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Grazie papa Francesco. Povertà e grandezza: il segno indelebile di Bergoglio

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di Marco Girardo
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 21 aprile 2025

Ci ha lasciato con un sorriso, dopo aver celebrato la Pasqua insieme a noi. Un sorriso dei tanti che abbiamo imparato presto a conoscere in milioni. Nella vita estamos in camino, diceva Jorge Mario Bergoglio. E diventiamo ciò verso cui andiamo: preparato da sempre, Francesco abita adesso l’eternità di Dio. Un Dio che tutti – ha continuato a ricordarci, lo ha fatto fin dal primo giorno –, tutti nessuno escluso attende.

Lo pensiamo così, soprattutto ora, che ci ha fatto l’ultimo regalo nelle parole annunciate domenica urbi et orbi: «Anche noi siamo chiamati alla vita che non conosce tramonto, in cui non si udranno più fragori di armi ed echi di morte». Lo immaginiamo sorridente, nei suoi ultimi passi antelucani, mentre si accinge all’incontro faccia a faccia con il Signore della vita. Miserando atque eligendo, il motto episcopale voluto dal cardinale Bergoglio, guardò con misericordia e lo scelse.

A fargli compagnia e a lenire i pensieri del vespero, ci piace immaginare, pure i ricordi delle tante periferie visitate in questi oltre dodici anni che hanno segnato un’epoca per la Chiesa e per il mondo. E il calore delle migliaia di mani strette, degli sguardi incrociati, lui che proprio con il sorriso e la sua umanità disarmante ci ha insegnato – semplicemente – come la gioia non stia nelle cose, ma nella prossimità con l’altro.

Incontrare e farsi incontrare, stile e suggello di un intero pontificato. Fino all’ultimo, mostrando il suo corpo fragile e senza voce a San Pietro, per incontrare e farsi incontrare. Pensava forse ai bambini e ai disegni recapitati da ognidove, Francesco, nelle ultime notti. Pensava ai malati e ai fragili come lui. E soffriva ancora, lo sappiamo, per lo strazio e la vergogna della guerra in Ucraina, in Medio Oriente, nel Kivu, in Myanmar, in Sudan… Francesco era credibile proprio per questo suo sentire il dolore profondo del mondo. Lo era anche dai più lontani e in particolar modo dagli umili. La sua autorevolezza irrorata dallo Spirito ha conquistato la fiducia di moltitudini grazie a un dialogo ispirato da quella reverencia – il rispetto – che Sant’Ignazio colloca al centro della sua spiritualità e che il Papa gesuita ha fatto propria nel rapporto con ogni persona. Non solo: l’ha posta a fondamento del suo personale dialogo con credenti e non credenti, fedeli di altre religioni, a partire dall’Islam, con gli atei, gli indifferenti. Incontrare e farsi incontrare, attitudine spirituale prima che diplomatica e pastorale. Incontrare senza pregiudizi. E senza mai dimenticare la domanda che ha persino scandalizzato taluni, al punto da farli reagire con diffidenza preventiva o contrapposizione manifesta alle aperture e ai gesti di un Papa evangelicamente rivoluzionario: «Chi sono io per giudicare?».

È allora nel ricordo del suo sorriso che oggi umanamente ripariamo. Perché esso esprimeva, anche quando solo accennato o dolcemente ruvido, il vigore inesauribile di un corpo – polmoni, gambe, cuore – a cui Francesco non ha mai risparmiato fatica. Un corpo sempre più acciaccato, fattosi messaggio capace di trasformare la debolezza in forza e aprire all’ineluttabilità del mistero.
Al mondo di oggi, diceva Bergoglio, manca il pianto. Piangono gli emarginati, piangono quelli che sono messi da parte. Piangono i disprezzati. E noi che facciamo una vita senza necessità, non sappiamo piangere. Ma «certe realtà della vita si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime». Le nostre – proprio ora – possano aiutarci a guardarti meglio.

Vedremmo allora che aveva scelto da subito, Francesco, di scendere sotto il tavolo del ricco epulone. E guardare il mondo con gli occhi puliti di Lazzaro, un povero che come ogni povero cerca di sopravvivere raccogliendo le briciole scivolate dalla tavola dei signori. La Storia è stata scritta e fatta – lo è ancora – dalla prospettiva di chi sta sopra i tavoli (della politica, della guerra, della pace… ).

Ma Jorge-Francesco, l’uomo che la Provvidenza ha posto alla guida della Chiesa in questo tempo liminare, è rimasto fedele nel suo posto di vedetta tra gli scartati e gli oppressi. Lo ha fatto soprattutto per smascherare la globalizzazione di un’indifferenza che si fa feroce verso i perdenti, gli sconfitti, diventa disinteresse nei confronti di quelli che non ce la fanno.

Questa predilezione di campo per gli ultimi Bergoglio l’aveva dichiarata a partire dal nome. L’ha poi ribadita, papa Francesco, scegliendo le periferie del mondo, da Lampedusa a Rebibbia, da Giuba a Lesbo, al Congo all’Iraq…, per ricordare a tutti – lui, il Papa preso quasi finis terrae, profondamente innamorato del Vangelo e dell’umanità – che Dio è anzitutto misericordia. E se tale scelta di cristianesimo in purezza è risultata “politicamente” disturbante, lo è stata per l’altezza di vedute che essa implica: siate sempre «liberi e coraggiosi», ci ha detto un giorno, nel denunciare per l’ennesima volta lo scandalo della guerra e il dramma di chi fugge da fame e povertà e morte e cerca un porto sicuro cui approdare alla vita.


Sì: Vangelo, pace e poveri. Il suo pontificato è stato un continuo invito a riscoprire il volto misericordioso di Dio. Dentro e fuori la Chiesa. Per questo la sua è stata una “diplomazia della misericordia”, perché al centro di tutto c’è l’organo della vita, il cuore, come ha voluto ribadire Francesco nella sua ultima enciclica Dilexit nos. È il cuore che lo ha spinto ad amplificare la voce degli emarginati, condotto a difendere la vita tutta, a partire da quella nascente, e portato di conseguenza a stigmatizzare la “cultura dello scarto” tanto da opporsi quasi in solitudine alla guerra – a ogni guerra, anche a quelle dimenticate – e al commercio sempre più fiorente delle armi nel silenzio assordante della diplomazia e nel berciare vacuo di sterili leadership. Ed è infine partendo dal cuore che il Papa argentino ha iniziato a riformare lo stesso Vaticano, consapevole di che cosa conta: avviare processi, non occupare spazi, giacché il vero potere è quello di servire. Il resto sono “chiacchiere”.

Proprio per questo, lungi dall’essere un magistero schiacciato sul sociale come a volte è stato maldestramente frainteso, il messaggio che Francesco ha dato alla Chiesa e all’intera famiglia umana nasce da un’unica sorgente: Gesù Cristo e il suo amore per tutta l’umanità. È la verità per cui Jorge Mario Bergoglio ha giocato tutta la sua vita, mostrando il volto di una Chiesa povera dei poveri che abbraccia il mondo intero con la tenerezza del Vangelo.

Francesco ha inaugurato il suo ministero chiedendo di pregare per lui. Ha rinnovato la sua richiesta semplice e profonda in ogni incontro, con i tanti o i pochi, fino ai faticosi giorni ultimi: «Per favore, pregate per me». Una promessa, Francesco, papa dell’incontro ad altezza uomo con lo sguardo sempre fisso sul Dio fattosi bambino: continueremo a pregare per te. Come ci hai chiesto dall’inizio. Noi con le lacrime, così piccoli e impauriti, per ricordare ancora una volta la bellezza e la profezia del tuo sorriso. Grazie Francesco.

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