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"CASA, LAVORO, NATALITÀ, ACCOGLIENZA, COESIONE SOCIALE. LA CHIESA IN DIALOGO COL MONDO"

di Annachiara Valle
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 23 maggio 2023

Il cardinale Matteo Zuppi apre l’assemblea della Cei, dopo l’incontro a porte chiuse di ieri con il Papa, con un cordiale saluto ai novi vescovi e agli emeriti. Scherza con quella cordialità che porta, nell’assise riunita nell’aula Paolo VI in Vaticano, quell’amicizia e quella cordialità che, come dice lui stesso sono sinonimo di «sinodalità».

Esprime gratitudine al Papa per le sue parole e per la doppia presenza che questa volta porta il Papa a colloquiare con i vescovi anche al termine dell’assemblea. Ricorda le indicazioni del discorso fatto a Firenze, in occasione del Convegno ecclesiale, che restano come punto di riferimento per il cammino sinodale della Chiesa italiana.

Il cardinale parla subito dell’Emilia Romagna e dei ragazzi che, subito, si sono mostrati disponibili ad aiutare. Della Chiesa che subito si è organizzata in un vero “ospedale da campo”. Ma poi ci sono anche i temi della pace e della guerra, «vera pandemia». «Nel recente viaggio in Ungheria», dice il presidente della Cei ripensando alle parole del Papa, Francesco «si è interrogato: “Dove sono gli sforzi creativi di pace?”. Lasciamoci inquietare da questa domanda, perché non rimanga solo la logica spietata del conflitto. Papa Francesco constata il deterioramento delle relazioni internazionali: “Pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace – ha detto in Ungheria – mentre si fanno spazio i solisti della guerra. In generale, sembra essersi disgregato negli animi l’entusiasmo di edificare una comunità delle nazioni pacifica e stabile, mentre si marcano le zone, si segnano le differenze, tornano a ruggire i nazionalismi… A livello internazionale pare persino che la politica abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico. Ma la pace non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti…” È un’analisi che ci interroga. Per noi la pace non è solo un auspicio, ma è la realtà stessa della Chiesa, che germina – come il segno di pace – dall’Eucaristia e dal Vangelo. La Chiesa e i cristiani credono nella pace, siamo chiamati a essere tutti operatori di pace, ancora di più nella tempesta terribile dei conflitti».

Richiama la Pacem in terris, di Giovanni XXIII, di cui a breve si ricorderanno i 60 anni dalla morte e sprona a «generare e fortificare» tra la gente la «cultura di pace».

Ancora il cardinale tocca i temi delle migrazioni, degli abusi, della natività mai contrapposta all’accoglienza, del lavoro, della casa, della generatività, della cultura fluida, dei poveri e degli anziani, della legalità e della presenza pervasiva delle mafie. Tutti temi che rientrano nel cammino sinodale che , «in questo orizzonte drammatico e minaccioso» chiama a incontrare tutti. Ad ascoltare, ad avere compassione. L’ascolto deve essere «uno stile di Chiesa» e non solo una fase, precisa Zuppi spiegando il senso del passaggio dalla fase narrativa a quella sapienzale, da quella dell’ascolto a quella del discernimento. L’ascolto non si lascia da parte, ma diventa parte essenziale del discernimento. Che poggia, innanzitutto sulla preghiera. «Il discernimento non è applicazione di regole», precisa, «ma ascolto serio dello Spirito». Occorre interrogarsi su «quali domande aspettano da parte nostra una decisione saggia».

Occorre ascoltare, ascoltare tutti. Altrimenti «corriamo il rischio di un ripiegamento identitario, accontentandoci di “pochi ma puri”» oppure «dei pochi ma nostri». E così, sottolinea il cardinale, «rischiamo di essere irrilevanti nella vita di troppi e nella storia, nascondendo il talento per paura o pigrizia». Le più grandi difficoltà sono «la paura e l’impazienza». Per questo occorre un serio discernimento che porta la Chiesa, oltre che ad ascoltare, anche a «non tacere».

Tra i temi messi sul tappeto sono tanti, a partire dalla cultura della vita in tutte le sue fasi e situazioni. Parlando della famiglia il cardinale torna sulla crisi demografica e sulla difficoltà delle giovani coppie a formare famiglia per la precarietà del lavoro, la difficoltà a trovare casa. Ma non si possono separare valori etici e valori sociali contrapponendo natalità e accoglienza. Il cardinale ricorda che «chiudere le porte a chi bussa è, alla fine, nella stessa logica di chi non fa spazio alla vita nella propria casa. Del resto abbiamo bisogno di migranti per vivere: li chiedono l’impresa, la famiglia, la società. Non seminiamo di ostacoli, con un’ombra punitiva, il loro percorso nel nostro Paese! C’è un livello di difficoltà burocratica che rende difficile il percorso d’inserimento, i ricongiungimenti familiari, il tempo lungo per ottenere i permessi di soggiorno, mentre si trascurano i riconoscimenti dei titoli di studio degli immigrati (che pure sono un valore per la nazione) o ancora si rimanda una decisione sullo ius culturae. Intanto la regolarizzazione del 2020 attende in parte di essere ancora espletata. Non è dare sicurezza, anzi esprime la nostra insicurezza. Facciamo nostre in maniera accorata le parole del Santo Padre di fronte al naufragio di Cutro, pronunciate nell’udienza ai rifugiati giunti in Europa con i corridoi umanitari il 18 marzo scorso: “Quel naufragio non doveva avvenire, e bisogna fare tutto il possibile perché non si ripeta”. Parole gravi, dolorose e impegnative».

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