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Atti di autolesionismo: affrontare con buon senso le montagne russe dell'adolescenza dei figli

di Rita Balestriero
da www.repubblica.it
@Riproduzione Riservata del 05 luglio 2023

Una compagna ha avvertito gli insegnanti che Antonia praticava atti di autolesionismo, self-harming. Il racconto, consegnato da una madre alla nostra giornalista, colpisce soprattutto per la serenità - forse raziocinio - con cui i genitori hanno reagito alla notizia e l'hanno affrontata.-

Foto di Zhivko Minkov su Unsplash  

All’inizio è stata un’amica di penna. Sì, perché io e Sonia ci siamo conosciute via mail, per motivi di lavoro, ma ho capito in fretta che non sarebbe stata solo una collaboratrice perché Sonia quando scrive ti rapisce, ti porta nel suo mondo, non può non incuriosirti. Vive all’estero da tempo e, fa un po’ sorridere a ripensarci, ma la prima volta che ci siamo viste fisicamente è stato durante il mio viaggio di nozze: per pranzare con noi ha preso addirittura un aereo.
Quel giorno è stato come ritrovarsi – più che presentarsi – in fondo erano trascorsi già due anni dalla nostra prima mail, ci eravamo già raccontate moltissimo. Da allora ci vediamo ogni volta che passa dall’Italia, di solito a fine giugno, se siamo fortunate magari ci incrociamo anche in qualche luogo di vacanza. La scorsa settimana ci siamo date appuntamento per pranzo in zona Porta Venezia e abbiamo chiacchierato con la foga di chi ha mesi da recuperare.

Come sta Antonia?, le ho chiesto a un certo punto. E così lei ha iniziato a raccontarmi che erano stati chiamati dalla scuola (la ragazza ha 13 anni e mezzo) perché una compagna aveva avvertito gli insegnanti che Antonia praticava atti di autolesionismo, self-harming – per usare le sue parole. Nei giorni successivi ho ripensato spesso al suo racconto, e mi sono resa conto che a colpirmi è stata soprattutto la serenità con cui la mia amica e suo marito hanno reagito. Magari un anno fa non sarebbe successo, ma in questo ultimo periodo mi è sembrato che il livello di buon senso tra i genitori sia ai minimi storici e che la maggior parte di noi tenda a drammatizzare episodi che invece sono normalissimi. E così l’ho richiamata, perché ho pensato che valesse la pena condividere questa esperienza con te.

Sonia come è andata? "Nella sua scuola esiste il Whisper button, un sistema attraverso il quale ogni alunno può mandare messaggi anonimi nel caso in cui tema che il benessere di un compagno sia in pericolo. E così qualcuno ha scritto che teneva molto a nostra figlia ed era preoccupato perché aveva cominciato a graffiarsi sui polsi. A dire il vero, qualche tempo prima, io avevo notato delle piccole cicatrici ma pensavo che fossero dei graffi del nostro gatto. Avevo anche provato a indagare, ma lei aveva tagliato subito corto".

Dov’eri quando ti hanno chiamata? "In taxi con lei, la sua insegnante mi ha detto che doveva dirmi una cosa confidenziale e ci siamo accordate per un appuntamento in modo che ci fosse anche mio marito. Durante la chiamata ci hanno raccontato  che avevano valutato la veridicità del messaggio anonimo e poi deciso di parlarcene per sapere se avevamo avuto qualche avvisaglia".

E voi come avete reagito? "In modo molto spontaneo gli abbiamo detto che questo comportamento ci sembrava un messaggio e che era nostro dovere metterci in ascolto. Quindi gli abbiamo chiesto di aiutarci a farlo al meglio".

Ma non vi siete agitati neanche un po’? "Magari siamo pazzi, però siamo stati molto sereni perché non si trattava di un gesto grave, non l’avevano trovata su un cornicione pronta a buttarsi. Insomma, penso che la nostra reazione sia stata proporzionata al problema, però devo dire che anche gli insegnanti e la responsabile del benessere dei ragazzi sono rimasti sorpresi, ci hanno detto che sono abituati a scenate isteriche da parte dei genitori.

La scuola vi ha aiutato a inquadrare il gesto di Antonia? "Ci hanno detto 'Benvenuti, questo è solo l’inizio delle montagne russe emotive su cui è salita vostra figlia!'. E poi ci hanno spiegato che gli atti di autolesionismo di questo tipo sono una sorta di strumento per rilasciare la tensione, un po’ come quando noi adulti la sera ci beviamo un aperitivo dopo una giornata di tensione al lavoro. L’ideale sarebbe che Antonia, se sente il bisogno di farlo, riesca a verbalizzarlo per questo il nostro obiettivo è mantenere sempre una comunicazione aperta con lei".

Cosa avete fatto quando è rientrata da scuola? "Le abbiamo raccontato quello che era successo. All’inizio si è fissata perché voleva scoprire a tutti i costi il nome del “delatore”, ma poi abbiamo cercato di farle capire che non era affatto importante e che comunque si trattava di una persona che le voleva molto bene e aveva agito così perché era preoccupata per lei. Poi si è messa a piangere e ha detto che le mancavano alcune cose della vita di prima, che noi non ci eravamo accorti di quanto fosse stato difficile per lei affrontare un trasloco e un cambio di vita così radicale (da una situazione “bucolica” a una metropoli, ndr). Ma quando le abbiamo chiesto se volesse tornare indietro lei ha detto un no fermo perché, paradossalmente, è diventata più solare da quando ci siamo trasferiti e si è fatta molti amici".

Secondo voi cosa è successo? "Abbiamo attraversato molti cambiamenti in poco tempo e magari non c’è stato il tempo di parlare abbastanza. Magari abbiamo dato per scontato dei passaggi che invece non lo erano. Magari il nostro comportamento non gli ha dato la sensazione che fossimo aperti ad ascoltarla. Adesso stiamo più attenti a creare delle occasioni anche solo per sederci con lei e stare li ad ascoltarla e, certo, in questo le vacanze aiutano. Infatti proprio in questi giorni ci siamo accorti che queste attenzioni si sono trasformate anche in momenti di comunicazione non verbale, cioè di contatto fisico e il fatto che sia lei a cercarlo ci sembra molto positivo. Detto questo, penso che non sia sempre facile costruire una figura genitoriale diversa da quella che abbiamo avuto, anche se questo è il nostro obiettivo. A me, per dire, nessuno in famiglia mi ha mai chiesto come stessi.

Tra i temi che vengono spesso fuori nella newsletter c’è il fatto che noi genitori tendiamo a vedere i figli come dei biglietti da visita, così quando mi hai raccontato di Antonia io ho pensato che voi eravate stati molto bravi a non cadere in questo tranello. "Diciamo che quella chiamata non ha messo in discussione la nostra identità di genitori, non ci siamo sentiti offesi, o defraudati della stelletta sul petto, piuttosto investiti del ruolo di timonieri. Perché pensiamo che il ruolo dei genitori sia quello di tenere il timone dritto, di aiutarla ad affrontare questa nuova fase, proprio come da piccola le davamo la mano quando non aveva ancora imparato a camminare bene. Insomma, il nostro ego è rimasto fuori, al centro c’era lei.

Com’è quella frase che dicono gli inglesi? “People used to have kids, and now we are parenting”. Tradotta in italiano rende male (Una volta si mettevano al mondo bambini, ora si fa i genitori) ma racconta perfettamente tutta l’ansia da prestazione a cui siamo sottoposti oggi. A volta sembra che se non farai fare a tuo figlio quella cosa, lo condannerai al fallimento. Ma non è così. In questi 13 anni e mezzo ho capito che l’importante è allargare lo sguardo e ricordarsi che educare significa permettergli di diventare chi sono. Non quello che vuoi tu".


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