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L’iperconnettività ai tempi della pandemia

di Alba Cobos Medina
da www.cittànuova.it
@Riproduzione Riservata del 23 ottobre 2021

Nuovi fenomeni come l'infodemia o il droomscrolling, hanno avuto un impatto diretto sulla salute mentale dei cittadini. Purtroppo anche se i social implicano la connettività, non portano necessariamente all'interazione comunicativa.-

iperconnettività

I social e i media hanno giocato un ruolo fondamentale nel modo in cui la popolazione ha vissuto la crisi di Covid-19. L’iperconnettività, la sovrainformazione e la diffusione di notizie false – fake news – e bufale hanno portato all’emergere di nuovi fenomeni come l’infodemia o il droomscrolling, che hanno avuto un impatto diretto sulla salute mentale dei cittadini.

Come sottolineano gli autori Ribot Reyes, Chang Paredes e González Castillo, il Covid-19 ha portato con sé un aumento dell’ansia, della paura e di sintomi come disperazione, cambiamenti dell’appetito o disturbi del sonno. Queste risposte emotive derivano dalla preoccupazione per la propria salute o per quella delle persone che si conoscono, dall’instabilità del lavoro e dalla conseguente incertezza economica, dal non sapere quanto durerà la situazione, dalla solitudine di fronte all’isolamento, o dalla noia e la frustrazione per la mancanza delle normali abitudini.

Secondo i ricercatori, questo è legato alla «costante esposizione a notizie rischiose» e all’approfondimento di «sentimenti di vittimizzazione, disagio e vulnerabilità personale». Molti media, e soprattutto i social, favoriscono la «percezione che possiamo essere le prossime vittime, in questo caso, del virus». In questo modo, la paura, una risposta naturale a una situazione con queste caratteristiche, «viene venduta e intensificata dalle news, dai social e dal cinema», generando un’«ansia sociale ed economica» che favorisce «il caos, la malattia e la morte dei più vulnerabili».

Da parte sua, López de Veneroni sottolinea che, mentre in passato la diffidenza, i pregiudizi e l’ignoranza sui temi della salute pubblica potevano essere attribuiti alla mancanza di informazioni o alla difficoltà di accedervi, oggi è vero il contrario: c’è un eccesso di contenuto informativo che circola attraverso numerosi canali e non sempre è di alta qualità. Inoltre, ci sono numerosi messaggi intenzionalmente progettati «per distorcere e confondere, il prodotto di interessi politici, giornalistici o commerciali (fake news, ecc.)». Così, lungi dal contribuire a una migliore comprensione della pandemia e di come contrastarla, la quantità e il tipo di informazioni che sono circolate sul virus hanno generato «risposte e disposizioni sociali perniciose».

È in questo contesto che appare il termine infodemia, che fa riferimento a «una sovrabbondanza di informazioni, online o in altri format» che «include tentativi deliberati di diffondere disinformazione per minare la risposta di salute pubblica e promuovere altri interessi di particolari gruppi o individui». Secondo vari organismi internazionali, questo fenomeno «danneggia la salute fisica e mentale delle persone, aumenta la stigmatizzazione, minaccia i preziosi successi raggiunti in termini di salute e incoraggia l’inosservanza delle misure di salute pubblica, riducendo la loro efficacia e mettendo in pericolo la capacità dei Paesi di contenere la pandemia». Inoltre, polarizza «il dibattito pubblico sulle questioni legate al Covid-19, alimenta i discorsi di odio, aumenta il rischio di conflitti, violenze e violazioni dei diritti umani, e minaccia le prospettive a lungo termine per il progresso della democrazia, dei diritti umani e della coesione sociale».

Ma la diffusione di queste informazioni non sarebbe stata tale senza i social, il cui numero di utenti attivi è aumentato del 13,2% a livello globale nell’ultimo anno. Durante la pandemia, questi strumenti hanno permesso di mantenere la comunicazione con i famigliari e gli amici, promuovere le iniziative dei cittadini e accompagnare le persone che vivono sole. Tuttavia, il loro uso inadeguato ha avuto anche effetti negativi. Uno di essi, coniato durante questa crisi, è il droomscrolling: la dipendenza dal consumo di informazioni negative, in questo caso, sulla pandemia. Questo implica un bisogno di essere continuamente informati anche quando ciò genera una sensazione di angoscia per i molti eventi negativi che si verificano intorno a noi.

Nelle parole di López de Veneroni, anche se i social implicano la connettività, non portano necessariamente all’interazione comunicativa: «Possiamo essere connessi a vari siti e tuttavia rimanere profondamente isolati, socialmente disgiunti». Attraverso di loro possiamo accedere a grandi quantità di informazioni in volumi travolgenti, ma questo non ci fa necessariamente sentire più accompagnati.

Per queste ragioni, le istituzioni stanno facendo grandi sforzi per promuovere una comunicazione e un uso responsabile dei social media. Tra le altre cose, si raccomanda la diffusione di informazioni accurate e basate sulla scienza a tutta la comunità e specialmente ai più a rischio. Inoltre, si esorta a combattere la disinformazione e le false informazioni, rispettando la libertà di espressione. Si chiede al pubblico di essere responsabile nel condividere le informazioni e verificarne la fonte, e di usare i social media in modo misurato e consapevole.

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