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"PRIMA GLI ULTIMI", È IL MOTTO DEL CRISTIANO

di Annachiara Valle

Papa Francesco firma il messaggio per la prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato e spiega che questo è un tema che interpella il nostro stesso modo di essere. Per questo "Non si tratta solo di migranti", dice il titolo del documento.-

«Non si tratta solo di migranti: si tratta anche delle nostre paure». «Non si tratta solo di migranti: si tratta della carità». Non si tratta solo di migranti: si tratta della nostra umanità». «Non si tratta solo di migranti: si tratta di non escludere nessuno». Il messaggio del Papa, in occasione della prossima giornata per i migranti e i rifugiati che si terrà il 26 settembre spiega molto bene che i ripetuti appelli del Pontefice sono diretti a tutta l’ umanità. Pensando ai 260 milioni di profughi nel mondo, cui ogni dieci anni, a causa di guerre, carestie, conflitti, instabilità, se ne aggiungono altri 50, papa Francesco ricorda che «le società economicamente più avanzate sviluppano al proprio interno la tendenza a un accentuato individualismo che, unito alla mentalità utilitaristica e moltiplicato dalla rete mediatica, produce la “globalizzazione dell’ indifferenza”. In questo scenario, i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta sono diventati emblema dell’ esclusione perché, oltre ai disagi che la loro condizione di per sé comporta, sono spesso caricati di un giudizio negativo che li considera come causa dei mali sociali».

Ma il suo discorso non riguarda, come spiega già il titolo del messaggio soltanto i migranti. L’ atteggiamento nei loro confronti, infatti, è un «campanello di allarme che avvisa del declino morale a cui si va incontro se si continua a concedere terreno alla cultura dello scarto. Infatti, su questa via, ogni soggetto che non rientra nei canoni del benessere fisico, psichico e sociale diventa a rischio di emarginazione e di esclusione».

Per questo, invece , «interessandoci di loro ci interessiamo anche di noi, di tutti; prendendoci cura di loro, cresciamo tutti; ascoltando loro, diamo voce anche a quella parte di noi che forse teniamo nascosta perché oggi non è ben vista».

Non si tratta allora di pensare solo ai migranti, spiega il Papa, ma anche alle nostre paure. Perché il problema non è avere timori, ma è «quando questi condizionano il nostro modo di pensare e di agire al punto da renderci intolleranti, chiusi, forse anche – senza accorgercene – razzisti. E così la paura ci priva del desiderio e della capacità di incontrare l’ altro, la persona diversa da me; mi priva di un’ occasione di incontro col Signore».

E si tratta anche della carità perché «attraverso le opere di carità dimostriamo la nostra fede. E la carità più alta è quella che si esercita verso chi non è in grado di ricambiare e forse nemmeno di ringraziare. Ciò che è in gioco è il volto che vogliamo darci come società e il valore di ogni vita. Il progresso dei nostri popoli dipende soprattutto dalla capacità di lasciarsi smuovere e commuovere da chi bussa alla porta e col suo sguardo scredita ed esautora tutti i falsi idoli che ipotecano e schiavizzano la vita; idoli che promettono una felicità illusoria ed effimera, costruita al margine della realtà e della sofferenza degli altri».

Il Papa sottolinea che si tratta anche della nostra umanità perché, ricordando il Samaritano, ricorda che «ciò che spinge quel Samaritano – uno straniero rispetto ai giudei – a fermarsi è la compassione, un sentimento che non si spiega solo a livello razionale. La compassione tocca le corde più sensibili della nostra umanità, provocando un’ impellente spinta a “farsi prossimo” di chi vediamo in difficoltà. Come Gesù stesso ci insegna, avere compassione significa riconoscere la sofferenza dell’ altro e passare subito all’ azione per lenire, curare e salvare». E cita il Vangelo di Matteo: «Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».

Ancora si tratta di non escludere nessuno. «Il mondo odierno è ogni giorno più elitista e crudele con gli esclusi. I Paesi in via di sviluppo continuano ad essere depauperati delle loro migliori risorse naturali e umane a beneficio di pochi mercati privilegiati. Le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti. Chi ne fa le spese sono sempre i piccoli, i poveri, i più vulnerabili, ai quali si impedisce di sedersi a tavola e si lasciano le “briciole” del banchetto».

«Si tratta di mettere gli ultimi al primo posto» come ha fatto Gesù che «ci chiede di non cedere alla logica del mondo, che giustifica la prevaricazione sugli altri per il mio tornaconto personale o quello del mio gruppo: prima io e poi gli altri! Invece il vero motto del cristiano è “prima gli ultimi!”» perché «nella logica del Vangelo gli ultimi vengono prima, e noi dobbiamo metterci a loro servizio».

«Si tratta di tutta la persona, di tutte le persone». Nelle parole di Gesù «troviamo il cuore della sua missione: far sì che tutti ricevano il dono della vita in pienezza, secondo la volontà del Padre. In ogni attività politica, in ogni programma, in ogni azione pastorale dobbiamo sempre mettere al centro la persona, nelle sue molteplici dimensioni, compresa quella spirituale. E questo vale per tutte le persone, alle quali va riconosciuta la fondamentale uguaglianza».

Infine «si tratta di costruire la città di Dio e dell’ uomo» perché «in questa nostra epoca, chiamata anche l’ era delle migrazioni, sono molte le persone innocenti che cadono vittime del “grande inganno” dello sviluppo tecnologico e consumistico senza limiti. E così si mettono in viaggio verso un “paradiso” che inesorabilmente tradisce le loro aspettative. La loro presenza, a volte scomoda, contribuisce a sfatare i miti di un progresso riservato a pochi, ma costruito sullo sfruttamento di molti. Si tratta, allora, di vedere noi per primi e di aiutare gli altri a vedere nel migrante e nel rifugiato non solo un problema da affrontare, ma un fratello e una sorella da accogliere, rispettare e amare, un’ occasione che la Provvidenza ci offre per contribuire alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più compiuta, un Paese più solidale, un mondo più fraterno e una comunità cristiana più aperta, secondo il Vangelo».

Bergoglio riprende i quattro verbi che sempre usa per spiegare come affrontare il fenomeno migratorio: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. «Ma», aggiunge, «questi verbi non valgono solo per i migranti e i rifugiati. Essi esprimono la missione della Chiesa verso tutti gli abitanti delle periferie esistenziali, che devono essere accolti, protetti, promossi e integrati. Se mettiamo in pratica questi verbi, contribuiamo a costruire la città di Dio e dell’ uomo, promuoviamo lo sviluppo umano integrale di tutte le persone e aiutiamo anche la comunità mondiale ad avvicinarsi agli obiettivi di sviluppo sostenibile che si è data e che, altrimenti, saranno difficilmente raggiunti. Dunque, non è in gioco solo la causa dei migranti, non è solo di loro che si tratta, ma di tutti noi, del presente e del futuro della famiglia umana. I migranti, e specialmente quelli più vulnerabili, ci aiutano a leggere i “segni dei tempi”. Attraverso di loro il Signore ci chiama a una conversione, a liberarci dagli esclusivismi, dall’ indifferenza e dalla cultura dello scarto. Attraverso di loro il Signore ci invita a riappropriarci della nostra vita cristiana nella sua interezza e a contribuire, ciascuno secondo la propria vocazione, alla costruzione di un mondo sempre più rispondente al progetto di Dio».
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 27 maggio 2019

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