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«ECCO COS'HANNO IMPARATO LE FAMIGLIE DALLA PANDEMIA»

di Chiara Pelizzoni 
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del01 marzo 2021
ad un anno dal lockdown

A un anno dalle prime restrizioni causate dal Coronavirus Giampaolo Nicolais, docente di Psicologia dello Sviluppo, fa un bilancio di questa esperienza. «È stato per tutti un esperimento inconsapevole che, però, ha dato i suoi frutti».-

Giampaolo Nicolais, psicologo dello sviluppo e dell'educazione Giampaolo Nicolais, Psicologo dello sviluppo e dell'educazione
Il 9 marzo 2020 resta per tutti una data indimenticabile. Quel giorno l'allora premier Giuseppe Conte chi ha chiusi in casa pronunciando una frase che sapeva di sentenza «Purtroppo tempo non ce n’è». Sono iniziati così gli interminabili giorni del lockdown preludio alla pandemia: il Coronavirus era entrato nelle nostre vite sparigliandone le carte. A distanza di un anno, Giampaolo Nicolais, docente di Psicologia dello Sviluppo, direttore della scuola di specializzazione in Psicologia Clinica della Sapienza di Roma e autore di In un tempo abbastanza lungo. Le famiglie a lezione dalla pandemia (San Paolo), fa un bilancio di questa esperienza.
Professore che effetto ha fatto essere chiusi in casa?
«La chiusura ha amplificato una condizione che già conoscevamo: l'ansia e l'incertezza per il nostro futuro e quello dei nostri figli. All'improvviso ci siamo ritrovati confinati in uno scenario fisso. Tante generazioni costrette a stare insieme, a sopportarsi e sgomitare; è stata un'occasione per conoscere meglio noi stessi e i nostri figli, sviluppare una maggior capacità del controllo di sé, delle emozioni, dello stare da soli nel tempo vuoto».
La fase 2 ci ha chiamati a un'altra grande fatica: uscire dal limbo...
«Il lockdown in quanto “misura straordinaria” ci poneva tutti in una situazione adrenalinica. Ci siamo aggrappati alla frase #andràtuttobene che non poteva bastare per il tempo a venire. La fase 2, però, non era il ritorno alla normalità: ci chiedeva di uscire di casa con cautela e la consapevolezza che i nostri comportamenti sarebbero dovuti cambiare. Una vita “a scartamento ridotto”. In molti hanno faticato a riadattarsi, stavano bene “accucciati”. Era necessario dare fondo alle nostre risorse e uscire dal limbo, zona di comfort ma che limita la nostra crescita. Per uscire era necessario confrontarsi con la realtà».
Realtà che in questo caso voleva dire anche morte.
«La morte, il grande sostantivo non nominabile della nostra era, andava accettata e presa come traino. In questi mesi il confronto quotidiano con bare e bollettini ci ha riportato “la diretta della realtà”. Pensiamo che, anche per i più piccoli, la morte sia un tema traumatico, invece è uno degli aspetti inattesi di sviluppo della persona; nella pandemia finalmente abbiamo sdoganato la morte e l'abbiamo condivisa come esperienza che fa parte della vita».
Cos'hanno imparato i genitori dalla pandemia?
«Se siamo stati attenti, abbiamo capito che i nostri figli hanno più risorse che aree problematiche. Bambini e ragazzi hanno mostrato grande responsabilità. La dimensione sociale per loro è linfa; essere costretti a limitarla ha richiesto un grande controllo di sé».
E i ragazzi così criticati?
«Hanno imparato a “stare a maggese”, caratteristica primaria dello sviluppo adolescenziale. Siamo noi che ci preoccupiamo del loro essere performanti. In realtà, quando stanno per conto loro e non fanno granche' non stanno buttando via il loro tempo, piuttosto la loro mente si esercita per aprire nuovi scenari. Stanno creando il loro sé adulto».
I bambini?
«I piccoli prescolari hanno imparato che, se hanno accanto degli adulti che regolano le loro emozioni e l'ansia, possono stare bene in qualsiasi situazione. I più grandicelli, che ci sono dei limiti della realtà che a volte si impongono; hanno appreso come disattivare i bisogni immediati. Un'occasione per diventare più sicuri e non soccombere alle situazioni problematiche».
Come aiutare chi tra loro ha paura?
«Premetto che avere paura è sano, è la condizione che sviluppiamo intorno ai due mesi perché ci permette di organizzarci rispetto all'ambiente. Ma se la paura ha mostrato una sequela disadattiva o sintomatologica allora ci sono diversi livelli di intervento. Dalle rassicurazioni e spiegazioni da parte dei genitori di ciò che genera paura, dando la possibilità di verbalizzare attraverso un atteggiamento empatico (“anche a me ha spaventato”) o, nel caso in cui la famiglia non si riuscisse nell'intento, un sostegno psicologico esterno».
L'ultimo atto del suo libro è il racconto di lei e di sua figlia Emma. Una dichiarazione d'amore verso sua figlia, ma anche un modo per dire che la pandemia ha colpito tutti, anche gli esperti...
«Certo, perché evento eccezionale. Sull'amore per Emma, che dire, lei è una tredicenne sovrabbondante di carismi. Insieme, in quei mesi difficili, abbiamo creato un canale su youtube Giampaolo&Emma al tempo del lockdown. Il sottotesto di questa nota biografica è che con i ragazzi non è tanto importante normare, ma gettare esche per trovare collegamenti. Solo così li lasceremo andare e li faremo crescere: più li controlliamo noi e meno controllo hanno di loro stessi».

Possiamo affermare che questo lungo e faticoso anno ha insegnato qualcosa alle famiglie?
«Per le coppie che vivono vite per lo più individuali è stata occasione di maggior conoscenza. La fisiologia della famiglia non è stare in lockdown, ma il fatto di dover stare più a casa che altrove ci ha consegnato questo: i momenti condivisi sono necessari più che mai. Le difficoltà sono come il ferro da stiro: “spiegano” e rendono più ampio il materiale usato facendoci conoscere meglio. Questa crisi ci ha permesso di “spiegarci” meglio, anche perché la famiglia è più della somma delle parti che la compongono».
 

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