il necessario realismo della politica internazionale non diventerà una resa al cinismo e alla globalizzazione dell’indifferenza”.
A questo proposito in Pontefice ricorda che la Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale “ha suggerito 20 punti di azione quali piste concrete per l’attuazione di questi quattro verbi nelle politiche pubbliche, oltre che nell’atteggiamento e nell’azione delle comunità cristiane”. “Questi ed altri contributi – ribadisce il Pontefice - intendono esprimere l’interesse della Chiesa cattolica al processo che porterà all’adozione dei suddetti patti globali delle Nazioni Unite”. E tale interesse “conferma una più generale sollecitudine pastorale nata con la Chiesa e continuata in molteplici sue opere fino ai nostri giorni”.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 24 novembre 2017

di Viviana Daloiso
Sono tanti gli eventi che vedono le donne protagoniste in queste ore: mostre, inaugurazioni, convegni. Per la prima volta nella storia del Paese.-
Sono tanti, e diversi, gli eventi che vedono le donne protagoniste in queste ore: mostre, inaugurazioni, convegni. Per la prima volta nella storia del Paese, però, succede in questo 25 novembre che l’Aula di Montecitorio apra le sue porte soltanto alle donne. Accadrà stamattina, alle 11.30 (la diretta sarà trasmessa da Rai2 e da Rai3): #In Quanto Donna è il titolo dell’evento fortemente voluto dalla presidente della Camera, Laura Boldrini. Per l’occasione, non solo l’Aula, ma anche le altre sale della Camera saranno aperte per accogliere tutte coloro che hanno aderito all’invito della terza carica dello Stato.
Oltre 1.300 donne provenienti da tutta Italia: vittime di stupro, violenza domestica e stalking. Ma anche madri di ragazze che non ci sono più, uccise per mano degli uomini che avrebbero dovuto amarle. Ci saranno anche magistrate, dirigenti di polizia, studiose, giornaliste, attiviste, volontarie. «Ho voluto celebrare il 25 novembre con un evento altamente simbolico – ha detto la Presidente Boldrini –. Non era mai accaduto nella storia della Repubblica che l’Aula di Montecitorio fosse aperta solo alle donne. Donne comuni che hanno subito violenza o che con la violenza hanno in qualche modo a che fare. Lo scopo di questa giornata è dar loro attenzione e ascolto, ma anche sensibilizzare il Paese su questo tema che riguarda tutti, non solo le donne». E non solo per un giorno.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 25 novembre 2017

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