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Una Giornata per i camici bianchi? Il 29 marzo del grande Carlo Urbani

di Marco Tarquinio

da www.avvenire.it

@Riproduzione Riservata del 23 maggio 2020

Caro direttore,
giorni fa ho provato a proporre pubblicamente l’istituzione di una Giornata per ricordare Carlo Urbani e tutti i sanitari caduti nella lotta alle pandemie. La vedova di Urbani, Giuliana Chiorrini, mi sosteneva. Sono stato ignorato. Avevo proposto il 29 marzo, poiché il 29 marzo del 2003 moriva a Bangkok Carlo Urbani, il medico italiano dell’Oms che aveva scoperto la prima Sars, la sorella maggiore dell’attuale coronavirus Sars-CoViD 2, per poi contrarla e morirne. Carlo Urbani è stato un martire e un visionario, prevedendo tutto ciò che si è ripetuto 17 anni dopo in scala maggiore: la reticenza dei Paesi d’origine della pandemia, la necessità dell’isolamento dei malati e della chiusura delle frontiere, ecc. La sua lezione è stata prima dimenticata e poi applicata, un’amnesia iniziale che ci è costata ritardo di intervento e migliaia di vite. Ho scoperto una petizione che il 20 febbraio vorrebbe celebrare la "Giornata di festa dei Camici Bianchi" perché quel giorno la dottoressa Annalisa Malara di Codogno (bravissima, grande lavoratrice, appassionata) diagnosticava il primo caso Covid-19 italiano, il «paziente 1». Capisco che questa petizione è sostenuta anche da nomi altisonanti dello spettacolo italiano e da un grande battage, ma ritengo che la data e la motivazione siano spropositate e ingenerose verso Carlo Urbani, che ha dato la vita e ci ha lasciato un metodo. Ricordiamo un giorno e una persona che davvero ci riportino al valore della memoria e del compito della medicina applicata alla vita umana.
Gabriele Bronzetti, medico, Bologna

 

Risponde il Direttore

La petizione di cui lei parla, caro dottor Bronzetti, dopo cinque settimane, non ha raggiunto le 17mila firme. L’idea di una giornata di "Festa dei Camici Bianchi" è suggestiva e le intenzioni con cui viene avanzata sono buone, anzi ottime. Anche i nomi dei promotori sono importanti. Ma il perno della proposta è oggettivamente debole: celebrare la prima diagnosi in Italia di una malattia planetaria, il morbo chiamato Covid-19… Difficile mobilitare cuori e menti per una data che può essere associata solo a un dramma ancora senza fine, a un problema ancora senza risposta. Credo fermamente, gentile e caro amico, che la motivazione che sta alla base della sua proposta precedente e ora alternativa a quella lanciata dal regista Ferzan Ozpetek e dal presidente della Siae e gran costruttore di indimenticabili canzoni, Giulio Rapetti, in arte Mogol, sia invece davvero commovente e infinitamente più convincente e salda. Carlo Urbani è una figura grande e luminosa di medico, un autentico eroe del nostro tempo. Nel 2003 con la sua lucida generosità, il suo intuito e il protocollo che applicò per primo a se stesso diede un contributo decisivo per evitare che l’epidemia di Sars diventasse pandemia. Ripeto il concetto e lo sottolineo: il dottor Urbani non si limitò a diagnosticare un male sconosciuto, ma fece sì che se ne capisse la gravità risparmiando al mondo un disastro come quello che stiamo affrontando ora. Il "metodo Urbani" è, insomma, parte cruciale della risposta alle emergenze sanitarie globali. Per questo penso anch’io che avrebbe un significato profondo rendere omaggio a tutti i nostri Camici Bianchi – cioè a medici, infermieri e operatori sanitari – il 29 marzo, giorno della morte di un medico italiano che si è sacrificato per l’intera umanità. Mi auguro che tanti sappiano comprendere e rilanciare questa idea unendola a quella di Ozpetek e Mogol. Diamo un giorno giusto, il 29 marzo, a una giusta Festa.

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