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Diminuisce l’occupazione femminile: più di una donna su due non lavora

di Sara Fornaro

da www.cittànuova.it
@Riproduzione Riservata del 22 gennaio 2022

Cala al 49% l'occupazione femminile. Per le mamme e le giovani donne è ancora peggio. Serve il coraggio di cambiare, per il bene di tutta la società.-

Diminuisce il tasso di occupazione femminile e torna sotto il 50%: una conquista raggiunta a fatica nel 2019 e purtroppo persa durante la pandemia. La percentuale delle donne lavoratrici è infatti tornata al 49% e vede i dati più bassi per le donne più giovani (tra i 15-34 anni il tasso è del 33,5%) e tra le mamme (-25% rispetto alle coetanee che non hanno figli).

Lo stacco tra uomini e donne è enorme: 18.2 punti percentuali, non ci sono donne amministratrici delegate nelle grandi aziende quotate in borsa e molte (il 60%) delle lavoratrici che hanno un contratto part time lo hanno dovuto accettare, senza averlo scelto (1.866.000 donne rispetto a 849 mila uomini). Una triste situazione, quella che emerge dal Bilancio di genere 2021 che la sottosegretaria al Ministero dell’Economia e Finanze, Maria Cecilia Guerra presenterà in Parlamento.

E se la parità di genere è tra le priorità del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) per cambiare la situazione attuale serve un deciso impegno e fondi corposi a favore dell’occupazione femminile: investimenti che andrebbero a favore dell’intera società.

Come ci aveva spiegato in un’inchiesta sulle mamme lavoratrici Graziella Bertocchi, docente di Economia all’Università di Modena e Reggio Emilia e presidente dell’Istituto Einaudi per l’economia e la finanza, le difficoltà per le donne e per le mamme in particolare erano già ben presenti prima della pandemia, con «un gap salariale maggiore che negli altri Paesi europei e una minore partecipazione al lavoro rispetto agli uomini e altrettante differenze all’interno della famiglia» per quanto riguarda la cura dei figli e degli anziani e le incombenze giornaliere.

«Prima della pandemia – spiegava Bertocchi – la donna era in una condizione sfavorevole, che rappresentava uno svantaggio per tutta la società e l’economia nel suo insieme, perché si perdeva il contributo di oltre la metà della popolazione». In Italia, a causa dei vari lockdown che abbiamo vissuto, «le scuole sono state chiuse più a lungo rispetto ad altri Paesi e questo ha aumentato il carico di lavoro all’interno delle famiglie che avevano bambini costretti a seguire le lezioni da casa. È stato studiato questo fenomeno e si è visto come, in una situazione già sbilanciata, il carico delle mamme sia aumentato ulteriormente».

Una conseguenza non inevitabile, in quanto in altri Paesi questo peggioramento non si è verificato. «Ci si sarebbe potuti aspettare, astrattamente, una maggiore collaborazione da parte dei papà, ma questo non è avvenuto. Con dati più fini, si può riscontrare un aumento della collaborazione dei padri– sottolineava Bertocchi –, ma non nella cura dei bambini».

La conseguenza è stata che molte donne hanno deciso di lasciare il lavoro perché non riuscivano più a sostenere il doppio ruolo. Una tendenza che bisogna invertire quanto prima, anche se non sarà facile. «Il mercato del lavoro italiano – avvertiva Bertocchi qualche mese fa e i dati le hanno dato ragione – è poco flessibile: se una donna si ritira in questa fase di emergenza non è assolutamente detto che possa rientrare quando la pandemia sarà finita».

È un fenomeno che rischiamo di portarci dietro per molti anni, ecco perché la docente sottolinevaa la necessità di interventi sempre più incisivi delle istituzioni rispetto all’aumento dell’offerta di servizi per l’infanzia, che sono, commenta Bertocchi, «il primo modo per sostenere le donne in questa lotta impari contro gli effetti economici sul lavoro e a casa della pandemia».

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