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Identikit di un bullo. Perché i ragazzi fanno male ai coetanei

di Irma D'Aria

da www.repubblica.it

@Riproduzione Riservata del 05 febbraio 2020

Un fenomeno spesso presente nelle cronache e protagonista della Giornata nazionale contro il bullismo  che si celebra il 7 febbraio. Lo psicoterapeuta: "Il ruolo dei genitori? Il primo problema è che hanno smesso di educare i figli".-

AMBIGUI, aggressivi, a volte violenti. Sono i tanti bulli che riempiono le scuole e i cortili, rendendo la vita impossibile ai loro coetanei. Secondo i dati dell’Istat, in Italia un ragazzino su due è vittima di episodi di bullismo. L’età a rischio è quella compresa fra 11 e 17 anni, con parolacce e insulti, derisione per l’aspetto fisico e poi, in 4 casi su cento, si arriva a botte, calci e pugni.  Un fenomeno spesso presente nelle cronache dei giornali e protagonista della Giornata nazionale contro il bullismo  che si celebra il 7 febbraio.

Ma cosa c’è dietro questo termine e cosa si può fare per aiutare le famiglie e i ragazzi? Lo psicoterapeuta Domenico Barrilà da anni si occupa del fenomeno. E proprio in questi giorni esce il suo libro Tutti bulli. Perché una società violenta vuole processare i ragazzi (Feltrinelli, Collana Urra), un testo che chiude una trilogia sulle giovani generazioni iniziata quattro anni fa con “Quello che non vedo di mio figlio” e proseguita con “I superconnessi”.

Chi è il bullo?

La prima domanda alla quale cercare di rispondere è chi sono i bulli? Nel libro di Dan Olweus "Bullismo a scuola" uscito nel 1993 e ritenuto un classico della materia, l’autore sostiene che “molti bulli, oltre a essere dei tipi duri e ad avere fiducia in sé stessi, sono abili nel sottrarsi alle responsabilità in situazioni ambigue e spesso descrivono il comportamento della vittima come aggressivo, provocatorio e stupido”. Una posizione con cui non è affatto d’accordo Barrilà. "Una persona realmente sicura di sé - spiega - non perderebbe il proprio tempo a mortificare i suoi simili. Le infrazioni perpetrate ai danni degli altri nascondono invece profondi vissuti di inadeguatezza, dunque parlano di danni nell’animo del carnefice, di insicurezza, talvolta insospettabile, di desolazione e sentimenti di rivalsa”. Ma nella maggior parte dei casi, in un atto di bullismo noi vediamo e ci concentriamo solo sul gesto antisociale ignorando tutta la filiera di eventi che lo precede, quell’intreccio di avvenimenti che potrebbe spiegare meglio di qualunque altra cosa la violenza che contiene.

Alla ricerca del colpevole

Ragazzi insicuri che diventano aggressivi. Ma resta da capire come mai questi adolescenti si comportano in questo modo. Spesso la scuola viene additata come prima fucina in cui si formano i bulli. E’ davvero così? “La scuola non è il luogo della violenza, non lo è più di quanto possa esserlo la società anche perché ci sono 9 milioni di studenti, circa 15 milioni di genitori, 20 milioni di nonni e un paio di milioni di personale scolastico. Insomma, superiamo i 40 milioni di italiani, quindi possiamo dire che la scuola coincide con la società”, riflette lo psicoterapeuta.

Genitori che non educano

E poi ci sono le famiglie: solo a Milano si stima che sette matrimoni su dieci saltino dando vita a situazioni familiari a volte difficili. Che ruolo giocano i genitori nella formazione di un bullo? “Il primo problema è che hanno smesso di educare i figli e questo ha creato due tipi di bambini con forte rischio di comportamenti socialmente deviati: quelli viziati che non saranno accolti nel gruppo perché vogliono imporre la propria volontà e quelli poco amati che pensano di non essere in grado di entrare nel gruppo”. In entrambi i casi, si tratta di due potenziali punti di partenza di fenomeni di bullismo. “Essere genitori - prosegue - non significa appiccicarsi fisicamente ai figli, ma conoscere perlomeno discretamente il loro terreno interiore, percepire vibrazioni e turbolenze, andare oltre le apparenze, magari usare parametri di valutazione che non siano solo il rendimento scolastico. Ma attenzione – spiega l'esperto - , invece di giudicare le famiglie, proviamo a capirle”.

Se la Tv è aggressiva

Oltre alla scuola e alla famiglia, c’è un altro ‘imputato’: la società in cui vivono e crescono i ragazzini. “La sua influenza sul comportamento - spiega ancora Barillà  - è potente soprattutto per un bambino o un ragazzo, persone in formazione che assorbono sì parole e precetti dal contesto educativo, ma soprattutto i modi di agire, cogliendo le contraddizioni tra detto e fatto. Perciò, se in televisione vediamo critici d’arte o gente della politica che si esprime con parolacce, cosa possiamo aspettarci dai ragazzi?”. A questo salto tra le parole e i fatti i ragazzi tendono a reagire in due modi: o invalidando la fonte, che così perde ogni autorevolezza, oppure assumendo quell’incoerenza come comportamento tipico di chi diventa adulto e quindi incorporandolo nel proprio. “Del resto - fa notare l’esperto - un capitano ubriaco non può aspettarsi che i marinai siano astemi, così come un dietologo sovrappeso non potrà mai pretendere di essere preso sul serio dai pazienti”.

Nella testa dei prepotenti

Siamo tutti coinvolti e ciascuno dovrebbe fare la sua parte. Chi compie l’atto di bullismo non va in terapia, ci vanno le vittime. In realtà, per aiutare davvero chi rimane schiacciato dagli eccessi altrui, bisognerebbe scavare nella testa dei prepotenti e domandarsi cosa succede in quella delle vittime riconoscendo che – a vari livelli – tutti siamo parte in causa. “L’educazione, come un’epidemia buona, funziona solo per contagio, per imitazione”, fa notare Barrilà che aggiunge: “Non viene spontaneo soccorrere il prepotente, ma non possiamo ignorare la sua atipica richiesta di aiuto. Di sicuro, non possiamo assegnare una medaglia al valore a un ragazzo violento, che mette continuamente a repentaglio la serenità e l’incolumità dei suoi coetanei, che disturba o rende impossibili le lezioni, tuttavia, tolta la reclusione, non rimane che la strada dell’educazione”.

Un Piano Marshall per educare i ragazzi

Serve davvero un cambiamento radicale. “Dobbiamo tornare ad educare, ma occorrerebbe un Piano Marshall che includesse anche le istituzioni per aiutare le famiglie che spesso sono disfatte e non sanno a chi rivolgersi. Avremmo bisogno di due grandi ministri, uno al Welfare e un altro alla scuola, e poi preparare i funzionari ministeriali e mettere sugli attenti i sindacati spiegando che la scuola non è soltanto la difesa dei diritti degli insegnanti e dei bidelli ma che ci sono principi più essenziali e condivisi da tutti”. L’educazione deve avvolgere tutti: la scuola che deve superare la logica del colpevole, e la famiglia che a sua volta deve abbandonare l’atteggiamento giudicante nei confronti della scuola.

 

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