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IL CASO LARA LUGLI: LA MATERNITÀ È UN BENE COMUNE

di Emma Ceccarelli Emma Ciccarelli, vicepresidente del Forum della Associazioni familiari  vicepresidente del Forum della Associazioni familiari e portavoce del coordinamento donne del Forum “DxD”
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 11 marzo 2021

Nel mondo del lavoro gravidanza e pancione sono considerati come un fatto di cui doversi vergognare. È tempo di voltare pagina e di mettere al centro del dibattito pubblico il valore sociale della scelta di avere un figlio (Emma Ceccarelli).-


La vicenda di Lara Lugli la pallavolista italiana colpevole di “aver taciuto la sua intenzione di avere figli” durante la trattativa del suo ingaggio, sta suscitando scalpore ed indignazione. Questi i fatti. Nella stagione 2018-2019 infatti Lara fu ingaggiata da una squadra di B1. A marzo comunicò alla società che avrebbe interrotto l’attività perché incinta. La gravidanza non giunse però a termine per un aborto spontaneo. La società, dopo che Lara chiede di saldare il compenso mai corrisposto del mese di febbraio 2019, la cita per danni per non aver onorato il contratto.
Tante le voci che si sono alzate in sua difesa, tante le donne e le associazioni che hanno voluto esprimere la loro solidarietà a Lara per l’atto discriminatorio ricevuto.
Il caso di Lara non è isolato nel suo genere, ogni giorno tante donne sono costrette a rinunciare al lavoro a causa di una maternità o della gestione dei figli. La maggior parte di queste donne non fa notizia ed è rassegnata ad affrontare una scelta forte nella consapevolezza di non essere apprezzata nel mondo del lavoro, la maternità e il pancione sono considerati come un fatto di cui doversi vergognare.
Questa prassi si è particolarmente acutizzata in questo ultimo anno di pandemia. Nello scorso dicembre l’Istat certifica che su 101 mila posti di lavoro persi per, il 98% sono donne. Un triste primato. Le donne strette nella morsa della pandemia che continuava a chiedere sacrifici alle famiglie, non riuscendo più a conciliare i tempi dei figli con quelli del lavoro, hanno scelto di rinunciare al lavoro. Scelta obbligata e sofferta.
Le politiche per le pari opportunità fanno ancora fatica a consolidarsi e le donne continuano ad essere penalizzate e discriminate a causa della maternità in quanto questa implica per l’impresa costi di sostituzione della lavoratrice in gravidanza.
È tempo di voltare pagina e di mettere al centro del dibattito pubblico il valore sociale della maternità; aiutare le donne a mettere al mondo un figlio è un investimento per tutto il paese. E’ tempo di abbattere quel vecchio retaggio culturale che considera la maternità una schiavitù per le donne e un ostacolo alla propria realizzazione nella società.
La pandemia e la grave crisi demografica in corso stanno indebolendo oltre che il presente anche il futuro del paese. L’Istat nell’ultimo report ci ricorda che il numero medio di figli per donna continua a scendere: ben 1,18 per quelle con cittadinanza italiana, mentre è di 31,3 anni l’età media in cui si diventa madri per la prima volta. Considerando che la fertilità femminile comincia a calare dai 35 anni in su, e che non tutte le donne in età fertile scelgono di diventare madri, lo scenario futuro che si delinea è molto preoccupante.
La vicenda di Lara Lugli è emblematica e ci lascia inquieti. Che questa inquietudine non sia soffocata dalla paura, ma dia lo slancio per una nuova rinascita sociale ed umana del nostro paese.
 

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