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Si insiste su un discorso sterile di quantità e così si aggiungono ore di lavoro, materiali, burocrazia e quant'altro. Ma non è per caso che questa scuola, che si è tecnicizzata, è addirittura generativa di malessere? A colloquio con Maria Martello, autrice di "Costruire relazioni intelligenti"

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di Francesca Fiocchi
da www.famigliacristiana.iot
@Riproduzione Riservata del 27 dicembre 2023


I femminicidi efferati del 2023, a cominciare da quello di Giulia Cecchettin che ha scosso il Paese, il bullismo e tutti gli oltraggi violenti alla persona ci portano a interrogarci seriamente su quale strada la società abbia imboccato. Come è stato possibile arrivare fin qui, oltre il limite? Ne parliamo con Maria Martello, docente di psicologia dei rapporti interpersonali, giudice onorario e formatrice della mediazione filosofica e umanistica. Autrice del libro Costruire relazioni intelligenti (San Paolo). Sottotitolo: A relazionarsi si impara… Ma nessuno lo insegna.

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Maria Martello

Per Elena, sorella di Giulia Cecchettin, serve una rivoluzione culturale e, in tal senso, si interroga su come possa essere utile. Ma i tempi sono maturi per un cambio di paradigma?

Sì, è giunto il momento. È doveroso dare corso e linfa a questa rivoluzione, ma stiamo attenti perché è la risposta che diamo che può bloccare questo processo, virtuoso e in atto. Per riuscirci è necessario bandire dal nostro vocabolario la frase “siamo in emergenza”. Dobbiamo vergognarci di considerare emergenza quella che è una carenza sempre più grave di educazione alle relazioni interpersonali, un vuoto che colpevolmente da oltre vent’anni non abbiamo attenzionato, che abbiamo creato e cui non abbiamo dato risposta. Invito a far pulizia delle parole, a pesarle bene. Seconda cosa: non dobbiamo usare più il termine interventismo, perché questi interventi apparentemente dettati dall’emergenza, ma senza una qualità di fondo, sono l’offesa più grande che possiamo fare alla sorella e al papà di Giulia, al problema che stiamo trattando. Occorre togliere queste parole ipocrite, errate di fronte a un fatto talmente grave da lasciarci ammutoliti non solo perché aumenta inesorabilmente il numero delle donne uccise dai loro compagni, ma anche perché fosse paradossalmente una è talmente brutale da indignarci, da toglierci il respiro come società tutta.

Lei è stata insegnante. Qual è il ruolo della scuola in merito, dal momento che si tratta di “costruire” una nuova umanità?

Sono stata anche scrittrice del primo libro di educazione civica, che fu un bestseller nel ’93, adottato da ogni scuola italiana. Come insegnante ho vissuto l’esperienza di stare in una classe dove non volava una mosca. Portavo i miei allievi a scoprire le radici storiche dei vari monumenti, dal romanico in poi, per strada. Non li ho mai richiamati: non ero mica il pastore di un gregge! Il loro comportamento era frutto di una didattica di qualità, che metteva al centro del mio insegnamento il rapporto con la persona dell’allievo, con i suoi sentimenti, la relazione tra di noi, tra gli allievi, tra loro e la famiglia. C’era uno stile educativo che a macchia d’olio creava attenzione alla relazione verticale e orizzontale. Fissiamo il concetto che i ragazzi non sono un voto, sono molto più ampi. Oggi, invece, se c’è un problema, sia femminicidio sia bullismo, immediatamente planano dall’alto con interventi di emergenza. Quando un albero è malato noi non curiamo le foglie, che sono la manifestazione finale della malattia, ma interveniamo sulle radici. Noi, invece, curiamo le foglie con le proposte di quantità, come per esempio più ore di educazione civica oppure più consulenti per progetti speciali.

Un discorso dirompente, considerate le ultime novità sul rinforzo del Codice rosso, che prevedono esperti di educazione affettiva e relazionale, fino al coinvolgimento di influencer. Ma se mancano le risorse per pagare più equamente gli insegnanti, può essere questa una strada percorribile?

Ciò che servirebbe è trasformare i programmi normali in apprendimenti straordinari. Questo va fatto. Si insiste su un discorso sterile di quantità, per cui si creano figure nuove di coordinamento, si cerca di mettere delle pezze che si sommano come vagoncini a questa locomotiva che è la scuola. E così si aggiungono ore di lavoro, materiali, soprattutto si burocratizzano questi processi attraverso relazioni finali, controllo delle forme, valutazione numerica e quant’altro. Non è che per caso è questa scuola, che si è tecnicizzata, addirittura generativa di malessere? Una scuola che è piena di progetti e vuota di comportamenti che cambiano la relazione con lo studente e tra gli studenti tradisce il suo fine nobile e prioritario, non sta andando verso il rispetto della complessità della persona, verso la cura e la coltivazione delle relazioni, ma riflette una società priva di affettività. I violenti sono vittime anche loro dell’anaffettività, sono persone deprivate, non maturate. Eppure senza amore non si può vivere. La gente sta impazzendo perché si rende conto che c’è questo bisogno, un bisogno che non è più ritenuto di valore, da curare. Una vita senza una relazione costruttiva crea mostri. Bisogna formare prima di tutto l’insegnante sulla crucialità del valore dell’educazione alla relazione, che creerà a sua volta rapporti costruttivi con gli allievi, i quali impareranno dal modello relazionale proposto senza bisogno di aggiungere finte ore in cui in modo estemporaneo e sporadico si trattano questi argomenti. Se un insegnante è formato, e quindi credibile, quando fa lezione ha mille occasioni di educare, di far capire che le donne non sono bottino di guerra di nessuno, che il conflitto si può risolvere con il dialogo, che il punto di vista dell’altro ha valore. Al docente si deve chiedere di essere, oltre che un professionista della propria materia, eticamente e umanamente maturo. Il mio libro Costruire relazioni intelligenti è un programma di autoformazione e può fornire un aiuto concreto. Martha Nussbaum, filosofa statunitense, nell’ambito universitario ha dimostrato che quando il clima relazionale in classe migliora anche gli apprendimenti nelle varie discipline migliorano e, di conseguenza, anche lo stile di come stare in società si raffina.

Il Codice rosso, la legge 19 luglio 2019 n.69 rafforzata nel 2023 e su cui ancora oggi si riflette, ha mostrato i suoi limiti?

Non si delinque perché non si conosce la norma, ma si delinque perché non si è scoperto quanto è più costruttivo stare nella legalità. Questa era l’ipotesi su cui avevo basato il mio libro di educazione civica. Il Codice rosso, che interviene nelle situazioni già “scoppiate”, è perfetto, l’ho riletto, non serve completarlo o un altro codice da aggiungere, basterebbe mettere tutti i fondi necessari per attuarlo, perché altrimenti facciamo parole, aggiungiamo leggi su leggi che tanto stanno sulla carta. Il vero discorso è di prevenzione per formare sui valori della relazione, banco di prova della felicità di ognuno di noi.

E la famiglia cosa dovrebbe fare?

Creare una casa “calda”. Bisogna interrogarsi su quanto amore stia circolando tra le mura. La condivisione c’è? Il rispetto dell’originalità dell’altro? La protezione e la valorizzazione della persona?

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