L'emergenza. Autismo, il grido dei genitori: «Lasciati soli, con aiuti inadeguati»
di Redazione Internet
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 11 marzo 2021
Aumentano le diagnosi di un disturbo dello spettro autistico, ma l'Italia è rimasta indietro di decenni nell'affrontare il problema.-
L’associazione nazionale genitori persone con autismo – 3mila associati – esiste dal 1985 e ha attivato una capillare rete regionale e provinciale, oltre a disporre di un "numero blu" (800 031819) attivo dal lunedì al venerdì (15,30-19).
Vent’anni fa i bambini a cui venivano diagnosticato un disturbo dello spettro autistico erano uno su 150. Oggi si stima che potrebbero essere uno su 50. Una costante tendenza all’aumento, monitorata anno dopo anno, secondo cui i piccoli che soffrono di questo disturbo dovrebbero essere nel nostro Paese oltre 600mila. Circa quattromila nuovi casi ogni anno.
Tutto al condizionale perché in Italia non esistono statistiche ufficiali su questa patologia. Quello che sappiamo è frutto della ricerca americana, secondo cui le persone autistiche rappresentano tra l’1 e il 2 per cento della popolazione. I maschi quattro volte di più delle femmine. Ma, spiegano gli esperti, quando si parla di disturbi dello spettro autistico occorre fare un passo indietro. Non solo ignoriamo le cause, ma siamo consapevoli che ogni forma è diversa dall’altra, rendendo la diagnosi particolarmente complessa.
Lo sanno bene i genitori che combattono contro la patologia dei loro figli e che hanno spesso alle spalle anni di pellegrinaggi da un ospedale a un altro, da uno specialista a un altro, nel tentativo di trovare una parola affidabile. Racconta Benedetta Demartis, presidente dell’Angsa (associazione nazionale genitori persone con autismo): «Per noi la prima criticità è la diagnosi, spesso sbagliata, spesso comunicata in modo freddo, impersonale». E, dopo la diagnosi, il futuro.
Quando un genitore chiede al medico: «E adesso?», in troppe occasioni la risposta non arriva. «Le nostre strutture sanitarie, nella maggior parte dei casi, sono fermi alla vecchie teorie. Prevedono qualche trattamento di psicomotricità, di logopedia, poco altro. E sopra di noi continua a pesare un grande macigno».
Le famiglie costrette a fare i conti con situazioni spesso al limite lanciano l’allarme, dopo la tragedia nel Trevigiano, dove un padre ha ucciso il figlio di due anni
Le eccezioni ci sono, per fortuna. Proprio a Novara, vent’anni fa, Demartis e un piccolo gruppo di altri genitori con figli autistici, ha messo in piedi un Centro d’avanguardia per la cura dell’autismo che adesso ha 50 dipendenti, tra cui 30 psicologi, pedagogisti clinici, educatori. «Prima di pensare a mia figlia, ho dovuto costruire con altri 5 famiglie "arrabbiate", una nuova struttura. Un contributo fondamentale è arrivato dalla neuropsichiatra infantile, Chiara Pezzana, che oggi è il nostro direttore scientifico».
Ma anche il Comune di Novara, che ha concesso in uso gratuito un edificio inutilizzato e alcune aziende della zona, hanno dato una mano importante. «Oggi – riprende la presidente dell’Angsa – sono 170-180 le famiglie seguite dal nostro centro. Dal 2019 abbiamo anche una convenzione con il sistema sanitario nazionale e siamo anche un centro che accoglie i tirocinanti universitari». Ma Novara è un caso un po’speciale. Troppo spesso le famiglie con figli autistici che hanno la sfortuna di essere lontani da questi centri non sanno cosa fare.
«Le relazioni all’interno dei nostri nuclei familiari – riprende Benedetta Demartis – sono messe a dura prova quando c’è un figlio autistico. È capitato anche a me. Ho fatto 5 anni di psicoterapia per accettare il fatto che mia figlia non mi guardasse negli occhi. Già da neonata mi spingeva via con i pugni, non sorrideva. E i medici cosa dicevano? È una psicosi generata da una relazione con la mamma. Ora finalmente la ricerca scientifica è su altre posizioni».
L’affinamento dei criteri diagnostici permette di intercettare un numero molto più elevato di bambini con questi problemi. Il resto lo fanno l’aumento degli screening psicologici in età precoce e una maggior consapevolezza sull’autismo negli operatori sanitari e nei genitori. Ma gli interrogativi sono ancora pesanti. Una risorsa preziosa è quella associativa.