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La morte di Desirée. La psicologa: «Modelli sbagliati e nessuna difesa»

di Lucia Bellaspiga

Maria Rita Parsi, psicologa: cresciuta senza punti di riferimento, li ha cercati nel branco e nella droga.-

Bisogna ripensare a Desirée 16 anni fa, quando è venuta al mondo. La sua vita era ancora tutta da scrivere, doveva sfociare in un futuro in cui potersi giocare le proprie carte, far valere i talenti, cogliere le occasioni date dal destino... «Invece quella creatura appare già come un germoglio con il futuro segnato. Desirée è morta perché aveva quella famiglia, è morta perché era in quella scuola, è morta perché frequentava quel quartiere e quegli 'amici', è morta perché nessuna di queste quattro realtà l’ha difesa». Maria Rita Parsi, psicoterapeuta nota al grande pubblico anche televisivo, autrice da 40 anni di saggi sui bambini e sull’adolescenza difficile, oscilla tra rabbia e pietà.

Una ragazza può essere drogata, poi stuprata in gruppo, infine uccisa, senza che nessuno senta nulla. E non nel deserto libico ma nel cuore di Roma. Cosa non funziona nella nostra società?
San Lorenzo non è un quartiere qualsiasi, è un luogo magico e maledetto insieme, simbolico di tanto se non addirittura di tutto: già porta il nome di un santo martire molto venerato, e questo è un particolare sul quale riflettere, ma poi è lì che Roma subì il primo bombardamento nel ’43, Pio XII si recò di persona nella devasta- zione. È un rione che ha sempre avuto una storia forte, di lotte operaie e conquiste sociali, anche di scontro tra ideologie, tra Feste dell’Unità e oggi Casa Pound, tutti in modo diverso schierati contro spaccio e delinquenza... Per questo il degrado in cui è stato lasciato è inaccettabile, si sapeva benissimo dov’era lo spaccio e cosa avveniva in quelle topaie, era noto a tutti e nessuno ha fatto niente. È questo che non funziona.

Prima che avvengano fatti tanto drammatici, i segnali di allarme esistono.
E sono numerosi, ma da noi si corre ai ripari quando la tragedia è avvenuta. È come per il ponte di Genova, l’intervento è dopo il crollo, quando agire costa infinitamente di più e soprattutto ormai devi contare i morti. Per questo Desirée non c’è più.

L’incontro con il branco di spacciatori che ne ha fatto carne da macello sembra essere un destino annunciato. Erano queste le persone che frequentava, nella sua disperata adolescenza.
Il padre, di cui non portava il cognome, era uno spacciatore, pure accusato di stalking nei confronti della madre, che l’aveva avuta a 15 anni. Questo era il suo riferimento, il modello dalla nascita, e allora con gli spacciatori ci dialoghi, anche se magari quello stesso padre cerca di tenerteli lontani. Desirée, poverina, è andata in bocca all’orco, ha reiterato l’esempio che aveva avuto.

La famiglia, dunque. Ma non solo...
E la scuola. È lì che si possono preventivamente cogliere i segnali del disagio familiare attraverso gli sportelli di ascolto e le équipe di psicologi, ma anche i progetti creativi, culturali, il teatro. Invece la scuola spesso si limita a bocciare o segnalare ai servizi sociali. Desirée era seguita dai servizi sociali eppure è finita così: vuol dire che non è bastato, che si doveva fare altro. Se nella famiglia ci fosse stato un ambiente diverso, se nella scuola avesse trovato un riferimento forte, se nel quartiere avesse avuto giuste amicizie, Desirée avrebbe ancora la sua vita da affrontare, non sarebbe morta di violenza a 16 anni in un palazzo sventrato nel cuore di una capitale.

Anche una lieve disabilità che la faceva zoppicare pare abbia influito sulla sua ribellione alla vita che le era toccata.
Gli aguzzini che l’hanno usata e poi gettata hanno 'giustiziato' la persona fragile e diversa, in lei hanno colpito tre cose: prima di tutto l’essere una donna. Poi il suo handicap, che non è tanto quello fisico ma soprattutto la totale mancanza di protezioni che aveva alle spalle. Terzo, le conoscenze e gli 'amici' che aveva e che non hanno mai fatto nulla per lei: se una ragazza frequenta il branco un motivo c’è, vi cerca quella forza che altrove non trova ma paradossalmente ne cade vittima. E per una come lei non c’è nessuno a difenderla.

Eppure, dicono in paese, il padre spacciatore non ammetteva che a sua figlia si vendesse la droga a Cisterna di Latina. Soprattutto la madre aveva cercato di tenere Desirée lontana dalle cattive compagnie ma lei era ribelle, scappava. E i genitori oggi chiedono giustizia.
Chiediamoci: è questo l’'aiuto' che una figlia chiedeva? Inutile vietare a lei ciò che si vende ai suoi coetanei. Se hai in casa un modello legato alla droga, se manca una famiglia unita, con legami saldi ed esempi sani, lo spacciatore diventa la persona più normale da frequentare e la droga il tuo pane quotidiano. Sono certa che abbiano cercato di 'aiutarla', a un certo punto, ma non con ciò di cui quella bimba di 16 anni fa avrebbe avuto bisogno per crescere i suoi sogni e provare a realizzarli. Anziché andarli a spegnere sul pavimento gelido di un mattatoio.

da www.avvenire.it

@Riproduzione Riservata del 26 ottobre 2018

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