Amico immaginario dei bambini: come mai compare e che ruolo ha nella crescita
di Alberta Mascherpa
da www.bimbisaniebelli.it
@Riproduzione Riservata del 05 luglio 2023
L’amico immaginario ha un ruolo importante nella crescita, in particolare nello sviluppo emotivo e relazionale dei bambini. Vediamo insieme di cosa si tratta.-
L’amico immaginario dei bambini è molto comune nella fascia di età che va dai due agli otto-nove anni. Vediamo insieme, anche con il parere di un’esperta, quali sono le ragioni per cui compare e perché invece alcuni bambini non ce l’hanno, che ruolo può avere nella crescita, a che età in genere scompare, quando e se è il caso che i genitori se ne preoccupino.
Amico immaginario: è normale averlo?
Può essere “un’entità” del tutto inventata oppure un oggetto reale che la fantasia dei bambini rende animato dotandolo non solo di un nome ma anche di una personalità propria. «Molti genitori a un certo punto dell’infanzia, in alcuni casi molto presto già attorno ai due anni, in altri più tardi, si ritrovano a fare i conti con l’amico immaginario del proprio figlio che per alcuni mesi, a volte persino per anni, chiede di apparecchiare a tavola un posto in più, di aggiungere una sedia, di fargli spazio sul divano» spiega la dottoressa Beatrice Casoni, psichiatra a Ferrara. «Mi sento subito di rassicurare i genitori che si chiedono se tutto questo sia normale: l’amico immaginario dei bambini è un fenomeno generalmente privo di significato patologico». Al contrario ha un ruolo importante nella crescita. «Possiamo interpretare l’amico immaginario come una soluzione creativa che il bambino escogita per far fronte ai propri conflitti interni» continua nella sua spiegazione la psichiatra. Come mai quindi compare? «È un aiuto che il bambino crea con il proprio immaginario per adattarsi meglio a momenti di passaggio come lasciare il pannolino, iniziare la scuola materna con la conseguente separazione dai genitori oppure a condizioni che possono generare ansia e preoccupazione come la nascita di un fratellino, un trasloco o il trasferimento in un’altra città.
In alcuni casi può diventare una vera e propria reazione, con valenza di rassicurazione e di conforto, che il bambino mette in atto davanti a situazioni dolorose come un lutto che lo porta a perdere una figura di riferimento importante come un nonno o uno zio. In tutti questi casi l’amico immaginario diventa una sorta di spalla su cui piangere, magari senza farsi vedere da altri, un sostegno per contrastare il dolore e la rabbia per la perdita». Un amico immaginario, infatti, aiuta a sopportare meglio il dolore, la frustrazione ma anche ad affrontare con minore ansia le proprie paure, sia quella del buio, del dormire da soli o dell’imparare ad andare in bicicletta.
Amico immaginario: serve a crescere?
Un amico immaginario può essere un supporto importante per la crescita. «Tra le tante funzioni del compagno immaginario va aggiunta quella di essere usato come portavoce di sentimenti particolarmente difficili o dolorosi da esprimere per un bambino» spiega l’esperta. «Per il piccolo risulta, infatti, più facile proiettare sentimenti come l’odio per un fratellino appena nato o la rabbia verso i genitori su un compagno immaginario e comunicarlo in questa forma piuttosto che ammettere che questi sentimenti appartengono a se stesso». Gli amici immaginari dei bambini diventano così non solo compagni di gioco, ma anche vere e proprie valvole di sfogo su cui riversare qualsiasi frustrazione, piccola o grande che sia. E gli amici immaginari possono essere tutto quello che la straordinaria fantasia dei piccoli è in grado di creare, animali o persone, oggetti reali o del tutto inventati. L’autrice e illustratrice Bimba Landmann, insieme a un libro “Enciclopedia dei miei amici immaginari”, ha creato un museo virtuale con i disegni degli amici immaginari (per ampliarla, per altro, mamma e papà possono inviare i disegni dei loro figli qui). Ma che si tratti di dinosauri o di robot, di supereroi o di cuori parlanti, di farfalle o di giganti, tutti gli amici immaginari hanno una prerogativa che li accomuna: sono sempre pronti ad ascoltare il bambino quando ne ha bisogno, ad accogliere i suoi segreti e anche le sue paure. Possono anche diventare l’oggetto su cui sfogare la rabbia, tant’è che non è raro che un bambino si trovi a litigare con il suo amico immaginario. Non c’è neppure da stupirsi che l’amico immaginario possa avere non solo caratteristiche positive ma anche negative. «Sono le fragilità, le debolezze che il bambino proietta su un soggetto altro da sé, proprio per riuscire a gestirle con più facilità rispetto al fatto di riferirle direttamente a se stesso» è la conclusione dell’esperta.
Come mai alcuni bambini non hanno un amico immaginario?
«La creazione di un amico immaginario va concepita come una reazione sana» ribadisce la psichiatra. «Si potrebbe dire che è la prova che il bambino sta salvaguardando la propria salute mentale attraverso la relazione e la capacità di mettersi nei panni dell’altro, usando la fantasia per gestire le proprie emozioni». L’adulto parla con se stesso quando ha un problema oppure si sente fragile senza bisogno di “visualizzare” il dialogo creando un altro da sé. Al contrario il bambino ha necessità, proprio per crescere, di proiettare sull’altro tutto quanto lo interroga, lo disturba o lo spaventa.
Ma se avere un amico immaginario è un fenomeno molto diffuso e normale, altrettanto lo è non averlo. Crearsi un amico immaginario, infatti, non è una prerogativa assoluta dell’infanzia, dal momento che i bambini differiscono moltissimo quanto a capacità immaginativa. Che il bambino abbia un amico immaginario o al contrario non lo abbia non deve, quindi, essere fonte di ansia per i genitori. «In entrambi i casi è importante che gli adulti di riferimento abbiano sempre nei confronti dei piccoli un atteggiamento accogliente e rassicurante» commenta la dottoressa Casoni. «È bene, quindi, che supportino i piccoli, si interessino al loro mondo interiore chiedendo frequentemente, ma senza pressioni, cosa provano, cosa temono, di cosa hanno paura o al contrario cosa li rende felici. Così i piccoli percepiscono di poter sviluppare con l’adulto un rapporto di fiducia che permetta loro di esprimere apertamente anche i contenuti che sentono come complessi e problematici».
A che età scompare l’amico immaginario?
L’amico immaginario compare in genere attorno ai due, tre anni, periodo che la psicologia dell’età evolutiva identifica con la nascita del pensiero magico e creativo. È anche il momento in cui il bambino affronta la grande sfida di entrare in relazione con gli altri. In questa direzione gli amici, reali o immaginari che siano, rivestono un ruolo chiave perché consentono al bambino di sperimentare la propria capacità di relazionarsi con gli altri. Inventarsi un amico immaginario è, quindi, una delle soluzioni che il bambino mette in atto per costruire un sé e – al tempo stesso – un altro da sé. Un altro da sé, peraltro, che ha tutte le qualità che un bambino vorrebbe ritrovare in un amico reale, dalla capacità di ascoltare a quella di confortare: un amico immaginario non delude e non tradisce, con lui si può litigare ma resta sempre presente. «E questo è sicuramente fonte di conforto per il bambino nonché uno straordinario strumento di crescita» precisa la psichiatra.
Il “picco” delle presenze nate dalla fantasia infantile si registra, in genere, attorno ai sette anni: secondo alcuni studi condotti dall’Università di Washington attorno a questa età si può calcolare che quasi due terzi dei bambini interagiscono con un amico frutto della loro immaginazione. Ma come non c’è un momento preciso in cui l’amico immaginario fa la sua comparsa, non c’è un’età precisa in cui sparisce. «Occorre tenere come riferimento per distinguere tra un fenomeno sano e uno che può sfociare nel patologico i dieci-undici anni al massimo, anche se in genere l’amico immaginario scompare attorno agli otto-nove anni» precisa la psichiatra. All’apparenza scompare così dall’oggi al domani come per magia. «In realtà sparisce al termine di un lungo processo di crescita che ha portato il bambino a essere capace di esternare anche i sentimenti, le emozioni, i contenuti che per lui risultano più difficili e problematici, tanto da averli affidati prima a un amico di fantasia» è la spiegazione della dottoressa Casoni. In sostanza l’amico immaginario che è servito per crescere lascia il posto ad altre esperienze di crescita che si sviluppano, però, sempre più nel reale. L’amico immaginario non serve più e si “trasforma” nel dialogo interiore che caratterizza la vita adulta.
Quando e se c’è da preoccuparsi
I genitori non devono, quindi, aver timore se il bambino parla e gioca con un amico immaginario. Non devono assolutamente pensare che si tratti di uno squilibrio mentale, ma di un fenomeno assolutamente normale. Bisogna infatti tener conto del fatto che il bambino sa perfettamente distinguere la realtà dalla fantasia, è consapevole che l’amico immaginario è dentro di sé e lo sta semplicemente proiettando fuori: ci gioca, ci parla, si affeziona ma sa bene che nella realtà non potrà vedere il compagno di giochi che si è costruito. Anzi, con l’amico di fantasia il bambino riesce a controllare con facilità il limite tra realtà e immaginazione, tra vero e inventato. È la ragione per cui i genitori, oltre a non preoccuparsi in questa fase, non devono per nessuna ragione cercare di fare in modo che l’amico immaginario sparisca, magari ridicolizzandolo o facendo lunghi discorsi “da adulti”.
Ai piccoli dovrebbe sempre essere lasciata possibilità di vivere serenamente l’esperienza di un amico di fantasia, con il quale gli adulti possono decidere di interagire o meno. Ma i genitori devono essere al tempo stesso consapevoli che il bambino immaginario deve essere una costruzione per così dire “a tempo”. «I genitori dovrebbero cominciare a preoccuparsi quando la sua presenza permane dopo i 10-11 anni» indica la psichiatra. «E a maggior ragione dovrebbero farlo se il bambino tende a isolarsi, si chiude in sé, ha difficoltà a interagire con gli altri e finisce per escludere il mondo reale rifugiandosi in un mondo di fantasia».
In un contesto “sano”, infatti, l’amico immaginario affianca gli amici reali con i quali i bambini amano sempre rapportarsi perché sanno che da un amico reale possono avere qualcosa che un amico immaginario non può dare, fosse solo un abbraccio o anche uno spintone. «Solo nel momento in cui l’amico immaginario sostituisce in toto gli amici reali i genitori dovrebbero cominciare a preoccuparsi: l’isolamento e l’autoesclusione dal mondo dei pari e dal mondo in generale rappresentano un campanello di allarme, le cui cause vanno sempre indagate, anche con il supporto di uno specialista. Non è comunque il caso di allarmarsi ma solo di indagare e di chiedere aiuto per comprendere meglio cosa il bambino stia vivendo., tenendo conto – peraltro – che gli amici immaginari restano a lungo nel cuore dei loro creatori: non è raro quindi, ma anzi è assolutamente normale, che anche dopo i dieci anni si ricordino di loro tanto da riuscire a descriverli oppure a disegnarli.
In sintesi
L’amico immaginario, che fa in genere la sua comparsa attorno ai due-tre anni e sparisce attorno agli otto-nove, va considerato come una creazione positiva. Aiuta, infatti, il bambino nel suo processo di crescita e di costruzione dell’identità. È un “doppio di sé” che gli permette di rapportarsi con i propri sentimenti e le proprie emozioni, di vincere le proprie paure. Ma al tempo stesso è anche un altro da sé che permette al bambino di imparare a rapportarsi con gli altri. È inoltre un prezioso supporto emotivo che consente ai piccoli di vivere con maggior serenità situazioni esterne difficili come la nascita di un fratellino ma soprattutto emozioni, sentimenti, paure, ansie e fragilità che nascono dentro di sé. I genitori non dovrebbero, quindi, preoccuparsi se il figlio ha un amico immaginario come non dovrebbero farlo nel caso non ci sia. Il campanello d’allarme dovrebbe scattare, invece, quando la presenza dell’amico immaginario permane dopo i 10-11 anni, segnale che il bambino tende a vivere in un mondo di fantasia, isolato dagli altri, anziché immergersi nel mondo reale come dovrebbe fare un ragazzino giunto a un giusto grado di maturazione.