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Mamme, lasciamoci aiutare

di Serena Scotto
Un figlio in arrivo pone ogni donna di fronte a situazioni ed emozioni sempre diverse, e per questo sia durante l’attesa che dopo la nascita è molto importante che ciascuna senta la libertà di rivolgersi a chi possa essere di supporto in questa fase tanto delicata di crescita personale.-

Ludovica è all’ottavo mese di gravidanza, parla con la sua Camilla già dal giorno dopo aver fatto il test, aspettava questo momento da anni e non vede l’ora che si arrivi al termine.

Giulia, invece, racconta di tutt’altra esperienza. La gravidanza che si sta concludendo anche per lei, non era prevista e prima di mettere su famiglia avrebbe voluto almeno completare gli studi. Non riesce ancora a sentire un rapporto con Giacomo e, seppur adesso sia curiosa di conoscerlo, ha paura di come cambierà la sua vita.

Matilde aspetta il secondo figlio, racconta di una gravidanza diversa dalla precedente, molto intensa e vissuta con più energia. Valentina non voleva avere figli, ed ora è in attesa di due gemelli.

Carla aspetta Martina e si interroga su che mamma sarà considerando che ha sempre vissuto senza genitori.

Infine, c’è Cinzia, che dopo anni in cui con il marito non riusciva ad avere figli, ora è incinta di Matteo. Entusiasmo e spavento convivono in lei in un vortice di emozioni…

Nei corsi di accompagnamento alla nascita si incontrano tante donne che raccontano storie, sentimenti ed emozioni molto diverse. Tutte sono accomunate però dall’essere mamme e dall’aspettare il proprio bambino.

In questo periodo di attesa gli equilibri di ognuna si modificano e le aspettative crescono. Già dal primo momento in cui si scopre di essere incinta tutto appare cambiare e si comincia da subito a strutturare la propria idea di maternità.

 

Alcune domande lentamente si fanno spazio: Cosa significa per me essere mamma? Cosa farò di uguale e di diverso da mia madre? Cosa si aspettano gli altri che io faccia? Daniel Stern, psichiatra e psicoanalista di fama mondiale, parlava della “costellazione materna” (1995) intesa come una vera e propria organizzazione psicologica diversa che comincia a formarsi nelle mamme a partire già dai primi mesi di gravidanza. Come se in qualche modo anche la psiche stessa, oltre che il corpo, si preparasse ad accogliere il bambino in arrivo.

All’interno di questa cornice, la maternità può essere accompagnata da grandi aspettative sia personali che sociali, di difficile realizzazione soprattutto dopo la nascita del bambino. Le mamme sono spesso considerate l’emblema della felicità, della realizzazione e della gioia. Spesso è così, ma alcune volte può non esserlo. All’interno della stessa persona, infatti, possono coesistere emozioni ambivalenti e contrastanti tra loro.

Da una parte si può esplodere di gioia per l’arrivo del nuovo nato, dall’altra possono esserci emozioni cariche di angoscia, tristezza e preoccupazione. Sarò in grado di crescere mio figlio? Cosa cambierà nella mia vita? Riuscirò a conciliare lavoro e maternità? Inoltre, anche da un punto di vista quotidiano, può cominciare ad essere avvertita una certa pesantezza: le giornate trascorse insieme al proprio bambino dopo la nascita possono risultare interminabili e il tutto può essere accompagnato da un grande senso di solitudine. Unito a questo, può esserci la paura e a volte anche la vergogna di chiedere aiuto. Come se ci fosse qualcosa di poco accettabile nel mostrarsi infelici dinanzi ad un evento così meraviglioso come la nascita di un figlio.

In questo contesto bisogna tener a mente quanto ciascuno di noi sia diverso dagli altri. La gravidanza e i primi mesi del bambino sono vissuti da ciascuna mamma in modo profondamente nuovo e per questo unico. Le emozioni provate vanno tutte riconosciute ed accolte con benevolenza e amore, senza giudizio. Non si è meno mamme se si provano dei momenti di sconforto. Non si è meno mamme se a volte si ha bisogno di staccare per prendere un caffè con un’amica o anche semplicemente per dormire qualche ora in più. Non si è meno capaci di amare il proprio figlio se si mostra la propria fragilità. Ed è in questo contesto che si può e si deve chiedere aiuto: al partner, alla famiglia d’origine, se si ha la fortuna di averla accanto, agli amici, o anche a strutture più organizzate come ludoteche, asili o servizi di psicologia specialistica presenti sul territorio.

Anche questa può essere un’occasione personale di crescita e un primo grande insegnamento che viene dato al proprio bambino: ero in difficoltà e sono stata in grado di farmi aiutare, lasciando spazio ed accogliendo anche le mie fragilità. Quale insegnamento può essere più prezioso per un figlio?

da www.cittànuova.it
@Riproduzione Riservata del 09 febbraio 2019

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