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Fedez, Tortu e il potere dei nonni: «I nostri successi sono merito loro»

di Gaia Piccardi
da www.corriere.it
@Riproduzione Riservata del 25 agosto 2022

«Torno a fare il nonno, arrivederci». Nel commiato di Mario Draghi alle istituzioni c’era l’orgoglio d’appartenenza al più nobile mestiere non corporativo nel Paese in cui gli adulti diventano grandi senza mai abdicare al ruolo di nipotiL’Italia è una Repubblica democratica fondata sui nonni, l’allungamento della vita li rende centrali nella geografia degli affetti di molti ventenni e trentenni, inclusi i protagonisti dello sport e le stelle dello spettacolo: all’ultimo censimento (luglio 2021) i nonni d’Italia erano 12 milioni, celebrati ogni anno il 2 ottobre e portati alla ribalta dai campioni olimpici di Tokyo, dai politici, dai cantanti nei post su Instagram in un continuo circolo virtuoso di gratitudine e affetti, perché non c’è niente come la scuola non pedante dei genitori dei genitori, la loro capacità d’esempio e racconto, la generosità nel condividere luoghi e ricordi. «La correggo — dice Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, scrittore —, siamo una Repubblica fondata sulle età e sulle diversità, la nostra più grande ricchezza».

Lorenzo Musetti è l’ultima onda della nouvelle vague del tennis italiano emergente, ha 20 anni compiuti da poco e tutto il diritto di scegliersi punti di riferimento pop e contemporanei e invece, nella domenica in cui conquista il primo torneo importante della carriera, sulla terra di Amburgo contro un satanasso spagnolo di nome Carlos Alcaraz, sceglie di dedicare l’emozione che ricorderà per sempre a nonna Maria: «Nel suo scantinato, a Carrara, è cominciato tutto. C’era uno spazio ampio, dove da bambino non correvo il rischio di fare danni con racchetta e pallina. Il mio primo maestro è stato il muro di nonna: ho perso il conto delle ore che ho passato là sotto»-

L’Olimpiade di Tokyo

Dedicato ai nonni: il ritornello dell’Olimpiade più felice della nostra storia. Il 24 luglio 2021 un adolescente di Mesagne, Puglia, inaugurava una straordinaria mietitura di medaglie (saranno 40, alla fine, di cui 10 d’oro) abbattendo nella finale del taekwondo il tunisino Jendoubi: «Mio nonno è mancato un mese fa — si è commosso Vito Dell’Aquila, fresco di Inno —, mi mancheranno la sua pasta al forno, le polpette, la parmigiana e tutto ciò che di buono cucinava. Mi mancherà essere accompagnato a scuola, in palestra, dappertutto. Mi mancherà la sua mano pesante sulla mia spalla». A Tokyo festeggiavano americani, caraibici, africani, cinesi, giapponesi. Ma nessuno aveva i nostri nonni. «Un fenomeno tutto mediterraneo, moltissimo nostrano — spiega Crepet —, siamo un Paese per vecchi ed è un complimento. Possiamo insegnare l’arte di essere anziani: dentro la vecchiaia risiedono le nostre radici più profonde».

nonni made in Italy hanno punteggiato l’Olimpiade giapponese, quello di Vito si chiamava come lui, dietro il bronzo della judoka Odette Giuffrida c’è Renato, romano di Montesacro, il totem «che qualsiasi medaglia avessi riportato a Roma l’avrebbe colorata d’oro», il sollevatore di peso Mirko Zanni ha subito telefonato a nonna Emidia a Cordenons, lei l’ha ricambiato con il complimento più originale: «Sei il nipote più bello di tutta l’Olimpiade!». E dietro lo smagliante oro di Filippo Tortu, protagonista di un’ultima frazione turbo della staffetta 4x100, c’è anche un pizzico di merito di Titta, la mamma di mamma Paola che nella villetta con piscina in Brianza ha immolato pacchi di pastasciutta alla fame da lupo del nipote: «Ho cercato di essere molto presente nella sua vita — ha raccontato —, e di lasciare ricordi che spero non si cancellino». In vacanza in Sardegna, nella casa di Golfo Aranci, Titta è stata la prima ad immaginare il trionfo del quartetto Patta-Jacobs-Desalu-Tortu, a costo di sentirsi dare della pazza. «Sono ottimista di natura, ho pianto di gioia: mi ero raccomandata con Filippo che non mollasse fino alla fine». Accontentata anche a Monaco di Baviera la settimana scorsa, dove lo sprinter azzurro ha vinto il bronzo europeo nei 200 metri: Titta, fiera, ha risposto presente.

Eredità e riconoscenza

La pandemia si è accanita contro di loro, ma la rivincita è dietro ogni angolo. Marco Da Graca, palermitano classe 2002, 1,85 di muscoli ed esuberanza, è il bomberino uscito dal vivaio della Juve che ha inaugurato la stagione a Las Vegas: la prima rete stagionale dei bianconeri, contro il Chivas durante la tournée americana, l’ha segnata lui, il centravanti cresciuto con i poster di Messi, Neymar e Ronaldo in camera. «Un’esperienza indimenticabile, il sogno che tutti i bambini tengono chiuso nel cassetto. Ai miei amici, al ritorno, ho offerto da bere però la dedica va ai miei nonni, in particolare al nonno, con cui ho un legame speciale perché fin da piccolo mi ha accompagnato a tutti gli allenamenti e alle partite. Da quando ho sette anni, in casa o in trasferta, c’è sempre stato. Sono arrivato a Torino da Palermo ragazzino. I primi mesi non sono stati facili. Ho sempre sperato di arrivare in prima squadra per dare un senso a tutti i sacrifici che abbiamo fatto». Ed è a Peppino, 90 anni, uno dei 1700 abitanti di Narbolia (Oristano), che la palleggiatrice della Nazionale Alessia Orro ha portato l’oro sbranato dall’Italia del volley all’ultimo Europeo. Il video del loro tenerissimo incontro ha fatto il giro dei social: «Nonno è il mio specchio, la mia testardaggine è la sua

Quando cadiamo, ci rialziamo subito: dopo l’ictus l’ho trovato su una scala a raccogliere le olive...».

La magia dei gesti

Perché questa gratitudine trasversale tra generazioni che una volta non avevano niente da dirsi? La vita più lunga, certo, ma anche la magia del capirsi, in un esperanto infarcito di pazienza e tanti vocaboli lost in translation, tra nativi digitali e venerandi vegliardi. «È una lingua speciale che si basa sul raccontare — spiega Crepet —, tra il nipote smanettone e il nonno poco pratico di Tik Tok e app la comunicazione prende altre strade: il nonno è l’esperienza, più e meglio del padre. È una figura fondamentale: i nonni siamo noi, sono la cultura dispiegata sotto i nostri occhi; i genitori ci sono troppo vicini, i loro genitori hanno la giusta distanza per insegnarci senza farcelo pesare. I nonni, soprattutto quelli emigrati, sono la nostra storia, identità, complessità». Una volta i nonni partivano per la guerra e

non tornavano più: «I conflitti, le malattie e, spesso, le cattive condizioni di lavoro li hanno falcidiati».

Al centro del villaggio restavano le nonne, a volte con la loro ruvidezza (nessuno ha insegnato loro l’affettività) ma anche con un’impareggiabile magia dei gesti: «Guardare una donna anziana che fa l’uncinetto, che prepara la sfoglia o gli gnocchi non è banale per un bambino — sottolinea Crepet —. E magari il nonno ha un garage attrezzato che ti rimette a posto la bicicletta in un pomeriggio. Per non parlare della meraviglia dell’orto: generazioni unite da semina e raccolto. Ecco perché del linguaggio, benché ai ricordi di un nonno che ha visto giocare a San Siro l’Inter allenata da Herrera o il Milan di Rocco non si vorrebbe mai rinunciare, si può anche fare a meno».

La libertà nell’amore

I nonni non sono retorici né pedanti né autoritari. Sono come sono. Dispensano biscotti, paghette, consigli: la loro personalissima versione dell’amore. Spesso senza il ricatto emotivo (inconscio) del genitore che chiede qualcosa in cambio. Matteo Renzi ha dedicato un affettuosissimo post su Facebook alle due nonne: quella materna, Maria, ha 102 anni. «Cresciuta tra Napoli e Bari — ha scritto Renzi —, ha vissuto una vita piena di difficoltà ma anche gioia. Ha incontrato il grande amore nel romagnolo Achille, portato via troppo presto da un tumore. Si è ritrovata vedova con sei figli, il più piccolo di otto anni. Non ha mai mollato: sorretta da una fede straordinaria, è stata una roccia per la famiglia». La nonna di Fabio Rovazzi, scomparsa il 17 gennaio scorso alla viglia del 28° compleanno del cantante, è stata salutata dal nipote con un post pieno di sentimento: «Ti avevo comprato carte giganti perché avevi cominciato a vederci meno ma, nonostante questo, riuscivi sempre a battermi. Sono felice di pensare che hai finalmente raggiunto il nonno, che ti aveva lasciata sola da due anni. Immaginarvi di nuovo insieme mi rende l’uomo più felice del mondo». E la nonna di FedezLuciana Violini, ha addirittura un profilo Instagram con 187 mila follower. Il 29 marzo ha compiuto 91 anni, Fedez l’ha voluta sul red carpet di The Ferragnez, la serie su Prime, a lei non manca l’ironia: «Con la mia collega», ha scritto postando una foto con Chiara Ferragni.

Il valore del tempo

Certo i nonni bisogna saperli fare («Guai eccedere con il cuore tenero» avverte Crepet), oltre che arrivarci. «Oggi è interessante il ruolo di entrambi: l’allungamento della vita ha creato le pari opportunità dei nonni. E quando Draghi dice che torna a fare il nonno, non è una battuta: si chiama cura. Va in cerca di una terapia dell’anima: rispo ndere alle domande di un ragazzo, fare la Settimana Enigmistica insieme o una passeggiata in campagna con il nonno che ti spiega se l’uva sta maturando bene per la vendemmia, sono atti guaritivi. C’è un pensiero su di sé, nella frase di Draghi. C’è il desiderio esplicito di riprendersi il tempo, perché la condizione per fare il nonno è averne, di tempo. La cura miracolosa, ecco, è saper staccare e dedicarsi al futuro, cioè i nipoti. E pazienza se il nonno ci mette un po’ di più a fare le scale: poi ti ricompensa per averlo aspettato senza borbottare, raccontando aneddoti pazzeschi». La maieutica dell’affabulazione, la poesia dei gesti. «Come ti tiene in braccio un nonno o una nonna, nessuna tata. I nonni sono la cinghia di trasmissione della nostra comunità. Se hai la fortuna di restare un’ora sull’argine di un fiume a pescare con un nonno, quella non è un’ora. È una vita».

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