Tik Tok e le sfide estreme: un fenomeno difficile da controllare
di Daniela Baudino ha studiato informatica e poi comunicazione, che ha messo d’accordo l’anima tecnica e quella umanista
da www.citttànuova.it
@Rièproduzione Riservata del 25 gennaio 2021
Il recente fatto di cronaca della bambina che a Palermo ha perso la vita stringendosi al collo la cintura del padre partecipando a una challenge del social più in voga tra i giovanissimi, Tik Tok, mi ha fatto pensare – da madre – a quale azioni le stesse piattaforme, in primis, ma anche gli Stati possono mettere in campo per evitare che succedano episodi simili e come mai sia un fenomeno tanto incontrollabile. Vorrei avere il parere di chi conosce da vicino questi nuovi “luoghi d’incontro”, spesso incomprensibili a chi non è nativo digitale.-
Di nuovo (sembra) una sfida lanciata attraverso il Web, in questo caso Tik Tok, la app più in voga dei giovanissimi. E di nuovo una morte, di una bambina di 10 anni, a Palermo, che chiusa nel bagno di casa si è stretta la cintura di un accappatoio intorno al collo, come (sembra) prevedesse una sfida vista sul social cinese.
Non è ancora stato accertato che il motivo del tragico gesto fosse la partecipazione a una sfida raccolta online, ma il papà della bambina ha ammesso che per la figlia i social erano “la sua vita” e che aveva una decina di account su diverse piattaforme.
Solo una decina di giorni fa Tik Tok aveva preso una decisione abbastanza drastica per garantire più sicurezza, in quel caso rispetto alla privacy, dei suoi utenti, facendo in modo che tutti i contenuti dei profili degli utenti minori di 16 anni (dichiarati) non siano più visibili se non agli utenti della propria cerchia di amici, e che i video non possano essere scaricati a meno che il minore autore del video non lo consenta.
A seguito della tragedia di Palermo, poi, il Garante della Privacy italiano ha disposto il blocco immediato per Tik Tok “dell’uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l’età anagrafica”. Come si legge nella nota diffusa, “il divieto durerà per il momento fino al 15 febbraio, data entro la quale il Garante si è riservato ulteriori valutazioni”.
Social e giovanissimi
Sono soluzioni che però sembrano non impedire il verificarsi di tragedie che hanno “al centro” i social, e che non impediscono che questi fatti di cronaca riportino l’attenzione su diversi aspetti dell’uso del digitale da parte dei più giovani.
Il primo è quello dell’impossibilità (e forse la poca volontà, da parte delle big company) di controllare con esattezza l’età di chi utilizza i social. I quali sarebbero vietati sotto certe età, ma i cui “limiti” sono facilmente aggirabili visto che il controllo dell’età viene fatto attraverso una sorta di “autocertificazione” molto aleatoria. Una soluzione potrebbe essere quella di legare la registrazione a identità digitali, ma molto dovrebbe passare da un controllo e da un divieto che arrivi già dalla famiglia.
Il secondo punto è quello che riguarda la soglia di accesso a dispositivi mobili che va sempre di più abbassandosi, esponendo ragazzi sempre più giovani dentro all’ambiente digitale senza strumenti adeguati per abitarli correttamente. Il dramma di Palermo si è consumato nel luogo che dovrebbe essere più sicuro per un bambino, in casa, a pochi metri dai propri genitori. Spesso ci preoccupiamo dei pericoli che sono fuori dalla porta, senza accorgerci che invece possono essere “in casa”, racchiusi dentro a quello smartphone che spesso viene messo nelle loro mani senza una adeguata consapevolezza.
Ad “aggravare” il tutto c’è il fatto che dentro ai social siamo soli, i ragazzi come ognuno di noi. Il fatto di entrare in contatto virtuale con molte persone, di avere migliaia di follower, ci fa credere di essere in mezzo a una grande folla per cui “valiamo” qualcosa. Ma in realtà questa immersione non fa altro che renderci soli con noi stessi e quindi più fragili. Così online, ciò che per strada avremmo rifiutato in maniera categorica, può apparire allettante, perché fare cose che possono far raccogliere tanti like ci provano a noi stessi e agli altri che valiamo. Ci fanno sentire quella sensazione di essere unici e speciali, come magari non ci sentiamo con chi abbiamo accanto.
Certo, per una famiglia l’interrogativo sul dare o non dare uno smartphone in mano al proprio figlio, e quale sia il momento, è molto grande. Perché se tutti intorno ce l’hanno, la scelta rischia di “isolare” il bambino, e l’unica soluzione diventa quella di impostare sistemi di Parental Control.
Non esiste una ricetta magica e la ricerca di equilibri sembra molto difficile. Certo, mettere uno smartphone in mano a bambini di 10 anni è una scelta molto azzardata. Perché lo smartphone non è solo un telefono, è molto di più. A maggior ragione se poi i bambini e i ragazzi vengono lasciati soli e senza nessun controllo e limite nell’esplorazione di questo modo scintillante, che fa apparire belle e desiderabili anche cose che viste in maniera più distaccata, non lo sarebbero affatto.
È chiaro, viviamo in un mondo che corre veloce e fermarsi dietro ad una barricata non porta a nulla. Diventa allora prioritario ed urgentissimo, oltre a trovare e mettere dei limiti, fatica da cui non ci si può esimere, che il mondo educativo che sta attorno ai ragazzi impari a conoscere questo nuovo mondo, e lo faccia insieme ai ragazzi.
Senza dimenticare che la cosa più importante può essere il far capire loro che il posto dove possono trovare una vera accettazione non è su un social, ma da chi sono voluti bene.