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Famiglia. Assegno unico, ecco come può cambiare l'Isee. Sarà più equo?

di Massimo Calvi
da www.avvenirte.it
@Riproduzione Riservata del 30 maggio 2022

Dal peso della prima casa al coefficiente per i figli. Tante buone idee per riformare l'indicatore che misura la ricchezza famigliare. Ma la vera differenza la fa il costo della vita.-

Una delle notizie emerse durante gli Stati Generali della Natalità che si sono svolti a Roma il 12 e 13 maggio riguarda la possibilità di modificare l’indicatore Isee per calcolare l’Assegno unico. Una novità importante. L’Assegno unico e universale, infatti, ammonta a 175 euro al mese a figlio per tutti i nuclei con un Isee inferiore ai 15mila euro, ma dopo quel limite l’importo cala rapidamente fino ai 50 euro che vengono riconosciuti a chi ha un Isee superiore ai 40.000 euro.

La necessità di modificare l’indicatore che tiene conto del reddito, del patrimonio e dei carichi familiari nasce dal fatto che l’obiettivo dell’equità che ci si è proposti decidendo di collegare l’assegno alla ricchezza complessiva del nucleo, rischia di venire meno di fronte a molte situazioni specifiche. Non poche famiglie di lavoratori dipendenti, infatti, si sono trovate a percepire un beneficio inferiore rispetto al regime precedente, tra Anf e detrazioni.

Come potrebbe cambiare dunque l’Isee? Le ipotesi in campo sono molte. La strada che si sta valutando è quella di passare a un Isee di prestazione, cioè un indicatore calcolato con parametri modificati solo per chi chiede l’Assegno unico, come ad esempio si fa per le tasse universitarie o altri contributi socio-sanitari. Uno dei nodi principali riguarda il coefficiente che "pesa" i figli: oggi penalizza le famiglie numerose poiché al crescere del numero dei bambini l’Isee rimane comunque molto elevato, limitando l’assegno. Un altro aspetto critico si riferisce al peso attribuito alla prima casa: i valori Isee variano moltissimo a seconda che si abbia un immobile di proprietà con mutuo, senza, o che si abiti in affitto. Un ulteriore punto d’attrito riguarda i risparmi: una famiglia che cerca di accantonare risorse per il futuro dei figli – sia che si tratti di percorsi di studio, sia che ci si riferisca a situazioni di disabilità da tutelare – può trovarsi penalizzata rispetto a una che spende tutto in beni voluttuari.

Insomma, l’Isee potrebbe essere modificato per dare più peso al numero dei figli, ma anche per "sterilizzare" una parte di risparmio o il valore della prima casa, se non di più immobili quando non producono reddito. Una soluzione sul tavolo ipotizza di attribuire maggiore peso alla componente reddituale (l’Isr, che è una parte dell’Isee: la legge delega lo consente) e rapportarla alla scala di equivalenza. La riforma dovrebbe così permettere meno scostamenti tra famiglie del ceto medio con un livello di "ricchezza" (si fa per dire) più o meno simile. Una questione non di poco conto, alla luce del crollo quasi verticale dell’importo dell’assegno: con un Isee fno a 15.000 euro spettano 175 euro a figlio, con un Isee da 20.000 si scende a 150 euro, con 30.000 a 100 euro, con 40.000 a 50. La riduzione è di 50 centesimi ogni 100 euro in più di Isee: un calo che non ha equivalenti in Europa, dove gli assegni-figli sono universali e spesso si integrano con vantaggi fiscali per chi paga più tasse.

Se dunque un intervento è necessario, ci si dovrebbe però anche chiedere qual è l’obiettivo che si vuole perseguire. Perché se l’intento è pagare un assegno un po’ più alto a nuclei non particolarmente ricchi, allora potrebbe non essere necessario aggiungere burocrazia a burocrazia, con nuove procedure e nuove complicazioni: basterebbe aumentare a tutti l’importo dell’assegno dopo i 15.000 Isee, appiattendo un po’ la curva discendente. L’effetto sarebbe sostanzialmente identico, anche in termini di costi aggiuntivi, ma con meno spreco di energie.

L’assegno all’italiana, peraltro, rispetto ai contributi universali pagati dai principali Stati europei, si distingue per essere piuttosto macchinoso: ogni anno ci si deve rivolgere a un Caf o a un professionista per la radiografia di tutti gli "averi", poi una volta ottenuto il valore di Isee si deve inoltrare domanda all’Inps per un contributo che ogni volta cambia valore a seconda della variazione del reddito e/o del patrimonio. In Francia, Germania o Svezia per avere l’assegno di fatto è sufficiente essere genitori. Forse anche per questo molte famiglie italiane hanno rinunciato a fare domanda: al di là delle reali motivazioni di questa scelta, non è un bel risultato per un assegno che dovrebbe servire a risollevare il Paese dalla crisi demografica che lo sta condannando all’estinzione.

L’impostazione europea tuttavia non incontra grandi consensi in ambito politico, né a sinistra né a destra. Questo perché il dibattito pubblico sulla ricchezza in Italia tende a rappresentare un Paese diviso tra ricchi e poveri, mentre la realtà è un po’ diversa: la società è rappresentata da un numero non basso (ma nemmeno prevalente) di veri poveri, da un numero limitato di grandi ricchi e da una quota molto ampia di famiglie il cui livello di benessere non differisce granché, considerato che il territorio nazionale presenta profonde diversità in termini di costo (e qualità) della vita. La vera differenza all’interno del ceto medio è determinata da fattori che non vengono colti da alcun indicatore: ad esempio la ricchezza dei parenti stretti, le eredità future (oggi l’incidenza di questa voce sul reddito disponibile delle famiglie è quasi otto volte superiore rispetto al tasso risparmio), il tipo di impiego, la disponibilità di reti familiari e/o di servizi locali, ma soprattutto il luogo in cui si vive.

Una recente inchiesta dell’Unione Nazionale dei Consumatori per "La Repubblica" ha mostrato come a Milano una famiglia media composta da 2,3 persone – dunque una coppia che statisticamente ha meno di un terzo di un figlio – debba spendere 3.300 euro al mese per vivere. Alimentari e trasporti sono la voce più consistente, dopo l’abitazione, con gli affitti che costano il doppio rispetto alla media nazionale. Un esempio pratico può aiutare a capire: in un ricco e medio comune dell’Emilia Romagna o della Toscana un modesto trilocale può costare attorno ai 40-50.000 euro. Per la stessa tipologia di appartamento nella periferia milanese si deve partire da 180-200mila euro. Ora, è evidente che lo stesso assegno ha un valore diverso se si vive in un comune dove i box costano come le case in un’altra città, o dove la spesa per gli alimentari e i trasporti si mangia tutta la parte di reddito in più.

Riformare l’Isee è necessario, almeno per dare il giusto valore ai figli dopo il primo. Ma siamo certi che la strada debba essere l’aggiunta di un ulteriore passaggio burocratico? E che questo non sia invece rivelatore della vocazione ad inseguire un’equità di facciata che risente di una narrazione distorta del Paese, mentre in realtà si accetta un’iniquità strutturale?
L’emergenza natalità va governata con misure eccezionali che mettano l’Italia più avanti degli altri Paesi, mostrando la volontà di rivolgere un’attenzione privilegiata a tutte le famiglie con figli, con misure semplici, chiare e universalmente generose. Contro la crisi demografica gli interventi con il bilancino possono fare ben poco.

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