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Effetto Sophia

di Licia Paglione
da www.cittànuova.it
@Riproduzione Riservata del 08 agosto 2019
Un bilancio a 10 anni dalla fondazione dell’Istituto universitario di Loppiano. L’interculturalità: sfida per testa, cuore e mani degli studenti.-

«Se ce la fate!»: oltre 10 anni sono passati da queste parole di papa Ratzinger, segno di consapevolezza della sfida alta che si trovava di fronte il piccolo gruppo di docenti pronti a inaugurare nel 2008 l’Istituto Universitario Sophia (Ius) a Loppiano nel Valdarno fiorentino.
Non era infatti sicuro che un’università fondata sull’idea dell’integrazione dei saperi – aperta quindi all’interculturalità e attenta a coniugare testa, cuore e mani secondo una visione integrale dell’uomo e dell’umanità – avrebbe avuto successo, in termini formativi.
Da qui l’esigenza, dopo 10 anni, di verificare l’impatto della proposta formativa nella vita degli studenti che l’hanno percorsa. Una prima risposta arriva dallo studio, sostenuto anche dalla Cei, coordinato da Michele De Beni, pedagogista, e Bernhard Callebaut, sociologo. Costruito attraverso diversi approcci metodologici e punti di vista disciplinari – pedagogico, psicologico e sociologico –, lo studio mette in evidenza i risultati che la formazione offerta da Sophia ha finora prodotto. Risultati presentati in giugno nel convegno “Per una cultura dell’unità. I primi dieci anni dell’Istituto Universitario Sophia”.
Il profilo di esperienza formativa che ne emerge è quello di un percorso difficilmente collocabile entro gli schemi universitari tradizionali, in particolare per via dell’internazionalità e interdisciplinarietà che lo caratterizzano. Eppure il risultato non delude rispetto alle competenze disciplinari e trasversali e alle abilità hard e soft che permette di acquisire, tanto che a un anno dal termine degli studi il 96% dei primi 80 laureati era già inserito nel mondo del lavoro.

Gli studenti riconoscono che la formazione ricevuta ha toccato diverse dimensioni del loro essere persona, in particolare aprendoli a nuove prospettive disciplinari e culturali, permettendo di acquisire più ampie visioni del mondo e sostenendoli nel rafforzare competenze relazionali legate alla capacità empatica, di ascolto e di espressione. Oltre a ciò, hanno acquisito una maggior capacità di risolvere problemi e uno sguardo critico, maturando la consapevolezza del valore della persona, propria e altrui. Competenze fondamentali a livello lavorativo, in un contesto sociale complesso e pluralista come l’attuale, nel quale contano – come ricorda il pedagogista Edgard Morin – non solo “teste ben piene”, ma “teste ben fatte”, cioè capaci di collegare i problemi, di integrare le diversità e i vari piani dell’esistenza.

Ma è possibile arrivare a una testa così fatta, solo accettando le sfide dello Ius: in primis quella destabilizzante, e in parte dolorosa, di lasciarsi “rompere” la testa, ridimensionando le convinzioni derivanti dalla propria cultura, disciplina e idea di partenza, per ritrovarsi poi con una visione più “aperta” e “inclusiva”.
Dopo aver ascoltato i relatori che nel convegno di giugno hanno evidenziato i tratti caratteristici dei “sophiani”, resta un’immagine: quella di giovani, totalmente umani, in cui agisce un certo “effetto Sophia”, che li fa scoprire a se stessi come esseri ontologicamente relazionali, fatti di tante dimensioni che nel tempo hanno iniziato a dispiegarsi in estensione e in profondità.
Si potrebbe dire che Sophia, luogo di Sapienza che si fa cultura, è anche luogo di “coltura” di giovani semi, per un nuovo umanesimo integrale.

 

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