logo sito cav

CAV - Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese ODV

Via Mentana n. 43
27058 Voghera (PV)
Tel: 349 4026282
email: cavvoghera@virgilio.it
Visualizzazioni:
53

LA BOCCIATURA, UN'OCCASIONE DI CRESCITA

di Alberto Pellai, Psicoterapeuta

da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 12 luglio 2022

 In Veneto una coppia di genitori ha messo un appello sui social per trovare "un lavoro di fatica" per il figlio respinto, anche non retribuito. Ma come si fa davvero a insegnare la fatica a un figlio, a dargli incarichi e responsabilità? Risponde lo psicoterapeuta Alberto Pellai.-

Capita spesso che a fine anno scolastico un genitore, di fronte alla bocciatura del figlio, si ponga la domanda “E adesso che cosa serve fare?”. Non tutte le bocciature sono identiche. Alcune sono inattese e gettano la famiglia nello sconcerto. Altre invece sono più che attese. Sono bocciature costruite giorno dopo giorno da un figlio che non ha voluto (e il verbo non è di circostanza) fare nulla per guadagnarsi la promozione. I genitori hanno assistito impotenti alla costruzione dell’esito avverso, certificato dalla dichiarazione di non ammissione alla classe successiva del percorso scolastico. “Il ragazzo non ha fatto nulla, non si è applicato, non ha aperto libro, ha passato tutti i pomeriggi con i videogiochi”.

Le frasi con cui il genitore commenta la bocciatura di un figlio lo connotano come un “lavativo” che non è riuscito in alcun modo a costruire alcun equilibrio tra la dimensione del dovere e la dimensione del piacere. A questo punto il tempo dell’estate deve essere un tempo di riparazione. Bisogna “riprogrammare” le priorità di un figlio che nel precedente anno scolastico non ha saputo mettere in gioco responsabilità e competenze che sarebbero state necessarie per assolvere ai doveri scolastici. Soprattutto bisogna aiutare un figlio a comprendere che la vita è anche fatica, dovere e sacrificio. Più facile a dirsi che a farsi.

Come si fa a insegnare la fatica a un figlio, a dargli incarichi e responsabilità? Molti genitori sembrano disarmati di fronte a questa prospettiva. Lo stesso menefreghismo con cui un figlio non si è occupato della sua scuola, viene dallo stesso figlio usato per schivare le richieste di impegno e di aiuto che i genitori propongono per essere aiutati a casa. “Metti la camera a posto, occupati della raccolta differenziata dei rifiuti, taglia l’erba del giardino, prepara la cena”. La liste degli impegni da assolvere può essere lunga un chilometro, ma in molte famiglie non serve a nulla: il lavativo tratta i doveri di casa come tratta i doveri di scuola. Sembra essere questa la situazione che ha portato due genitori di un 16enne respinto in Veneto a lanciare, attraverso i social, un appello ad un potenziale datore di lavoro: “prendete nostro figlio alle vostre dipendenze, insegnategli la fatica anche in assenza di retribuzione”. Sembra essere una richiesta che sottende il bisogno di una terapia d’urto: nostro figlio non sa cos’è la fatica, qualcuno gliela insegni.

Però c’è qualcosa che non funziona in questa procedura riabilitativa. Insegnare la fatica a un minorenne non può essere il compito di un datore di lavoro. Non si manda un figlio a lavorare “gratis” presso uno sconosciuto, per dargli una lezione. Quello che ne deriverebbe rischia di causare una demotivazione ancora maggiore. Perché trasforma il lavoro in fatica e sfruttamento. Un figlio deve imparare la responsabilità all’interno di un’esperienza di lavoro, deve averne una retribuzione giusta e il genitore può eventualmente esigere di “mettere via” il compenso guadagnato dal 16enne per pagare tasse scolastiche, libri e le ripetizioni che si renderanno necessarie nel momento in cui si trovasse ad andare male a scuola anche nel successivo anno scolastico. Rendere un figlio responsabile non vuol dire sottoporlo a mortificazione o sfruttamento. Significa metterlo in condizioni di riconoscere che la vita ha delle regole e che l’adolescenza è il tempo in cui tali regole devono essere imparate sia sul piano teorico che sul piano pratico.

Chiaramente, questi genitori hanno un merito nel loro progetto riabilitativo: non hanno fornito al figlio un alibi per la sua bocciatura. Per esempio, non hanno incolpato la scuola perchè è stata troppo severa. Auguriamo a questi genitori che possano trovare una pizzeria che permetta al ragazzo di svolgere un lavoro stagionale, impegnativo e correttamente retribuito. Auguriamo a questo figlio di poter avere una sera tra i suoi clienti i suoi genitori da servire, mostrando loro che quando il gioco si fa duro, “lui è un duro che comincia a giocare”. Più in generale auguriamo a tutti i nostri figli e a noi genitori di trasformare una sconfitta o un errore in un’occasione di crescita e di reale apprendimento.

Top