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Effetti collaterali della pandemia su insegnanti e studenti

di Vittorio Lodolo D'Oria
da www.orizzontescuola.it
@Riproduzione Riservata del 14 marzo 2021
Dopo aver faticosamente convinto la popolazione che è conveniente vaccinarsi contro il Covid-19, occorre decidere chi è opportuno vaccinare, per primo, in quanto più esposto al rischio di contagio perché “fragile” od operante in una comunità, come gli insegnanti. Le cose poi si complicano quando c’è di mezzo la burocrazia che, se non ci fa proprio regredire all’Italia dei Comuni, ci ricorda che il Servizio Sanitario Nazionale è organizzato su scala (rigidamente) regionale e non tollera “situazioni ibride”. Chi vive in una regione, ma opera in quella vicina, è considerato “frontaliero” a tutti gli effetti.

Ecco infatti ciò che avviene, narrato attraverso le parole di un’incredula docente.

Gentile dottore, mi perdoni il disturbo ma desidero condividere con lei il paradosso in cui mi trovo. Lavoro in Piemonte, a 10 km da casa che però è in Lombardia in provincia di Pavia. Sono entrata in ruolo in Piemonte nel 2015 ma, poiché abito in provincia di Pavia al confine con il Piemonte, il mio medico e la mia tessera sanitaria non sono riconosciuti dalla piattaforma informatica piemontese cui ci si iscrive per prenotare il vaccino. Ho sottoposto la questione alla mia scuola ma non hanno saputo fornire indicazioni in merito. Nel frattempo, la Lombardia ha aperto la prenotazione per i vaccini al personale scolastico ed ho provato a prenotarmi, senza successo, col mio codice fiscale e la mia tessera sanitaria. Chiamato il numero verde del servizio prenotazioni, mi hanno detto che non possono “accettarmi” perché non lavoro in Lombardia. Questa è la situazione attuale, in attesa che le due regioni trovino un accordo. Non so se ridere o piangere di fronte a questa situazione kafkiana. Credo però, a ragion veduta, di non essere l’unica ad avere questo problema. Le sono grata se vorrà dar voce a questo disservizio che spero possa essere risolto al più presto.ù

Di altro tenore e ben più gravi gli effetti collaterali della pandemia nei ragazzi adolescenti. A un anno di distanza di lockdown a singhiozzo si possono tirare i primi bilanci. I ricorsi a psicoterapeuti e psicologi sono quadruplicati e i consumi di psicofarmaci (in particolare ansiolitici e antidepressivi) sono in netto rialzo. Sempre più numerosi sono i casi di depressione tra i giovani e le crisi di panico cui sovente fanno seguito quegli atti che la medicina definisce “anticonservativi”. Il rapporto con gli insegnanti (ma anche tra gli stessi coetanei) è “distante”, “indiretto”, perché mediato da tecnologie, quindi “deresponsabilizzante” poiché al sicuro tra le mura domestiche e lontano da forme di guida e controllo in presenza. Ne consegue che <l’aggancio> da parte dei docenti è cosa tutt’altro che scontata e continuativa. Al contrario, molti insegnanti percepiscono la fragilità della nuova relazione coi ragazzi, ma non sanno come porvi rimedio vivendo un sentimento di rassegnata frustrazione. È ormai prassi assistere al docente che telefona allo studente non collegato perché non si è svegliato, all’alunno che segue la lezione in pigiama dal proprio letto, al genitore che suggerisce le risposte al figlio e via discorrendo. Ogni forma è saltata e, con questa, la sostanza. La DAD, che pure costa immensa fatica agli insegnanti, appare talvolta come involontaria caricatura della insostituibile scuola in presenza.

Per cercare di capire cosa è successo bisogna prima riavvolgere il nastro di qualche decennio e comprendere il ruolo delle due agenzie educative con la crisi che le stesse stanno attraversando. È innegabile il fatto che la famiglia(comunità ristretta) è stata messa a dura prova già dal lontano ’68, quando venne contestata e ritenuta responsabile di ogni nefandezza. In seguito il nucleo familiare si è svuotato, almeno di giorno, perché entrambi i genitori lavorano.

Il moltiplicarsi di separazioni e divorzi ha fatto il resto. Sono naturalmente intervenuti altri fattori (es. denatalità, riconoscimento di forme alternative di convivenza…) ma ciò che ora preme riconoscere è che lo studente in DAD soggiornerà in una casa vuota, o alla presenza di estranei che non comunicano tra loro, passando così bruscamente dalla scuola (comunità allargata) alla famiglia “disabitata” (comunità ristretta). In altre parole esperirà una situazione di solitudine e abbandono, mai conosciute prima, nel momento di massima fragilità quale è l’adolescenza. La pandemia ha così operato il brusco risveglio delle nuove generazioni, sottraendo loro al contempo le due agenzie educative. Queste avevano peraltro cominciato a confliggere immemori del compito loro spettante di educare ed erudire i ragazzi. Una situazione disastrosa, ancora sottotraccia, che non vede la fine e sembra gravare più che mai sulla classe docente che, sebbene vituperata, malpagata e maltrattata, offre l’unico riferimento adeguato ai giovani nel crescere quotidiano. Da par suo la famiglia ha perso “componenti” con la denatalità (scomparsa delle famiglie numerose), ha perso credibilità e infine ha abdicato al proprio ruolo di primo educatore responsabile al vivere civile e comunitario.

Un compito altamente impegnativo di cui oggi nessuno sembra essere all’altezza, ma non resta che applicarsi e sperare.

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