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Nella pandemia i veri supereroi sono stati i portatori di disabilità

di Roberto Ponti
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 03 aprile 2021

A colloquio con Francesco Chiodaroli, direttore della Fondazione Danelli e presidente della commissione disabili Uneba:«Con il Covid abbiamo affrontato difficoltà enormi, ma sono i più fragili a darci la forza di lottare per i nostri diritti: dalle visite ai parenti alla priorità dei vaccini».


Da piccolo ascoltava, nei racconti di sua mamma, prima assistente sociale di Lodi, le battaglie di civiltà che hanno portato a riconoscere diritti fondamentali. Dalla persona con disabilità come un pericoloso per sé e per gli altri, e pertanto da rinchiudere in un recinto, si è arrivati alla necessità di garantire qualità di vita ed inclusione. Oggi Francesco Chiodaroli, 49 anni, scout da sempre e economista di formazione, sposato e padre di due figli, dirige la Fondazione Stefano e Angela Danelli ed è presidente della commissione disabili di Uneba Lombardia, un'organizzazione del settore sociosanitario, assistenziale ed educativo sviluppata su impulso dell’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, che continuò a sostenerla anche da Papa.

«Ci abbiamo messo duemila anni ad arrivare alla definizione di persona con disabilità, partendo da handicappati, passando da diversamente abili, fino ad arrivare, finalmente, a riconoscere lo status di appartenenza all’umanità, ovvero quello di persone. A livello di approccio culturale è un cambiamento copernicano, anche se ancora da realizzare in massima parte a livello pratico. Un altro grande passo è stato passare dall’assistenza all’inclusione. Ne manca ancora uno, forse il più importante, il riconoscimento del valore. Smettiamo di chiedere cosa noi persone in salute possiamo fare per le persone con fragilità e iniziamo a chiederci cosa possono fare le persone con fragilità per noi».

Il Covid ha provocato anche in questo ambito discontinuità e rischio di regresso. I centri dove la componente sanitaria è un prerequisito da garantire, ma non il fine, tornano ad essere luoghi di assistenza. «Per diversi mesi, soprattutto all’inizio della pandemia, il convertirsi in reparti per infettivi è stato durissimo – ricorda Francesco Chiodaroli – soprattutto a livello psicologico, per tutti gli operatori. Poi sono state ancora una volta le persone con disabilità ad insegnarci la resilienza, la capacità di vivere con serenità anche in condizioni avverse. Ho un ricordo della scorsa estate, la prima nella storia del nostro centro nella quale non siamo riusciti ad organizzare un periodo di vacanza marina.

La mattina dopo Ferragosto, quando eravamo soliti partire per il mare, ero in uno stato psicologico tra la rabbia e la depressione. Sono uscito nel cortile e ho visto la serenità, i sorrisi e anche la gioia delle persone con disabilità; mi sono seduto e mi sono regalato qualche ora con loro. Mi sono alzato e stavo bene». L'esperienza di Francesco Chiodaroli è emblematica dell'impegno cristiano. Nel resistere all’istinto di dominio, per passare al riconoscimento della fragilità, poiché si dipende gli uni dagli altri, si riconosce la logica difede, l'essere fratelli, figli di un unico Padre. «Nulla possono i servizi e le istituzioni, senza il convinto sostegno delle comunità delle quali siamo espressione – sottolinea – senza frapporre divisioni, perché la comunità è una e le persone fragili saranno di volta in volta i nostri genitori e i nostri figli, i nostri mariti e le nostre mogli».

Oltre le difficoltà contingenti della pandemia, la disabilità deve fare i conti con il disinvestimento nel sociale e nel socio-sanitario, a favore del servizio sanitario ospedaliero, sempre più in affanno a garantire il welfare universale. «Se si vuole mantenere questa situazione, sono necessarie grande integrazione e l'aumento della spesa nel sociale e socio sanitario, per diminuire, con la prevenzione e percorsi di vita appropriati, lecosiddette "acuzie". Un pensiero particolare va poi indirizzato alle famiglie. Tutti siamo stati in difficoltà, tutti abbiamo provato quanto i legami, anche quelli più forti, siano stati messi a dura prova durante le quarantene ed i lockdown.

Provate a pensare alle mamme ed ai papà che hanno affrontato questa prova con i figli con fragilità, in particolar modo quelli con disturbi comportamentali. Come Uneba abbiamo promosso ed appoggiato diverse campagne di sensibilizzazione: per autorizzare brevi uscite dei ragazzi con problemi comportamentali, nonostante i rischi da ponderare con i genitori; per tenere aperti i servizi che non potevano essere solo gli enti gestori sociali e socio sanitari a dover garantire; per le deroghe sulle visite nelle residenze, per quella di civiltà che la vaccinazione prioritaria tenesse conto delle fragilità e non solo delle età. Abbiamo vinto una battaglia di principio davvero importante, per la quale ringraziamo tutti quelli che hanno consentito il risultato».

Dopo il Venerdì Santo della pandemia, si attende il mattino di Pasqua, quando la situazione migliorerà. Cosa ci aspetterà? «Spero che le nostre coscienze non rimuovano quanto vissuto. Questa pandemia ci fa fare memoria che, nonostante tutti i nostri progressi, tutte le nostre tecnologie, siamo e rimaniamo persone fragili. Fragili nasciamo, perché da bambini non siamo autonomi, e fragili, se avremo il dono della salute, ridiventeremo da anziani. Fragili si può anche rimanere tutta la vita per disabilità congenite o acquisite, e fragili si può essere per condizioni diverse dal non essere sani, ma per esempio per condizioni di estrema povertà.

In questa pandemia ci siamo tutti ricordati di questa condizione, tutti abbiamo avuto conoscenti, parenti, amici, famigliari che hanno vissuto il calvario della malattia, tutti abbiamo perso le nostre autonomie, le nostre sicurezze, le nostre libertà. Tutti siamo diventati dipendenti gli uni dagli altri, perché nessuno si salva da solo. E in questa dipendenza abbiamo intravisto il vero valore della comunità, della solidarietà. Tutti abbiamo percepito lo stesso futuro fragile, perché legato a mutamenti climatici ed ad un ambiente malato per lo sfruttamento, dove le pandemie potrebbero tornare ad avere una frequenza non controllata.

Ecco allora una importante indicazione che lega il futuro alla memoria: teniamo viva l’esperienza della fragilità. frequentiamo le persone fragili e impariamo da loro il valore dei legami, della solidarietà, della dipendenza gli uni dagli altri. Ricordiamoci che il prendersi cura delle persone fragili non è un compito delle istituzioni e degli enti socio sanitari e sociali, ma della comunità tutta, che diventerà più ricca, più umana, è compito di ognuno di noi».

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