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L’Italia non è un Paese per padri

da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 24 giugno 2025

Il nuovo Rapporto SOSEF evidenzia la lentezza dell’Italia nel sostenere una paternità coinvolta e corresponsabile. Mentre Spagna e Portogallo avanzano con congedi più lunghi e paritari, nel nostro Paese persistono barriere culturali, sociali e normative che frenano il cambiamento. Ma le madri e i padri italiani chiedono con forza politiche concrete.-

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Padri presenti, attivi, coinvolti. È questa la fotografia che emerge dal Rapporto SOSEF – State of Southern European Fathers, presentato il 18 giugno nella sede nazionale dell’Ordine dei Giornalisti a Roma. Un’indagine condotta da Equimundo in Italia, Spagna e Portogallo, nell’ambito del progetto europeo EMiNC – Engaging Men in Nurturing Care, con il coordinamento internazionale di ISSA e la promozione italiana del Centro per la Salute delle Bambine e dei Bambini (CSB Onlus).

L’indagine – illustrata da Annina Lubbock e Barbara Vatta del CSB – ha coinvolto oltre 1500 genitori, metà uomini e metà donne, con figli conviventi e in larga parte under 40. In Italia hanno partecipato 509 persone da tutte le regioni, offrendo uno spaccato realistico e insieme problematico della paternità nel nostro Paese.

Il dato più evidente? La spinta al cambiamento esiste, ma procede a rilento. Se in Spagna e Portogallo si registrano politiche di sostegno più avanzate, l’Italia continua a trascinarsi tra occupazione femminile al 53%congedi di paternità tra i più brevi d’Europa (2 settimane contro le 16 spagnole) e una cultura della cura ancora appaltata quasi esclusivamente alle madri.

Eppure, i padri ci sono. Desiderano esserci. La ricerca mostra una maggiore corresponsabilità maschile nella gestione domestica e nella cura dei figli, ma evidenzia anche barriere strutturali e normative che ostacolano questa evoluzione. Non sorprende che un genitore su quattro dichiari di vivere una condizione di “cura sandwich”, ovvero assistenza simultanea a figli e familiari anziani. In Italia la percentuale sale: 31% tra gli uomini, 37,5% tra le donne.

Non è solo questione di volontà. I dati lo dicono chiaramente: il tempo è il primo grande ostacolo. Lavori rigidi, orari infiniti, precarietà diffusa rendono difficile anche solo immaginare una genitorialità condivisa. È per questo che serve una svolta politicacongedi obbligatori, più lunghi e retribuitiflessibilità lavorativacambiamenti culturali che ridefiniscano il concetto di mascolinità.

La consapevolezza però cresce. Il 66% delle madri italiane voterebbe un partito che sostenesse un congedo genitoriale equo e retribuito. E la stragrande maggioranza dei padri riconosce i benefici di una presenza accudente fin dai primi mille giorni: per sé, per i figli, per le partner.

In gioco non c’è solo l’equilibrio familiare, ma la salute sociale di tutto il Paese. Numerosi studi dimostrano che la presenza di padri coinvolti riduce comportamenti violenti negli adolescentifavorisce la prevenzione della violenza domesticapromuove una cultura della cura condivisa. Ma senza politiche adeguate, senza un sostegno concreto da parte dei servizi educativi e sanitari, questo cambiamento resta incompiuto.

Serve una trasformazione sistemica. Serve una riforma del lavoro, della narrazione pubblica sulla genitorialità, e la creazione di reti di padri, di gruppi di pari, di comunità in grado di sostenere questa nuova paternità. Perché, come ricorda il rapporto, la politica e la cultura contano. E oggi più che mai, sono chiamate a fare la loro parte.

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