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PIÙ SFIDUCIATI E IRRAZIONALI, GLI ITALIANI NON CREDONO PIÙ IN UN FUTURO MIGLIORE

di Antonio Sanfrancesco

da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 03 dicembre 2021

La fotografia dell’Italia scattata dal Censis: solo il 15% degli italiani crede a una migliore situazione economica dopo la pandemia. E la maggioranza non considera la scuola e la formazione un mezzo per trovare un lavoro dignitoso: «Siamo di fronte a una società che potrà riprendersi più per progetto che per spontanea evoluzione».-

Non crediamo più nella scienza, negli investimenti pubblici, nella scuola e nella formazione come strumenti di promozione sociale in grado di ridurre, se non eliminare, le disuguaglianze. E ci appoggiamo sempre più alle pensioni (in aumento) di genitori e nonni che costituiscono un “silver welfare” decisivo per i più giovani.

È la fotografia dell’Italia scattata dal Censis nel 55° Rapporto sulla situazione sociale del nostro Paese. I temi trattati sono tanti, dal dibattito sui vaccini alla credibilità dell’informazione in Tv e sul web, dal divario retributivo tra uomini e donne all’infodemia su virus e vaccini, ma le parole che fanno da filo conduttore sono tre: sfiducia, irrazionalità e povertà. «Si cade evidentemente nell'irrazionale nei momenti di interregno, di crisi e di trapasso verso una nuova epoca, ma dobbiamo sapere che il benessere necessita di forti motivazioni individuali che vengono alimentate dalla persuasione che ne valga la pena», dice il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii, «è il reale che deve incaricarsi di smentire quella porzione della società che è caduto in questo sonno evanescente della ragione, è il reale che deve tornare a certificare il valore intrinseco delle scelte razionali».
Per Valerii «dobbiamo domandarci perché stiamo assistendo a questo irrazionale che infiltra una componente minoritaria ma non irrilevante della società. La risposta è che questo irrazionale non è solo una distorsione determinata dalla pandemia, ma ha radici socio economiche profonde che dobbiamo riconoscere. Assistiamo a quella parabola dal rancore al sovranismo psichico che oggi evolve diventando il gran rifiuto del discorso razionale, di quegli strumenti della ragione con cui nel passato abbiamo costruito il progresso e il nostro benessere».

Il Censis si sofferma anche su «un'occupazione povera di capitale umano, una disoccupazione che coinvolge anche un numero rilevante di laureati e offerte di lavoro non orientate a inserire persone con livelli di istruzione elevati indeboliscono la motivazione a fare investimenti nel capitale umano». Quello che emerge è un sentimento di sfiducia: l'83,8% degli italiani ritiene che l'impegno e i risultati conseguiti negli studi non mettono più al riparo i giovani dal rischio di dover restare disoccupati a lungo e l'80,8% degli italiani (soprattutto i giovani: l'87,4%) non riconoscono una correlazione diretta tra l'impegno nella formazione e la garanzia di avere un lavoro stabile e adeguatamente remunerato.

Nel periodo 2019-2020 le coppie di pensionati con figli sono aumentate del 2,7% e sono diventate complessivamente 1,2 milioni, mentre nel periodo 2010-2019 si era registrata una variazione negativa, pari a -26,7%. Tra il 2019 e il 2020 si contano 443.000 nuclei monogenitoriali con almeno un pensionato, aumentati in dodici mesi di 18.000 unità (+4,1%), a fronte di un calo nel periodo 2010-2019 di 36.000 unità (-7,8%), evidenzia il Rapporto in quello che definisce “silver welfare”. Nel 2020 le famiglie con almeno un pensionato da lavoro sono 8,7 milioni (pari al 33,4% del totale), con un aumento del 2,1% rispetto al 2019, ovvero 177.000 nuclei familiari in più. Si tratta di un dato in controtendenza rispetto al decennio antecedente al Covid-19 (2010-2019), quando la stessa tipologia di famiglie era diminuita di 249.000 unità (-2,8%).

«La crescita delle tipologie familiari in cui coesistono genitori pensionati con figli rilancia con forza il tema della rilevanza sociale delle pensioni. Il 69,7% degli italiani pensa infatti che gli anziani siano il bancomat di figli e nipoti», rileva il Censis, osservando che «nel tempo andrà valutato l'impatto economico delle misure di anticipo del pensionamento introdotte in questi anni: nel 2020 si registrano 291.479 pensioni anticipate contro le 269.528 pensioni di vecchiaia, mentre nel 2019 le prime erano state 299.416 e quelle di vecchiaia 155.625».

IL 70% DEI GIOVANI SI DICHIARA INQUIETO RISPETTO AL FUTURO

Un’ampia sezione del Rapporto è dedicata a quello che il Censis definisce il “pensiero irrazionale” che ha permeato una parte, sia pure minoritaria, della società. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni) il Covid non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile. E poi: il 5,8% è convinto che la Terra è piatta, per il 10% l'uomo non è mai sbarcato sulla Luna, per il 19,9% il 5G è uno strumento sofisticato per controllare le persone. «Accanto alla maggioranza ragionevole e saggia si leva un'onda di irrazionalità», si osserva nel rapporto, che vi legge «la spia di qualcosa di più profondo: le aspettative soggettive tradite provocano la fuga nel pensiero magico».

L'indagine evidenzia ancora come per il 31,4% il vaccino è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici. Si osserva una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste. Dalle tecno-fobie al negazionismo storico-scientifico, fino alla teoria cospirazionistica del “gran rimpiazzamento” che ha contagiato il 39,9% degli italiani, certi del pericolo della sostituzione etnica.

«L'irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale, sia le posizioni scettiche individuali, sia i movimenti di protesta che quest'anno hanno infiammato le piazze, e si ritaglia uno spazio non modesto nel discorso pubblico, conquistando i vertici dei trending topic nei social network, scalando le classifiche di vendita dei libri, occupando le ribalte televisive», osserva il rapporto.

«L'irrazionale che oggi si manifesta nella nostra società», sottolinea il Censis, «non è semplicemente una distorsione legata alla pandemia, ma ha radici socio-economiche profonde» e «dipende dal fatto che siamo entrati nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali» e «la fuga nell'irrazionale è l'esito di aspettative soggettive insoddisfatte». Infatti, l'81% degli italiani ritiene che oggi è molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l'investimento di tempo, energie e risorse profuso nello studio; il 35,5% è convinto che non conviene impegnarsi per laurearsi, conseguire master e specializzazioni, per poi ritrovarsi invariabilmente con guadagni minimi e rari attestati di riconoscimento. Per due terzi (il 66,2%) nel nostro Paese si viveva meglio in passato. Per il 51,2%, malgrado il robusto rimbalzo del Pil di quest'anno, non torneremo più alla crescita economica e al benessere del passato. Il Pil dell'Italia era cresciuto complessivamente del 45,2% in termini reali nel decennio degli anni Settanta, del 26,9% negli anni Ottanta, del 17,3% negli anni Novanta, poi del 3,2% nel primo decennio del nuovo millennio e dello 0,9% nel decennio pre-pandemia, prima di crollare dell'8,9% nel 2020. Negli ultimi trent'anni di globalizzazione, tra il 1990 e oggi, l'Italia è l'unico Paese Ocse in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite: -2,9% in termini reali rispetto al +276,3% della Lituania, il primo Paese in graduatoria, al +33,7% in Germania e al +31,1% in Francia. L'82,3% degli italiani pensa di meritare di più nel lavoro e il 65,2% nella propria vita in generale. Il 69,6% si dichiara molto inquieto pensando al futuro, e il dato sale al 70,8% tra i giovani.

Infine, gli italiani ottimisti per il post pandemia sono pochi: solo il 15,2% ritiene che dopo la pandemia la propria situazione economica sarà migliore. Per la maggioranza (il 56,4%) resterà uguale e per un consistente 28,4% peggiorerà. Nell'ultimo decennio (2010-2020) il conto patrimoniale degli italiani si è ridotto del 5,3% in termini reali, come esito della caduta del valore dei beni reali (-17,0%), non compensata dalla crescita delle attività finanziarie (+16,2%). Gli ultimi dieci anni - spiega il Censis - segnano quindi una netta discontinuità rispetto al passato: si è interrotta la corsa verso l'alto delle attività reali che proseguiva spedita dagli anni '80.

La riduzione del patrimonio, esito della diminuzione del reddito lordo delle famiglie (-3,8% in termini reali nel decennio), mostra come si sia indebolita la capacità degli italiani di formare nuova ricchezza. Il lavoro dipendente è ancora caratterizzato da divari retributivi.

Il Rapporto ha preso in esame le retribuzioni degli oltre 15 milioni di lavoratori pubblici presenti negli archivi Inps da cui è emerso che una donna percepisce una retribuzione inferiore di 28 euro se confrontata con quella di un uomo. La retribuzione per una donna è inferiore del 18% rispetto alla media, mentre quella di un uomo è del 12% superiore. In base all'età dei lavoratori emerge una differenza di 45 euro tra un under 30 anni e un over 54. La penalizzazione dei giovani è di 30 punti percentuali rispetto alla media e di 48 punti rispetto ai lavoratori con più di 54 anni. Ampia è anche la distanza tra la paga giornaliera di chi ha un contratto a tempo indeterminato rispetto al tempo determinato e fra full time e part time. La giornata lavorativa del tempo indeterminato vale 97 euro contro i 65 del lavoro a termine, la retribuzione giornaliera del tempo pieno vale più di due volte quella del tempo parziale. Più in generale, evidenzia il Censis, «bassi tassi di occupazione, alti tassi di disoccupazione (soprattutto dei giovani) e ampie sacche di inattività (soprattutto femminile) sono le caratteristiche di un mercato del lavoro sempre più sclerotizzato». Per il 30,2% degli italiani al primo posto tra i fattori che frenano l'inserimento professionale ci sono le retribuzioni disincentivanti che i datori di lavoro (Stato compreso) offrono in cambio della prestazione lavorativa anche nei confronti di chi dispone di competenze e capacità adeguate. Al secondo posto, per il 29,9% c'è la persistenza di condizioni inadeguate per avviare un'attività in proprio, a partire dal peso dei troppi adempimenti burocratici, fino al carico fiscale che grava sull'attività d'impresa.

Il quadro emerso fa dire al Censis che non è più possibile andare avanti per “rattoppi”: «La società italiana è mutata e ha attraversato crisi ed emergenze con il continuo intrecciarsi di realtà emerse e sommerse, quotidiane e di lungo periodo. Oggi questo non basta più», spiega il Rapporto, «l'adattamento continuato non regge più, il nostro complessivo sistema istituzionale deve ripensare se stesso. Siamo di fronte a una società che potrà riprendersi più per progetto che per spontanea evoluzione». Anche alla luce dei cambiamenti posti dalla pandemia, «è il tempo di un cronoprogramma serio», di «riforme strutturali» e «dell'intervento pubblico» con «scelte coraggiose»

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