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Quando bisogna preoccuparsi se un bambino non parla?

di Nadia Rossi

da www.bimbisaniebelli.it
@Riproduzione Riservata del 20 gennaio 2023

Intorno ai 2 anni il vocabolario del bambino è almeno di venti parole: ecco perché, se a questa età ancora non apre bocca, è importante capirne il perché con l’aiuto degli esperti.-

Comunicare significa mettersi in relazione con l’altro e non sempre ciò avviene attraverso il linguaggio verbale, specie nel bambino. L’espressione facciale, il contatto visivo e la postura del corpo, infatti, fanno parte di tutte quelle espressioni che appartengono alla sfera della comunicazione non verbale spesso utilizzata dal bambino piccolo quando non è ancora in grado di parlare. Infatti, il linguaggio verbale, appare più tardi rispetto a quello non verbale.

In quale momento inizia il processo comunicativo in un bambino?

La parola è solo uno dei canali comunicativi, il suo sviluppo può andare di pari passo con lo sviluppo motorio oppure avere tempi diversi e non sempre uguali da bambino a bambino.

Tuttavia, a un anno e mezzo  la maggior parte dei bambini, anche se pronuncia solo poche parole, riesce a comprenderne molte, eseguendo semplici richieste come “fai ciao ciao”. A questa età i bambini ascoltano filastrocche e, su richiesta, sanno indicare le diverse parti del corpo o i disegni di un libro.

Un vocabolario essenziale

A due anni, in genere i bambini sono in grado di pronunciare correttamente più di 20 parole e di comprenderne anche più del doppio, utilizzando contemporaneamente gesto e parola. A due anni e mezzo utilizzano le prime combinazioni di parole tipo “mamma bella” o “pappa buona”. Ma se a 24 mesi compiuti il bambino proprio non parla, bisogna capirne il perché.

Cosa fare se un bambino di 2 anni non parla?

Innanzitutto, si deve capire se il bambino si gira sentendo una voce o un rumore improvviso e se risponde, guardando negli occhi, quando è chiamato. In secondo luogo, occorre osservare se mostra di essere interessato a quello che gli accade intorno: per esempio se esplora lo spazio circostante e cerca gli altri bambini quando li vede. Inoltre, se non comunica con le parole, dovrebbe comunque chiedere attenzioni attraverso lo sguardo e usare i gesti per farsi capire, dimostrando così intenzionalità comunicativa.

Se non sono presenti molti di questi comportamenti per mettersi in relazione con gli altri, sarebbe opportuno offrire al bambino la possibilità di stare di più con i coetanei, portandolo spesso al parco, in ludoteca o facendogli frequentare l’asilo nido, tutti luoghi di prima socializzazione, che aiutano i bambini a mettersi in gioco con i loro simili, stimolando il desiderio di comunicare con gli altri. Spesso un bambino con un modesto ritardo nel linguaggio ha solo bisogno di maggiori opportunità.

A cosa servono le tavole di Kuno Beller?

Le tavole di Kuno Beller sono uno strumento di conoscenza sul neuro-sviluppo evolutivo del bambino. Si tratta dello stesso tipo di schede utilizzate in alcuni nidi e scuole d’infanzia per l’osservazione e la valutazione dei bambini.

Il loro utilizzo ha l’obiettivo principale di mettere in atto strategie di prevenzione dei disturbi del comportamento e dell’apprendimento nel bambino, attraverso la valutazione delle risposte al questionario, gestito e affidato alla famiglia: mamma e papà sono messi nella condizione di osservare il proprio figlio e, laddove evidenziano risposte non positive, devono essere pronti a stimolarlo con azioni attive per superare eventuali ritardi o scarsa adesione alle funzioni previste.

Le schede sono in genere  compilate ogni tre mesi, per il primo anno di vita, e ogni 6 mesi, fino ai 6 anni d’età, vanno rese di volta in volta al pediatra, per sottoporle alla sua supervisione. Sarà poi il medico a restituire i risultati in occasione delle normali visite della crescita, suggerendo le strategie più adatte per stimolare il bambino, oppure, se lo riterrà opportuno, prescrivendo una valutazione specialistica.

Come sbloccare un bambino che non parla?

La valutazione del linguaggio aiuta a conoscere meglio le potenzialità del bambino ed eventualmente su quali aspetti lavorare. Il primo passo lo fa il pediatra di famiglia, che può chiedere una consulenza a uno o più specialisti.

L’équipe multidisciplinare che si occupa di valutare i disturbi del linguaggio è costituita da neuropsichiatra infantile, psicologo, logopedista e psicomotricista. La valutazione dello sviluppo del linguaggio si svolge con attività che servono a sondare lo sviluppo psicomotorio del bambino attraverso giochi con immagini da denominare o da indicare, per verificare la capacità di comprendere e rispondere verbalmente del piccolo.

La valutazione del linguaggio è un momento delicato che va comunicato al bambino con  serenità, proprio come si fa per qualsiasi altra visita, senza sovraccaricare di significati e aspettative l’appuntamento.

È bene informare il bambino di cosa andrà a fare dal medico (giochi, piccole attività motorie, conquistando un bel premio per la partecipazione), in maniera da rendere la visita un momento piacevole.

Quali sono le fasi dello sviluppo del linguaggio nel bambino?

  • 3-5 mesi Il bambino per comunicare piange, gorgheggia, sorride, emette gridolini.
  • 6-8 mesi È il periodo della “lallazione”, il bambino emette sequenze di sillabe (da-da-da, la-la-la) anche solo per il piacere di ascoltarsi.
  • 9-12 mesi Il bambino comincia a indicare gli oggetti. Usa solo poche parole-frase, ma ne comprende molte.
  • 12-16 mesi Intorno all’anno d’età il bambino comincia a pronunciare le prime parole e comunica con i gesti indicativi.
  • 16-18 mesi Il bambino capisce che tutte le cose hanno un nome. Impara velocemente le nuove parole. Usa parole e gesti per comunicare.
  • 18-24 mesi Il vocabolario del bambino è composto da 20 o più parole. Riesce ad associare due o più parole per raccontare o descrivere quello che vede.

In sintesi

Cosa fare se il bambino non parla a 3 anni?

I tre anni sono l’età che costituisce una sorta di spartiacque tra i bambini che imparano a parlare tardivamente e quelli che probabilmente hanno un vero e proprio disturbo, come per esempio l’autismo, da indagare.

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