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Patrick, il mio “fiore” più bello

di Chiara Favotti
da www.cittànuova.it
@Riproduzione Riservata del 28 agosto 2019
Un legame più forte del destino segnato dalla droga e dalla povertà, nato dall’esperienza del centro di accoglienza promosso dal Movimento dei Focolari nello Stato del Parà in Brasile.-  

Franci Sodre, direttrice per vent’anni della Scuola “Fiore” e del Centro accoglienza della Mariapoli Gloria, comunità dei focolari situata a Benevides, cittadina a 30 km da Belém, capitale dello Stato del Pará (Brasile), è di passaggio in Italia per pochi giorni di vacanza.

Da alcuni mesi è la coordinatrice per il Comune della Segreteria per l’educazione e istruzione. Quello di Benevides, 60 mila abitanti, è considerato – mi spiega – un municipio “povero”, con molti quartieri ancora privi di servizi socio-sanitari, dove spesso i giovani e finanche i bambini sono attirati dalle continue offerte della delinquenza, dalla droga e dalla prostituzione.

Nel 2017, la Scuola “Fiore”, dove si insegnano non solo le materie curriculari, ma anche i valori della pace, del rispetto, della tolleranza e dell’accoglienza verso tutti, ha ricevuto un riconoscimento nazionale per le sue basi pedagogiche; e il Comune di Benevides, nella graduatoria che misura la qualità dell’istituzione scolastica nello Stato di Pará, è salito dal 44esimo al primo posto. La rilevazione, che si compie ogni due anni in tutto il Brasile, si basa su parametri come la percentuale di bocciature, la competenza nella lingua portoghese e in matematica e il tasso di evasione scolastica, «che ora è pari a zero» mi spiega con giustificato orgoglio.

Quando racconta dei “suoi” studenti (attualmente in qualità di coordinatrice della Segreteria segue più di 9.600 studenti di 35 scuole), gli occhi scuri ed espressivi della pedagogista brasiliana si velano di commozione. Soprattutto quando parla di Patrick, forse il suo “fiore” più bello. «Sedici anni fa alle porte del nostro centro si presentò una famiglia in cerca di aiuto: un uomo con i suoi due figli, Patrick, di sei anni, e una bambina di tre. La mamma, molto più giovane del marito, li aveva lasciati.

Non avevano né una casa, né un lavoro. La cittadella li accolse, offrendo al padre un lavoro come portinaio. Patrick trascorreva nella scuola le sue giornate, seguito dalla sorellina, anche se non vi era ancora, all’epoca, un asilo per bambini sotto i sei anni. Gli insegnanti provvedevano a tutto: vestiti, cibo, giocattoli. A 12 anni, finito il ciclo elementare, Patrick si è iscritto in una scuola media, fuori dalla mariapoli. Lo si vedeva solo occasionalmente ed era sempre più magro: a 12 anni era già stato irretito nelle maglie della droga. Un giorno, quando aveva già 16 anni, lo trovammo nella scuola intento a rubare della frutta da rivendere.

Una domenica mattina la polizia ce lo portò. Patrick, che ormai era solo pelle e ossa, piangeva. Gli chiesi: piangi perché hai paura o perché vuoi cambiare vita? Lui non riusciva a sostenere il mio sguardo, ma mi sussurrò che voleva essere aiutato. Prendemmo subito contatto con la più vicina Fazenda de Esperança, a circa tre ore di macchina da Benevides».

La Fazenda è una delle tante comunità, oggi diffuse in tutto il mondo, nate in Brasile per aiutare i ragazzi vittime della droga a trovare una via d’uscita attraverso la riscoperta di valori sani, il lavoro e la preghiera. «Serviva il loro permesso, in quanto Patrick era minorenne, e naturalmente il consenso del ragazzo.

Cominciammo una trafila di esami, visite mediche, ma per entrare doveva essere “pulito” da almeno un giorno. Lo ospitammo a dormire in una casetta del centro, sotto l’occhio vigile di un nostro operatore, mentre gli preparavamo il bagaglio, cucendo su tutti i suoi vestiti l’etichetta col nome. Prima di partire, preparai per lui un cartellone con alcune sue foto da bambino insieme alla sorella, e delle parole di motivazione, per dirgli che era possibile cambiare vitae che avrebbe potuto sempre contare su di noi. Ci ha raccontato, dopo, che quelle parole, appese sul muro della sua cameretta alla Fazenda, gli sono state utili nei momenti più duri.

Dopo un mese siamo andati a trovarlo. Era già cambiato, più robusto, muscoloso, ma soprattutto sereno. Ogni prima domenica del mese, nella giornata dedicata alle famiglie, andavamo da lui io, il papà la sorella, anche se a seguirlo eravamo tutto un gruppo di persone. È rimasto lì un anno, un periodo intenso, con alti e bassi.

Tornato a casa, Patrick era profondamente cambiato. Ma la società intorno no. Anche in famiglia le cose non erano facili. Non aveva un lavoro ed era forte il rischio di tornare nel giro di prima. In quel periodo una coppia di amici mi ha chiesto un aiuto per compiere un viaggio a Roma. Lui è imprenditore di un ditta che si occupa di lavorazione di pollame.

Riconoscenti per l’accoglienza ricevuta in Italia da una mia amica, Federica, al loro ritorno hanno offerto un impiego a Patrick. Il suo primo lavoro, spennare polli, gli ha consentito di prendere in affitto un piccolo appartamento. Ora Patrick ha vent’anni e tanti sogni belli, puliti. Proprio in questi giorni sta valutando un’offerta di lavoro nel sud del Brasile. Quando mi ha chiesto il permesso di andarci, gli ho risposto: ora che hai messo le ali, puoi spiccare il volo».

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