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I PROMESSI SPOSI NON VANNO SFRATTATI DALLA SCUOLA, MA RILETTI DA GRANDI. ECCO PERCHÉ

di Elisa Chiari

da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 07 settembre 2022

Lo spezzone di un intervento di Umberto Galimberti riaccende sui social il dibattito sui Promessi sposi a scuola. Noi la pensiamo così.-

Antefatto. Come spesso accade sui social, dove nulla si crea e nulla si distrugge, il polverone monta non si sa da dove e perché, ma il dibattito che ne è uscito sulla questione “leggere o non leggere I promessi sposi a scuola?” ha un suo perché di interesse e suggestione a pochi mesi dai 150 anni dalla morte del Manzoni.

Vediamo intanto da dove è partito il tutto: uno spezzone di un paio di minuti, decontestualizzato da un intervento di qualche anno fa di Umberto Galimberti, è tornato a girare. Nel video si citano I Promessi sposi e si dice – in mezzo ad altre cose che lasciano presumere un contesto - che sarebbe ora di smettere di farlo leggere a scuola perché dà ai ragazzi l’idea «che quello che tu fai non conta un tubo perché a un certo punto arriva la Provvidenza e risolve tutto». È bastato che tornasse a rimbalzare su Facebook, in questi giorni, perché l’argomento, per altro ciclico, tornasse attuale. Lo riprende oggi, 7 settembre 2022, Paolo Di Stefano sul Corriere.

Pretestuosa o meno che sia l’occasione, il tema c’è. Siamo d’accordo, un romanzone ottocentesco può riuscire ostico ad adolescenti disabituati alla lettura, ma la scuola esiste anche per insegnare che le vette si conquistano a prezzo di fatica gratificante. Quanto all’argomento “provvidenza” evocato en passant da Galimberti, forse è l’esito se non di un fraintendimento, di una lettura superficiale, o magari solo molto datata nel tempo: basta rileggersi il passaggio in cui don Abbondio, sopravvissuto mentre il padre Cristoforo ne muore, paragona la peste a una scopa, per capire che l’interpretazione di Galimberti è troppo basica per essere portata a paradigma. Ma è anche vero che parliamo di un inciso in un discorso altro, che ci dà solo uno spunto. Come tale va trattato, per onestà intellettuale.

Se c’è una cosa che, però, invece colpisce, in questo gigantesco classico che ci unisce perché tutti lo leggiamo a scuola e che ci rappresenta come popolo in modo insuperabile, è il fatto che a ogni rilettura ci regala uno spunto di attualità che ci parla di noi qui e ora. E non è affatto detto che un bravo insegnante lo insegni oggi come avrebbe fatto 50 anni fa, anzi i bravi insegnanti servono proprio a questo: a riconnettere i classici, tali come diceva Calvino perché non finiscono mai di dire, al presente dei nuovi lettori.

Nel 2020, grazie a Pasquale Guerra che mi ha coinvolta in Pandemia e peste fra la narrazione del confinamento e del rilancio. Studi, ricerche e testimonianze su I promessi sposi Morlacchi , 2021, una raccolta di saggi manzoniani che mirava a proporre riletture d’attualità fatte da persone provenienti dalla società civile non critici di professione e di cui la pandemia è stata solo un aspetto, ho riletto per la settima o ottava volta nella vita il capolavoro manzoniano, che sta sempre in cima alla mia lista per l’isola deserta.

In quell’occasione ho notato una mezza pagina su cui non mi ero mai soffermata e di cui poi nel saggio non ho parlato: è il momento in cui Renzo e Agnese si incontrano dopo essere sfuggiti alla peste e vanno a parlarsi all’aperto a distanza, su due panchette messe dirimpetto nel cortile sul retro della casa di lei. Una precauzione di Renzo, che è guarito, per la sicurezza di Agnese. Nell’economia dei 38 capitoli un dettaglio, ma non sarà difficile per chi legge capire perché proprio quello abbia catturato l’attenzione di una lombarda che rileggeva nell’agosto 2020. 

Di attuale, di presente, di classico in senso calviniano nei Promessi sposi c’è molto più di questo dettaglio: l’incontro tra don Abbondio e i bravi e poi il dialogo tra il sacerdote e Perpetua aiutano a capire le dinamiche di una minaccia mafiosa; la solitudine di Renzo raggirato dal latinorum di don Abbondio e dalla disonestà intellettuale di Azzeccarbugli mostrano il prezzo della povertà intellettuale; padre Cristoforo, nel dialogo tra il conte Zio e il padre provinciale, subisce la stessa sorte toccata in anni più vicini a noi a don Lorenzo Milani e padre David Maria Turoldo, incompresi dalla gerarchia del proprio tempo; e la storia di Gertrude è perfetta per capire come si coarta la volontà di una figlia, magari per imporle un matrimonio combinato ancora accettato nel sistema di valori di riferimento della famiglia. Mentre nel dialogo tra il cardinal Federigo e don Abbondio, dopo il rapimento di Lucia e la conversione dell’Innominato, ci sono tante delle omelie, non sempre tenere, di papa Francesco al clero. E quante gride manzoniane ancora si trovano tra le leggi odierne, draconiane nelle promesse elettorali quanto inapplicabili nella pratica?

L’elenco potrebbe durare a lungo e allora il tema non è smettere di leggere I promessi sposi a scuola, ma continuare a leggerlo ben guidati. E semmai rileggerlo da grandi per scelta, una volta acquisita la consapevolezza della maturità, per godere di un romanzo splendido e, infine, apprezzarne compiutamente, liberi dagli obblighi, ciò che si è perso da ragazzi.

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