Ucraina. Polina e gli altri, il dramma dei bambini vittime della guerra
di Nello Scavo, inviato a Kiev
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 01 marzo 2022
Pioggia di bombe su Kiev e Kharkiv. «Mercenari per uccidere Zelensky». La storia di Alisa uccisa a scuola e Polina ammazzata in strada.-
E al sesto giorno, piovvero i missili. I bagliori rosso fuoco al primo buio della capitale sarebbero anche un bello spettacolo se non fosse per l’onda d’urto che spazza via cose e persone e fa tremare l’intera città. Le esplosioni sono deflagrate prima ancora che suonassero gli allarmi aerei, segno che lo Stato maggiore di Mosca ha dato l’ordine di utilizzare armi di più recente fabbricazione e con una maggiorata potenza esplosiva. Il pomeriggio, con i negoziati ancora in corso, è stato scandito dalle deflagrazioni a cui però la popolazione si sta abituando. Un modo per spiegare che non c’è da illudersi e che a dare le carte, al tavolo dei negoziatori, vuole essere Vladimir Putin. La lunga notte di Kiev, la città che Mosca fatica ad addomesticare, è solo all’inizio.
Chi sta fuggendo nelle cripte, si mette al riparo e prega. Perché da oggi tutti potrebbero trovare una città cambiata. L’invito dell’armata russa a lasciare Kiev viene interpretato come un bluff da molti ucraini, ma è stato colto al volo dai molti stranieri ancora presenti nella capitale che si sono messi in viaggio con ogni mezzo possibile per allontanarsi. Per quanto al momento la città non sia circondata dalle forze armate di Mosca, che starebbe inviando migliaia uomini a supporto delle colonne meccanizzate che hanno incontrato una inattesa resistenza, diversi osservatori temono che l’invito a lasciare la proprie case sia il preludio a operazioni militari più aggressive e capillari. Il 75 per cento delle truppe che la Russia aveva ammassato ai confini dell’Ucraina sono ora entrate nel Paese. Come abbiamo potuto constatare, le colonne di Mosca sono attestate a 25 chilometri da Kiev. «Ci aspetta un bombardamento che ricorderemo a lungo, sempre che ne usciremo interi».
La fonte dell’intelligence che ci mette in guardia, stavolta usa l’ironia quasi con rassegnazione. Perché cinque giorni di guerra dal cielo e dalla terra sono stati un inferno. I colpi che cadono dove non puoi immaginare. L’onda d’urto che spazza intorno. Ma a essere temuti sono soprattutto gli incursori dei corpi speciali. I combattenti noti per avere perfino allagato i ripari sotterranei in Siria come in Cecenia. Perciò chi si rintana nei bunker sa di non essere abbastanza al sicuro se oltre alle bombe arriverà la fanteria. Si teme so-prattutto per i bambini, a cui davvero non si sa come spiegare quello che accade sopra le loro teste. Si teme anche per il presidente Volodomyr Zelensky: oltre 400 mercenari russi del gruppo Wagner sarebbero entrati in Ucraina con la missione di assassinarlo. Nelle lunghe ore di coprifuoco molti scantinati sono stati trasformati in fabbriche di armi rudimentali. In gran parte bottiglie incendiarie, ma vengono anche rimessi in funzione vecchi fucili, rivoltelle, armi che dovrebbero stare nei musei e che tornano in strada. La giornata trascorre nell’alternarsi di sconfitte ed eroismi.
Decine di ucraini hanno sfidato i soldati russi in una piazza di Berdiansk, città di 110mila abitanti sul mar d’Azov, vicina a Mariupol, cantando l’inno nazionale ucraino e sventolando bandiere. Quando i militari hanno visto avvicinare i residenti, senza che contro di essi venisse levata una sola mano, questi si sono coperti il volto dalla vergogna, dopo che il ministero della Difesa russo aveva annunciato di aver preso il controllo del centro urbano. Ma proprio a Mariupol e Kharkiv, le due città che Putin ha ordinato di assoggettare per compensare la ritardata presa di Kiev, si sono registrati orribili attacchi contro i civili. Un cinema è stato distrutto, abitazioni sono state sventrate. Molti i morti, anche bambini. Un attacco a obiettivi civili che ieri ha convinto la procura presso il Tribunale internazionale dell’Aja ad aprire una inchiesta per crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
Tornano anche storie dei giorni scorsi. Come quella di Alisa Hlans, sette anni: stava giocando con i suoi amici quando la sua scuola elementare è stata colpita da un raid russo venerdì, nel secondo giorno dell’attacco all’Ucraina. La piccola è stata una delle sei vittime del bombardamento che ha colpito il villaggio di Okhtyrka, vicino al confine nordorientale. I medici hanno tentato in tutti i modi di salvarla, ma la bambina è morta il giorno dopo in ospedale. Polina frequentava invece l’ultimo anno della scuola primaria a Kiev. Secondo le autorità, è stata uccisa in uno scontro a fuoco insieme ai suoi genitori in un attacco russo. Con la famiglia si è ritrovata nel mezzo di un blitz delle forze speciali russe nella capitale ucraina con l’obiettivo di sabotare centri nevralgici e individuare obiettivi da centrare con raid aerei e missilistici, ed è stata colpita mentre si trovava in strada. Il fratello e la sorella sono stati ricoverati in ospedale, una in terapia intensiva, l’altro in un nosocomio pediatrico. Le loro storie drammatiche, riportate dalla Bbc, circolano in queste ore sui media internazionali, a testimonianza degli effetti brutali del conflitto anche per la popolazione civile. Ma la maggior parte delle vittime resta ancora senza nome.
L’ultimo bilancio dell’Onu parla di 102 morti, tra cui sette bambini, ma le cifre riferite dalle autorità di Kiev sono ancora più drammatiche, con almeno 352 civili uccisi, tra cui 16 bambini. Fino ad ora quasi 422mila persone hanno attraversato i confini internazionali dell’Ucraina in cerca di sicurezza, soprattutto in Polonia, Moldavia, Romania e oltre, informa l’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Il numero continua a crescere da ora in ora. A questi vanno aggiunti gli oltre 100mila che hanno abbandonato le loro case e sono sfollate all’interno del Paese. Le agenzie Onu parlano tuttavia di stime prudenziali, poiché le condizioni di sicurezza nel Paese non consentono di accedere a informazioni particolareggiate.
Le code più lunghe negli attraversamenti dei confini si registrano alle frontiere con Moldavia e Polonia. Personale dell’Unhcr al confine polacco racconta che le persone in arrivo sono in viaggio da 3-4 giorni. E poi attendono ore per poter vedere esaminati i documenti ed entrare nell’Ue. «Sono persone esauste – spiegano gli operatori –, non hanno dormito, non hanno potuto consumare cibo caldo o utilizzare servizi igienici sulla strada. E, naturalmente, sono traumatizzate dagli attacchi e dai bombardamenti». Molte donne attraversano i varchi tenendo per mano i bambini. E sono le più spaventate, perché i mariti e gli anziani sono rimasti a Kiev. Chi per combattere, chi perché impossibilitato ad affrontare un esodo nel freddo. Perché anche restare vuol dire resistere.