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COSA CI DICE LA TRAGEDIA DI SAMAN

di Alberto Pellai
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 09 giugno 2021

La sua fine racconta la fatica di ragazzi sospesi tra le tradizioni familiari e quelle della nuova società in cui vivono. E piangendo per per questa giovane donna ricordiamoci che il problema è cambiare la prospettiva con cui si pensa alla vita, al destino, alla sorte che spetta a una bambina quando viene al mondo.-

La morte di Saman, uccisa dalla famiglia perché si era rifiutata di sposare chi le veniva imposto dalla famiglia ci racconta moltissime cose. Racconta la fatica dei figli che nascono e crescono all’interno di famiglie che si “trapiantano” in una nuova cultura, in una nuova società. I loro genitori arrivano in un mondo nuovo, ma rimangono fedeli a quello da cui provengono. I figli vivono sospesi tra ciò che la famiglia di origine propone - e spesso impone loro -  e ciò in cui la nuova società, di cui sono a tutto diritto cittadini e appartenenti, li tiene immersi e li coinvolge. Questi figli sono “la generazione di mezzo” tra ciò che era e ciò che sarà. Degli “ibridi” con i piedi in due scarpe che ogni giorno devono costruire nuovi equilibri per rimanere fedeli alle aspettative dei genitori, ma al tempo stesso per conquistare un posto nel mondo della società in cui loro stessi diventeranno futuri genitori. I loro genitori spesso guardano indietro. I figli giustamente guardano sempre avanti. Ed è sulla partita del “futuro” che si giocano le sfide e i conflitti più pesanti. Perché i genitori, rigidamente ancorati ad integralismi, tradizioni e credenze che sono “fuori tempo” e “fuori luogo” nella nuova società che li accoglie, non riescono a comprendere che i loro figli non possono crescere “passivamente aderentI” al copione dell’obbedienza. Non possono fare ciò che gli adulti chiedono che loro facciano. Non possono continuare ad essere “pensieri pensati” perché diventare adulti implica costruire il proprio pensiero pensante, separarsi e allontanarsi dal nido in cui sei nato e cresciuto.

Questo dovrebbe  succedere a tutti i genitori e a tutti figli, in ogni cultura e società. Diventare adulto significa rompere il patto di obbedienza (e in alcuni casi di sottomissione) che ti impone l’adulto, insegnargli che non sei più una “cosa sua”, fare della tua vita il tuo progetto e non ciò che c’è nel progetto per te di chi ti ha messo al mondo. La morte di Saman ci dice che ci sono parti del mondo in cui tuttora le figlie vengono date in sposa su volere e scelta dei genitori. E il fenomeno delle spose bambine, ancora epidemico in alcune nazioni, ne è la testimonianza. La morte di Saman ci racconta anche come i diritti di chi nasce femmina, siano in certi contesti famigliari e sociali negati e in realtà nemmeno pensati da chi invece dovrebbe considerarli propri doveri educativi. La mutilazione genitale, la scelta dello sposo per la propria figlia, la convinzione che le bambine non debbano proseguire il proprio percorso scolastico sono problemi enormi che il mondo globale non ha ancora imparato ad affrontare e a risolvere. E questi problemi che fingiamo di non sapere e non vedere quando accadono a migliaia di chilometri lontano da noi, poi ci esplodono in casa, quando il mondo globale con il fenomeno delle migrazioni impone ad adulti trapiantati di crescere i figli nella logica del rispetto e della libertà che rappresentano un diritto per tutti, indipendentemente da etnia, genere, religione di appartenenza.
Oggi, mentre piangiamo per Saman, dobbiamo pensare a tutto ciò che serve perché non accadano mai più storie tremende come la sua. Ma il problema non è semplicemente evitare che accadano qui da noi. Il problema è cambiare la prospettiva con cui si pensa alla vita, al destino, alla sorte che spetta ad una bambina quando viene al mondo. Salvare future bambine dal destino che ha avuto Saman, significa pensare ad un’educazione e a una cultura di genere che tuteli i diritti dei bambini e delle donne in ogni parte del mondo. Oggi serve che le donne, tutte insieme, di ogni etnia e religione, reclamino a gran voce il diritto di autodeterminare la propria vita, di poter scegliere il proprio futuro, di non dover mai più trovarsi adulte obbligate a rispettare il copione dell’obbedienza imposto da qualcuno che decide al posto loro. Ma soprattutto serve che gli uomini, di qualsiasi etnia e religione, condannino la violenza sulle donne in tutti i contesti, in tutti i luoghi di vita, in tutte le parti del mondo. C’è un enorme lavoro da fare. E la tragedia di Saman ci dice che non si può più aspettare.

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