logo sito cav

CAV - Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese ODV

Via Mentana n. 43
27058 Voghera (PV)
Tel: 349 4026282
email: cavvoghera@virgilio.it
Visualizzazioni:
22

Pianto del neonato: i consigli per interpretarlo e gestirlo al meglio

IL CONSULTO ONLINE È PURAMENTE ORIENTATIVO E NON SOSTITUISCE IN ALCUN MODO IL PARERE DEL MEDICO CURANTE O DELLO SPECIALISTA DI RIFERIMENTO

di Redazione

da www.gravidanzaonline.it

@Riproduzione Riservata Dicembre 2019

Il pianto è l'unico strumento di comunicazione che il neonato ha per manifestare le proprie esigenze, malesseri e stati d'animo. Analizziamo le possibili cause, i tipi di pianto e le precauzioni da adottare con l'aiuto della pediatra Pilar Nannini.-

Il pianto è l’unico strumento che il neonato ha a disposizione per comunicare con il mondo esterno. Non sempre scaturisce da fattori patologici e non deve essere vissuto necessariamente con ansia e preoccupazione. Tuttavia, è bene saper interpretare i segnali che caratterizzano i vari tipi di pianto del neonato per comprenderne i motivi e adottare le opportune precauzioni.

La dottoressa Pilar Nannini, specialista in pediatria, ci aiuta a comprendere le possibili cause del pianto del neonato, i metodi più efficaci per calmarlo e i segnali che devono destare attenzione.

Perché i neonati piangono?

Il pianto è un fatto naturale, del tutto normale per un neonato, specie nei primi 3 mesi di vita. In questa fase, infatti, il bambino può piangere spesso nell’arco della giornata e per i motivi più svariati. Nella maggior parte dei casi, l’obiettivo del bebè è richiamare l’attenzione della mamma per averla accanto, chiedere il suo supporto, ricevere una coccola o semplicemente essere preso in braccio.

I pianti del neonato – sottolinea la dottoressa Nannini – sono per lo più di origine fisiologica: il neonato piange perché ha sonno, piange perché è stanco, piange perché vuole il contatto materno o perché avverte un fastidio derivante dal pannolino sporco, da una scarsa o eccessiva illuminazione, dal troppo rumore ambientale o perfino dal silenzio.

Nel primo trimestre di vita, infatti, il neonato utilizza il pianto per comunicare qualsiasi cosa. La necessità di un contatto fisico con la madre, il bisogno di affetto, di sicurezza – e il conseguente stress che deriva da questo stato emotivo – è causa di un pianto continuo e singhiozzante che a volte sembra inconsolabile, ma che in realtà non deve far scattare alcun allarme.

Riconoscere i diversi tipi di pianto non è facile. A pochi mesi di età, il neonato è capace di emettere per lo più vocalizzi, vagiti e mugolii nonostante i fattori scatenanti possano essere di diversa natura.

Il neonato utilizza il pianto come un vero e proprio “linguaggio” per esprimere un bisogno o uno stato d’animo: paura, angoscia da distacco, necessità di essere cambiato, fame, malessere o semplicemente voglia di un contatto fisico.

Esistono sostanzialmente due tipi di pianto: un pianto intenso, acuto, con una tonalità vocale molto alta, e un pianto flebile, più “lamentoso” che è quello che deve destare maggiore preoccupazione. Questo tipo di pianto, di solito, è accompagnato da un atteggiamento complessivo del bambino che sembra meno ricettivo agli stimoli e poco reattivo.

Saper interpretare i segnali che accompagnano il pianto, dunque, può essere d’aiuto per consolare il bambino e sopratutto per distinguere il pianto emotivo – assolutamente normale e non allarmante – da un pianto “patologico”, sintomo di qualcosa che non va e che necessita dell’intervento del pediatra.

Le 5 cause possibili del pianto del neonato

Come abbiamo visto, non tutti i pianti sono uguali. All’origine di questa manifestazione emotiva, possono esserci cause fisiologiche, gestibili più o meno facilmente dai genitori, oppure fattori patologici che richiedono l’intervento del pediatra. In ogni caso, è possibile rilevare dei segnali che possono aiutare a discernerne la vera ragione del pianto. Ecco le 5 cause più comuni e i consigli per gestirle il pianto.

1. Pianto del neonato da fameUna delle cause più frequenti all’origine del pianto del neonato è la fame. I bambini piangono per reclamare il pasto e, se allattati al seno materno, cercano istintivamente il petto della mamma. Questo tipo di pianto si manifesta mediamente a distanza di 2-4 ore dall’ultima poppata, a volte anche meno se il pasto non è stato saziante.

Il pianto inizia in maniera non troppo acuta per aumentare via via di intensità. Il bambino non si consola neanche in braccio, cerca il seno della mamma e l’agitazione aumenta, soprattutto se le sue esigenze non vengono soddisfatte immediatamente

Per capire se il bambino è affamato è sufficiente stimolare l’angolo esterno della bocca e vedere se il bambino fa una smorfia e cerca di voltarsi verso il dito della mamma che ha stimolato il labbro. Questo comportamento prende il nome di “riflesso di cercamento” ed è utile per capire se il bambino è affamato.

Come comportarsi in questo caso?

Consiglio sempre alle mamme di non aspettare per far mangiare il bambino perché trascorso questo tempo sarà più difficile calmarlo, pur offrendogli il latte. Se il pianto continua a ripetersi a distanza di poco tempo dal pasto, meglio consultate il pediatra che valuterà la crescita ponderale del neonato e l’eventuale integrazione di latte formulato nella dieta.

2. Pianto del neonato da sonnoAnche questo tipo di pianto si manifesta in maniera non necessariamente acuta, specie se il bambino viene prontamente consolato dal genitore. A ben guardare, il bambino oltre a piangere si lamenta e tende a portarsi le mani al viso per sfregarsi gli occhi. Prenderlo in braccio, in genere, è sufficiente a calmarlo soprattutto se a farlo è la mamma che nei primi 28 giorni di vita del bambino è il principale riferimento.

3. Pianto notturnoDi notte il neonato piange soprattutto perché sente il bisogno del contatto materno, ne avverte il distacco, non vuole o non riesce ad addormentarsi, oppure piange semplicemente per stanchezza. Si tratta per lo più di un pianto emotivo che può iniziare già nel tardo pomeriggio e protrarsi per diverse ore. Generalmente è il tipo di pianto che preoccupa di più i genitori, perché le risorse emotive e fisiche, soprattutto della mamma, scarseggiano.

In questa fase – spiega la dottoressa Nannini – i bambini dispongono di una scarsa riserva di melatonina, la sostanza prodotta dall’ipofisi, che ha l’importante compito di sincronizzare l’alternanza giorno-notte con i ritmi circadiani che attivano i principali processi fisiologici dell’organismo. Per questo motivo capita spesso che il bambino dorma tanto di giorno e sia attivo di notte. Tuttavia, questa tendenza tende a scemare a partire dal terzo mese, quando il bebè ha acquisito la propria routine e i livelli di melatonina iniziano ad aumentare per sincronizzare i ritmi sonno veglia con l’alternanza luce – buio ambientale.

Il pianto notturno, insomma, mette a dura prova l’equilibrio psico-fisico di mamme e papà ed è molto più difficile da gestire. La cosa fondamentale è assicurare una certa stabilità, sicurezza e abitudinarietà in tutti i procedimenti di accudimento del bambino. E se la mamma ha bisogno di aiuto o supporto psicologico per l’eccessivo stress, deve chiederlo senza esitare.

4. Pianto da colicheAltre volte il pianto del neonato può essere causato dalle classiche coliche gassose che provocano crampi, addome teso e indolenzimento (pianto colitico). Una condizione che in alcuni casi dura fino allo svezzamento poiché strettamente connessa al tipo di latte ingerito o alle modalità di somministrazione.

Nel caso del pianto notturno da colica, il bambino si sveglia per via del dolore addominale. Spesso, infatti, avverte tensione addominale e il neonato piega le gambine verso la pancia per cercare di alleviare il dolore. Clinicamente, il pianto da colica è facilmente riconoscibile perché dura in media più di 3 ore al giorno, per 3 giorni a settimana per 3 settimane consecutive. Bisogna quindi analizzare le modalità di allattamento e il tipo di latte somministrato.

Meglio, quindi, contattare il pediatra che interrogherà la mamma sul modo in cui avvengono le poppate e suggerirà le contromisure da adottare.

5. Pianto patologico del neonatoIl pianto del neonato di natura patologica può essere sia acuto che flebile, ma è accompagnato da una serie di segnali e di alterazioni patologiche abbastanza evidenti.

Il bambino rifiuta il pasto, non riesce ad addormentarsi, è inconsolabile, può presentare alterazioni del colorito cutaneo, è poco responsivo agli stimoli, meno reattivo del solito e presentare calo ponderale, disturbi dell’alvo, della minzione e così via. Tutti campanelli d’allarme che è bene far valutare ad uno specialista.

In questi casi, infatti, la tempestività è d’obbligo e i genitori devono immediatamente attivarsi rivolgendosi al pediatra di fiducia.

Pianto del neonato: cosa fareLa domanda che molte mamme si pongono è: come intervenire? Cosa fare esattamente quando il neonato piange disperatamente? Si può lasciarlo piangere in determinate circostanze oppure bisogna sempre intervenire?

Generalmente al di sotto di un anno di età i  bambini esprimono con il pianto delle necessità fisiologiche che necessitano quindi di un accudimento da parte del genitore, il quale non può mai sottovalutare queste richieste, anzi: è bene che risponda prontamente al pianto prendendolo in braccio, in modo che il bambino riesca a sentirsi sicuro e protetto. In questo modo, il neonato riesce ad instaurare un rapporto di fiducia con chi lo accudisce e a costruire il binomio mamma-bambino. Lasciarlo piangere per troppo tempo pone le basi dell’instaurarsi di uno stato di ansia che può interferire con lo sviluppo psico-fisico del bambino, sia nel breve che nel lungo termine.

La mamma, insomma, deve sempre rispondere al pianto del neonato anche solo con il contatto fisico. Ma ci sono anche degli accorgimenti che possono essere adottati per migliorare le condizioni ambientali in cui vive il neonato e prevenire l’insorgere del pianto?

Non esistono regole precise a riguardo – spiega la nostra specialista – nessun comportamento è assolutamente vietato, ma è importante che il bambino cresca e si abitui alla routine del contesto in cui vive. Di certo, alcuni rumori aiutano più di altri a tranquillizzarlo perché ricreano l’ambiente fetale in cui ha vissuto per nove mesi. Si tratta dei cosiddetti “rumori bianchi“: il fruscio dell’asciugacapelli; il rumore della radio non sintonizzata; quello delle ventole di uno scaldabagno o di condizionatore; lo scorrere dell’acqua mentre si lavano i piatti; il battito cardiaco della mamma.

In generale, il consiglio è fare in modo che il bambino viva in un ambiente che gli consenta di “sentire” il rumore della vita familiare, perché è in quella routine che troverà sicurezza, stabilità emotiva e consolazione.

Top