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GIUSTIZIA MINORILE, CHE COS'È E COME FUNZIONA LA MESSA ALLA PROVA

di Elisa Chiari

La "messa alla prova" è un istituto che sospende il processo dando al ragazzo che abbia commesso un reato una seconda possibilità. Vediamo che cos'è e come funziona esattamente.-

L’istituto della “messa alla prova” nel diritto minorile italiano esiste da una trentina d’anni (di recente è stato esteso agli adulti con alcune differenze e maggiori restrizioni): attua infatti i principi introdotti con la riforma del procedimento penale minorile del 1989, secondo cui «il processo penale deve avere come suo obiettivo quello di realizzare una ripresa dell’itinerario educativo del minore, che il compimento dell’atto criminale dimostra essersi interrotto o avere deviato, ma ha anche previsto che lo stesso processo si articoli in modo tale da potere contribuire allo svolgimento di questo itinerario, avendo esso stesso valenze educative», nel rispetto dell’articolo 27 della Costituzione, in cui si ricorda che la pena deve “tendere alla rieducazione del condannato”, tensione che si ritiene debba essere ancor più cogente quando a commettere un reato è una persona in formazione al di sotto della minore età.
Occorre capire bene che la messa alla prova non è ancora una penama una prova che discende dalla probation anglosassone ed è un rinvio della pronuncia del giudice, cioè della sentenza, ma non è una rinuncia a priori a punire. Non giunge infatti alla fine del processo ma prima che si arrivi alla sentenza di condanna: la si dispone nel corso del processo per provare a dare, al ragazzo che ha commesso un reato, una possibilità di ravvedimento e di recupero, se il giudice ha gli elementi per ritenere che si possa andare ragionevolmente verso una probabile rieducazione e un positivo reinserimento sociale. È una prova e come tale è soggetta a una successiva verifica a posteriori.
“Il collegio dei giudici”, si legge in un documento informativo diffuso dal sito del Tribunale per minorenni di Milano, “che sulla base degli atti processuali disponibili si sia formato un convincimento in merito alla responsabilità penale del minore imputato, ha facoltà di disporre la sospensione del processo, sentite le parti, quando ritiene di dovere valutare la personalità del minorenne all’esito della messa alla prova”.
Questo significa che la pretesa punitiva dello Stato in quel momento non decade con l'ordinanza che decide la messa alla prova, ma viene sospesa assegnando al minore una serie di prescrizioni tese alla rieducazione, per poi valutare l’esito della prova: alla fine del periodo prestabilito il giudice valuta i risultati: se sono positivi il reato si estingue e lo Stato rinuncia alla pretesa punitiva se non sono positivi il processo riparte e fa il suo corso (le statistiche dicono che la percentuale di fallimento in corsa è del 20% circa).
A differenza di altri ordinamenti in cui vigono istituti simili, in Italia la messa alla prova è possibile per ogni tipo di reato compresi i più gravi come l’omicidio: la sospensione ha una durata massima di tre anni per i reati più gravi (puniti dal codice con la pena della reclusione nel massimo non inferiore ai 12 anni); un anno negli altri casi. Lo scopo dell’istituto, che non ha una logica assistenziale o pedagogica ma è di natura penale-rieducativa, è lavorare per abbattere il tasso di recidiva, attraverso un percorso, che dovrebbe essere serio, mirato e adeguatamente spiegato dal giudice alla persone coinvolte, comprese le vittime del reato e i loro familiari – che spesso avvertono la messa alla prova come una resa dello Stato -.
La messa alla prova si basa infatti sulla scommessa che, laddove ve ne siano le condizioni, un singolo atto anche molto grave non sia di per sé sempre un deterministico avviamento verso una vita deviante ma possa anche, con un adeguato supporto e con un serio lavoro, portare alla presa di coscienza del male commesso e alla determinazione a non ripeterlo. Stando ai dati diffusi in La recidiva nei percorsi penali dei minori autori di reato Quaderni dell’Osservatorio sulla devianza minorile in Europa, Gangemi Editore, 2013, che rende conto di uno studio condotto dal Dipartimento per la Giustizia Minorile in collaborazione con l’Università degli Studi di Perugia su un campione di ragazzi nati nel 1987 ed entrati nel circuito penale, la recidiva nei casi di messa alla prova, a distanza di sei anni, risulta del 10% inferiore rispetto a quella riscontrata in minorenni che hanno scontato la pena in percorsi tradizionali.
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 01 febbraio 2019

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