LA CHAT DOVE REGNA L'ORRORE DEI NOSTRI ADOLESCENTI LASCIATI SOLI
di Alberto Pellai
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 17 ottobre 2019
Lo psicoterapeuta Alberto Pellai commenta il grave fatto di cronaca che ha visto coinvolti 25 minori che si scambiavano messaggi pedopornografici e inneggianti allo sterminio degli ebrei. Il regno dell'online è privo di regole, e i genitori non devono abbandonare a sé stessi i loro figli in nome della privacy ma guidarli a discernere il bene dal male.-
25 ragazzi indagati: la maggior parte minorenni. 6 di loro addirittura preadolescenti della scuola secondaria di primo grado e quindi non imputabili. Il reato: essersi scambiati video orribili, violenti, filonazisti, pedopornagrafici all’interno di un gruppo WhatsApp chiamato “the Shoah party”. E vedere queste due parole affiancate è già di per sé qualcosa di così efferato e intollerabile da non riuscire a trovare parole per commentarle. Anche se l’indagine è stata effettuata a Siena, sono implicati ragazzi di differente residenza anagrafica, molti dei quali piemontesi. La cronaca dice che si tratta di ragazzi di famiglie normali, con genitori all’oscuro di ciò che avveniva nello schermo degli smartphone dei giovani figli. Una mamma ha fatto la denuncia: aveva guardato di nascosto ciò che in figlio faceva online. E sconvolta ha pensato che denunciare era necessario per far comprendere la gravita di ciò che stava succedendo dentro quello spazio virtuale abitato da minorenni immaturi, forse inconsapevoli, certamente da fermare.
La notizia è orribile, nel senso letterale del termine. Spalanca abissi di orrori con cui mai avremmo immaginato di confrontarci come genitori.
Da anni scriviamo anche su queste pagine che un preadolescente e un giovane adolescente che “pascola” per ore, ogni giorno, nell’online, vive una situazione a rischio.
Da anni invito i genitori a considerare che essere presenti nella vita online dei propri figli giovanissimi, non significa invadere la loro privacy, ma sostenere la loro crescita. Vuol dire aiutarli ad acquisire competenze per muoversi in un modo complesso, dove rischierebbero di farsi male e di fare male, se non siamo al loro fianco. Da anni, invitando i genitori a pretendere di conoscere la password con cui i figli tendono ad isolarsi nella loro vita online, mi sento dire da molti adulti che diffondo un modello educativo repressivo basato sulla sfiducia tra genitori e figli. Da anni come genitore di quattro figli, ho cercato di riempirli di amore a attenzione, fiducia e sostegno, ma mai, e sottolineo mai, ho permesso che si muovessero isolati e soli nell’online prima dei 15 anni e ho preteso di stare al loro fianco, direttamente e indirettamente, nelle loro esplorazioni virtuali. Non so se mi hanno vissuto come un adulto presente o semplicemente come un adulto rompiscatole. So però che questa è stata per me la sfida più impegnativa (e inaspettata) degli ultimi dieci anni. Come padre ho compreso che dopo aver messo nelle loro vite le basi per vivere bene nel principio di realtà, al loro ingresso nell’online dovevo ricominciare tutto daccapo. Perché lì loro gestiscono una seconda vita, in cui spesso le regole della prima non valgono più. Ed è mia responsabilità, insegnar loro quelle regole, fargli comprendere il senso. Perché si deve rimanere profondamente umani, immensamente etici, intelligentemente consapevoli anche nel villaggio virtuale. Dove - se gli adulti non ci sono e non sanno fare il loro mestiere - accadono orrori come quello che ci ha disvelato la cronaca oggi. Di cui siamo venuti a conoscenza grazie ad una mamma che ha rotto tutte le regole usate dalla maggioranza dei genitori attuali: ha spiato nel cellulare del figlio, ha deliberatamente invaso la sua privacy, è rimasta sconvolta dall’orrore che ha visto e se ne è assunta la responsabilità fino in fondo. Denunciando. Bloccando. Ricostruendo la cornice. Per suo figlio e per i nostri figli. E tutti noi, oggi, dovremmo esserle eternamente e immensamente grati.
Mi assumo la responsabilità di citare un libro, in questo articolo, che mi mette in un terribile conflitto di interessi, perché l’ha scritto mia moglie. Però è un libro profondamente vero e assolutamente necessario di fronte ad una notizia orrida come quella dello “Shoah party”. Quindi lo cito. Perché io per primo l’ho riletto pochi giorni fa e trovo che sia intriso di tutta la verità che serve a noi genitori del terzo millennio e di cui dobbiamo imparare a contaminarci, anche a rischio di sembrare bigotti, trogloditi, cavernicoli. Si intitola “La mamma di Attila” (Solferino ed.) e descrive il potenziale Attila che vive nei nostri figli preadolescenti e adolescenti, ma anche il ruolo educativo, protettivo e formativo che gli adulti (nel caso particolare del libro, le mamme) possono avere al fianco di questi soggetti in formazione così pieni di energia.
Noi genitori dei “Neo-attila” del terzo millennio, possiamo permettere alle energie straripanti dei nostri figli di costruire oppure di distruggere. Nell’online la cronaca ci parla ogni giorni di distruzioni che avvengono senza conseguenze, senza interventi, senza consapevolezze. Dei ragazzi, come di noi adulti. E’ ora di cambiare registro. A cominciare da subito.