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DALLA STRADA ALLA RINASCITA: STORIA DI SALVATORE FERRIGNO

di Annachiara Valle

da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 18 aprile 2023

«Non ho mai abbandonato il sogno di diventare un uomo normale». Salvatore Ferrigno, 58 anni (foto di Mariano Bianco), racconta la sua esperienza. La droga, incontrata a 11 anni, il carcere, dopo la denuncia di sua madre «che voleva salvarmi». Il lavoro dei genitori per recuperare quel figlio che cresce e comincia a lavorare. Poi la morte dei suoi, il matrimonio, un figlio «che non vedo da 22 anni, da quando è nato», la separazione e l’incontro con una nuova compagna e i suoi quattro figli. «Poi la perdita del lavoro, la cacciata da casa. Dormivo in macchina, per strada». E lì «è cominciato un altro calvario: non avevo più niente, nemmeno la forza di ricominciare», racconta. «Ero diventato come un morto che cammina».

Ma poi, camminando senza una meta, un giorno si ritrova in Caritas, diocesi di Nola. «Ero stanco di essere un errore, sono entrato nel centro di ascolto e lì ho trovato il coraggio di raccontarmi. Ho chiesto aiuto senza nascondere nulla perché ho trovato persone che mi ascoltavano, non sentivano solo il mio parlare».

Commuovendosi, Salvatore, davanti alla platea di 660 delegati, ricorda che «ho pensato che mi ero perso e che Dio, credetemi, Dio, mi aveva ritrovato». Piano piano ricomincia la risalita, Salvatore comincia a lavorare in Caritas, in un condominio soldale dove, a un certo punto, arrivano, sfrattati, anche la sua ex compagna con i figli. «Nel vederli non provavo rancore. Quell’esperienza di accoglienza che avevo fatto mi ha aiutato a guardare oltre e ad aiutare anche loro». Con la Caritas «ho ripreso a sognare, con la differenza che questa volta non ero solo. Con me, in questo nuovo viaggio, avevo ritrovato degli amici nuovi, dei veri amici e sentivo che i miei errori non erano più la mia condanna». Ci sono voluti cinque anni «per riprendere in mano la mia vita e non ce l’avrei fatta da solo». Ma poi, quando «avevo trovato la mia confort zone, mi dicono che me ne devo andare».

Salvatore non capisce, si arrabbia, non capisce perché la sua permanenza nel centro Caritas debba finire. Ma poi «mi sono fermato un giorno per ascoltare il perché dovevo andare via e mi è stato spiegato che non avevo sbagliato nulla, che quella non era una espulsione, ma un nuovo inizio per tornare protagonista della mia vita. Mi sono fidato anche se in quel momento non capivo. La fiducia è una bella esperienza».

Per lui era arrivato il momento di consolidare la sua identità e , «anche se avevo paura di perdere la mia nuova famiglia, in realtà ho visto che lì è nato il vero Salvatore». Oggi, a San Giuseppe Vesuviano, «dove vi invito a venire per una bella sfogliatella», cura uno spazio di accoglienza il “Mondominio”. «Ho affittato una mia casa, sono membro dell’equipe diocesana della Caritas, un vostro collega». Il cammino è ancora lungo, «non sono ancora arrivato a essere l’uomo che vorrei, ma so che sono ancora un uomo, che sono vivo e sto cercando di diventare quell’uomo a cui mio padre credeva». Un uomo felice perché so che «sono desiderato da Dio e sono figlio suo. La mia felicità è racchiusa tutta qua».

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