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«IL MIO SOGNO RICORRENTE, UNA BIMBA CHE GIOCA SULLA PORTA DEL PARADISO»

di Don Antonio Mazzi
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 31 maggio 2021

Il celebre sacerdote, fondatore di Exodus, racconta la fede vista dai suoi novant' anni. "Ho deciso di svitare la mia testaccia e di riaprire il libro della speranza".-

Vado dicendo da qualche tempo che il grande mistero della fede mi diventa sempre più immenso, mentre la mia povera umanità e il mio piccolo intelletto naufragano nella nebbia. L’abbraccio del Padreterno potrà accogliere uno come me? Non mi accontento più come facevo da giovane di accettare definizioni e catechismi che portano fino ai piedi delle balaustre, ma che poi davanti alla tomba del Cristo (così penso al tabernacolo) complicano interiormente i già fragili motivi del mio credere. Perciò, ho deciso di svitare la mia testaccia, di buttarla da qualche parte, e di riaprire il libro delle speranze, per cui sto da tempo facendo mia la frase: invecchiando mi sto accorgendo che ho meno fede e sempre più speranza. Quasi disperato ho sostituito al cervello nostalgia, sentimenti e sogni. Perché secondo una mia teoria la speranza dà gambe ai sogni. Erasmo diceva che il testo biblico non si rifà a una lingua, ma è pieno di lingue: «La lingua degli angeli, quella degli uomini, la lingua della terra e quella del cielo, la lingua degli infiniti e la lingua di Dio». E aggiungeva José de Mendonça che la Bibbia è un osservatorio e un serbatoio e che scritta con parole che sognano. È affascinante pensare che nella Bibbia abbonda il sublime, ma percepito in un realismo da vita comune inseparabile dall’ordinario e dal quotidiano. È tempo che tutti noi superiamo le nostre parole, le nostre definizioni, le nostre teorie sulla fede e accettiamo la galassia dei significati. Dice un altro biblista che non ricordo: «Leggere sarà sempre perdere il testo e il senso». A me è capitato così. Ho capito che arrivati a un certo momento della vita bisogna avere il coraggio di fermarsi, poiché non capiamo e incominciamo a sognare. Mi accorgo che hanno fatto così tanti personaggi della Bibbia e tanti Santi. Loro avranno sognato perché avevano troppa fede, io invece sogno perché forse non ne ho abbastanza.

Poi pensandoci bene ho visto che la speranza è sorella gemella della fede. E quindi in qualche modo non solo mi giustifico, ma mi salvo e non mi vergogno più. Rubem Alves racconta che davanti alla porta del paradiso c’è una bambina che non consulta nessuno e neppure chiede niente. Solamente apre un baule enorme dove sono custoditi infiniti giochi e a tutti quelli che arrivano chiede di giocare con lei. Molti giocano, altri invece arrivano carichi di valigie con l’etichetta «opere buone». La bambina sorride e dice: «Tornate quando avrete imparato a giocare!». Io, se è così, sto giocando da tutta una vita con i miei ragazzi. Perciò spero.

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