Minori. L’adozione non morirà. Anche quelle difficili si possono curare
di Luciano Moia
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 16 maggio 2025
Una ricerca del Tribunale per i minorenni di Milano con Università Cattolica e Bicocca mostra che l’alleanza tra famiglie, servizi e giudici riesce ad aiutare anche i minori autori di reati.-

I relatori del convegno di ieri alla Cattolica. Da sinistra: Camillo Regalia, Marilena Chessa, Maria Carla Gatto, Roberta Osculati, Rosa Rosnati, Maria Elena Magrin - Nanni Fontana (Università Cattolica)
Quante narrazioni a tinte fosche sull'adozione negli ultimi anni. Quante volte è stato detto che l'adozione - quella internazionale soprattutto, e quella nazionale di conseguenza - sembrerebbe arrivata alla fine del suo percorso storico. I motivi? Famiglie sempre meno attrezzate dal punto di visto educativo, minori sempre più complicati, bisognosi di cure specialistiche, incapaci di crescere. Come sostenere e promuovere l'adozione in una situazione così difficile? Meglio alzare bandiera bianca, come stanno facendo i Paesi del Nord Europa, Svezia, Belgio, Olanda. E in Svizzera il dibattito tra le due fazioni è acceso. Insomma, di fronte alle difficoltà, alcune oggettive, altre prodotte dalla cultura adultocentrica che vorrebbe governare il nostro modo di pensare, qualcuno vorrebbe celebrare il funerale dell'adozione. Purtroppo, non un’esagerazione. E non sarebbe difficile scoprire chi vuole officiare la liturgia funebre.
Ebbene, non succederà. È stata annunciata ieri una ricerca scientifica che è allo stesso tempo una buona notizia. L'adozione, anche nei casi più difficili, è certamente un percorso impegnativo ma non impossibile. Anche i casi più delicati, quelli in cui il minore è coinvolto in comportamenti problematici, per sofferenze psichiche o per situazioni che richiedono l’intervento dei servizi, oppure progetti rieducativi disposti dall’autorità giudiziaria, l’alleanza tra le famiglie adottive e la rete sociale e istituzionale riesce a contenere gli effetti più deleteri.
Va subito detto – anche per correggere una certa narrazione dell’adozione che, come detto, è troppo spesso un elenco di negatività – che i casi davvero difficili sono risultati solo il 5,4 per cento del totale. E, trattandosi di dati che arrivano dal Tribunale per i minorenni di Milano, che ha competenza su tutta la Lombardia ovest (l’altro tribunale lombardo è a Brescia), si tratta di un campione significativo anche a livello nazionale. Ma chi sono i minori che presentano profili problematici? Hanno in media sei o più anni e, al momento dell’adozione, mostravano fattori di rischio legati alla loro storia personale, alla famiglia e, talvolta, a interventi a volte insufficienti da parte dei servizi sociali. I fascicoli riguardano in prevalenza maschi, adottati spesso già grandicelli (più di sei, sette anni), in cui si sommano fattori di rischio legati alla storia del minore, alla famiglia e a interventi a volte “lacunosi” da parte dei servizi sociali. In particolare, il 20% dei minori ha alle spalle una storia di abuso sessuale e il 22,7% di grave trascuratezza.
Nell’89,5% i minori presentano problemi di salute e nel 63.6% una patologia di tipo psichiatrico: tra questi nel campione femminile, si è riscontrata una prevalenza di disturbi di personalità (65,4%), mentre i maschi presentano una più elevata incidenza di disturbi cosiddetti esternalizzanti, cioè aggressività estrema, violazione delle regole, impulsività violenta (56,8%). Di questi, il 49,5% presentava una diagnosi già prima dell’intervento del Tribunale.
Per quanto riguarda le famiglie, si tratta di genitori con elevato livello di istruzione e con un impegno lavorativo full time. L'80,5% sono coppie coniugate: i casi di separazione sono piuttosto contenuti (8,3%) anche se nel 24,7% la relazione di coppia risulta essere conflittuale.
Nel 20% dei casi la relazione del minore con la madre è risultata buona. Più elevata la percentuale dei casi (26,7%) in cui vi è una buona relazione con il padre. Questo dato è in linea con altre ricerche da cui emerge che i padri non di rado siano molto coinvolti e possano costituire una importante risorsa nel percorso adottivo, mentre la relazione con la madre risulti essere uno snodo critico.
Rilevante è il dato, sicuramente allarmante, relativo alla presenza di violenza familiare: nel 32,7% dei casi assistiamo a condotte di violenza fisica nella relazione con la madre e nel 17,8% dei casi con il padre. Al momento della segnalazione al Tribunale per i minorenni i ragazzi hanno un’età media di 16 anni. I fattori maggiormente determinanti per quanto riguarda l’ingresso nel circuito giudiziario sono l'uso di droghe, le fughe da casa, la violenza familiare, l'abbandono scolastico e la frequentazione di ambienti devianti. Non di rado si registrano tentati suicidi e comportamenti di autolesionismo.
Ieri il dibattito, dopo i saluti istituzionali di Camillo Regalia, direttore del Centro di Ateneo promotore, e di Roberta Osculati, vice presidente del Consiglio comunale di Milano, è stato introdotto da Maria Carla Gatto, presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano, e Marilena Chessa, già giudice dello stesso Tribunale.
Gli approfondimenti, a partire dai dati della ricerca, sono stati presentati da Rosa Rosnati, psicologa dell’adozione in Università Cattolica e referente scientifica della ricerca per l’Ateneo, sul tema “Fattori di protezione e di rischio nel percorso adottivo”; il secondo condotto da Maria Elena Magrin, psicologa sociale in Bicocca e referente scientifica per il suo Ateneo, sul tema “Oltre al territorio: la risposta comunitaria”.
La ricerca si basa sui fascicoli aperti dal Tribunale ed è volta a ricostruire dall’inizio il percorso adottivo e la storia di minori che presentano comportamenti altamente problematici e che richiedono l’intervento non solo dei servizi socio-sanitari ma anche di progetti rieducativi disposti dall’autorità giudiziaria. L’indagine aveva una finalità esplorativa ed è stata promossa e sostenuta direttamente dalla presidente del Tribunale, Maria Carla Gatto: «Sono stati individuati 110 casi riguardanti minori adottati sul totale di 2.556 fascicoli amministrativi riguardanti tutti i minori, non solo quelli in adozione, aperti tra il 2015 e il 2018 e chiusi al momento della ricerca. L’incidenza percentuale dei casi in esame appare quindi modesta, assestandosi al 5,4% di tutti quelli trattati presso il Tribunale nel periodo di riferimento. I procedimenti amministrativi ad oggi analizzati sono 110, nel 39,1% dei casi (43 ragazzi), risultano associati uno o più fascicoli penali».
Sulla base della ricerca emerge il ruolo significativo del Tribunale per i minorenni. Nei casi esaminati i giudici minorili sono riusciti a contenere gli effetti peggiori, incidendo positivamente sui percorsi di crescita di questi ragazzi nella maggioranza dei casi. Così, spiega la ricerca, alla chiusura del fascicolo amministrativo, l’esito è stato ritenuto “migliorativo” nel 47,6% dei casi, “stazionario” nel 30% e “peggiorativo” nel 20,4%. Questo significa che le misure adottate dal Tribunale, tramite l’attivazione di progetti sul territorio (22.8%), e l’eventuale inserimento in comunità residenziale, (nel 67,2% de casi, di cui 59,5% di tipo educativo e 40,5% di tipo terapeutico) si traducono in interventi che manifestano una loro efficacia.
Per completare il quadro occorre ricordare che i minori dichiarati adottabili – parliamo naturalmente di adozione nazionale - dal Tribunale per i minorenni di Milano sono circa 80 l’anno. Un numero che si mantiene costante da almeno un decennio. Nel 2024 sono stati 78, di cui 24 da genitori ignoti e 42 provenienti da altre gravi situazioni. «Fino a qualche anno fa – ha fatto notare la presidente Gatto – la proporzione era rovesciata, cioè tantissimi bambini abbandonati alla nascita e molto meno quelli provenienti da famiglie gravemente disgregate. La situazione di questi anni ci dice che, mentre il crollo delle nascite ha provveduto a ridurre il numero di minori provenienti dal cosiddetto parto in anonimato, sono aumentati in modo preoccupante i nuclei familiari con problemi relazionali molto pesanti. E questo ci racconta di una situazione sociale tristemente peggiorata».
Proprio in queste realtà l’intervento del Tribunale per i minorenni, anche di fronte al crescente disagio di giovanissimi che mostrano difficoltà al raggiungimento dell’autonomia, si rivela determinante.
«Questa ricerca – ha poi spiegato Rosa Rosnati - è importantissima per far capire gli itinerari di crescita di questi ragazzi. Ma direi che anche la collaborazione tra il Tribunale e due università milanesi è un fatto eccezionale. Abbiamo anche ribadito un punto fondamentale: le famiglie adottive non devono rimanere sole. Serve una rete di supporto che possa accompagnare e sostenere il percorso adottivo. Oggi questa rete è molto frammentata, mentre i segnali di disagio vanno precocemente intercettati. Perché è importante? Perché tutte le famiglie sono chiamate prima o poi a rapportarsi con il trauma dei loro figli e hanno bisogno delle cosiddette “esperienze genitoriali terapeutiche”». Ecco perché il coinvolgimento dei genitori e la loro capacità di collaborare coi servizi e col tribunale «costituiscono una rilevante risorsa associata in modo statisticamente significativo a una maggiore probabilità di un esito positivo del percorso svolto in Tribunale», ha osservato ancora la docente.
«Certamente l’alta percentuale di ragazzi con una diagnosi di tipo psichiatrico pone non pochi interrogativi su quali percorsi siano effettivamente efficaci a fronte di una scarsità di risorse specifiche e in particolare di una strutturale carenza di comunità terapeutiche per i minori – ha aggiunto la professoressa Magrin –. Inoltre, rimane aperto l’interrogativo relativamente a quanto gli operatori sappiano cogliere la specificità di cui sono portatori i ragazzi che hanno alle spalle una storia di adozione».
Insomma, l’alleanza tra famiglie, servizi e Tribunale è un punto di partenza irrinunciabile per arginare le situazioni più problematiche, sia quelle di natura psichiatrica, sia quelle che sfociano in provvedimenti giudiziari. Dove questa alleanza si è realizzata, una percentuale importante di situazioni a rischio è stata arginata, ma rimane il profondo rammarico per quei casi che sono stati penalizzati dall’impossibilità di avviare interventi precoci, così che le traiettorie di vita di troppi ragazzi sono state segnate da una duplice ferita, l’abbandono da parte delle famiglie e l’intervento carente del sistema di sostegno. E, come hanno riconosciuto tutti gli esperti intervenuti – gli psicologi Giancarlo Tamanza, Anna Marazza, Maria Elena Magrin, i neuropsichiatri infantili Stefano Benzoni e Marco Siviero, don Claudio Burgio e l’assistente sociale Luigi Gregis – la prevenzione rimane l’argine più efficace per sostenere la vulnerabilità dei minori e delle loro famiglie. E le istituzioni, ad ogni livello, non possono stare a guardare.