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Così ho capito che potevo essere madre senza continuare ad «amputare» la mia vita

di Alessandra Bravi

da www.corriere.it
@Riproduzione Riservata del 0 settembre 2021

«Quante donne oggi possono realmente autodeterminarsi nella scelta di percorrere una gravidanza? Vorrei un mondo dove ogni donna può vivere l’esperienza della maternità serenamente, dove ogni donna e ogni uomo hanno il diritto di diventare genitori in piena libertà, al riparo da ogni paura, con tutti gli strumenti normativi che uno Stato moderno può mettere a disposizione». A scriverlo, nei giorni scorsi, è stata la sindaca di Torino, Chiara Appendino al settimo mese di gravidanza. Nel dibattito è intervenuta la scrittrice Michela Murgia con una frase che mi ha colpito molto: «Le donne italiane ricominceranno a diventare madri solo quando per far crescere una vita non sarà più necessario amputare la propria». Ciclicamente, il dibattito sulla maternità come diritto emerge sui giornali e sui social. Comincio a esserne un po’ disturbata. Perché al dibattito, di solito, non ne segue niente.


Nel 2021, ancora, mettere al mondo un figlio, è affare della famiglia, e spesso della madre. I giorni per il congedo del padre sono ridicoli, il bonus bebè consta di 800 euro alla nascita, i permessi per le malattie sono un miraggio: la donna che vuole mantenere il lavoro e avere un bambino è chiamata a fare salti mortali per gestire professione, vita del figlio, asilo e scuola, gestione di nonni (quando ci sono e ci sono sempre meno) e tate, impegni dei bambini (che non restano neonati per sempre ma crescono e crescono le loro esigenze), vita di coppia e anche la vita sua, di una donna che è sì madre, ma è anche una donna con le sue passioni, le sue amiche, il suo cammino. Penso alle parole della Murgia: con la nascita dei miei due figli, che oggi hanno 8 e 4 anni, la mia vita è stata amputata? Sì, in parte sì. Come è successo a mia madre e alla madre della mia, come succede a tutte le mie amiche. Un figlio è anche un’amputazione della propria vita, ma non solo dal punto di vista del lavoro: c’è chi lo lascia, chi lo mantiene ma si dà dei limiti: ricorre ad un part time o si nega avanzamenti di carriera che richiederebbero maggiore impegno e tempo, oppure lascia che dei suoi figli si prendano cura altri, provando dolore e rimpianto.

L’amputazione avviene anche nella testa delle donne. Nella mia testa per esempio, quando sono nati i miei figli, il primo pensiero era: sono madre, prima vengono loro. Era un pensiero bello ma non ho saputo capire quanto quel pensiero e le azioni conseguenti a quel pensiero mi stessero a poco a poco “mangiando”. Ho smesso di scrivere (ero piena di loro), ho smesso di leggere (cadevo addormentata su ogni capitolo), ho smesso di uscire (mi sentivo in colpa a lasciarli quando rientravo dalla redazione), ho smesso di cercare nuovi hobby o cose che mi facessero star bene, ho creato un blog che si chiamava Signormamma come se di me ci fosse solo quello, la mamma. Mi sono divisa, equamente, tra lavoro e bambini. Ho dimenticato gli amici, a volte anche il mio compagno, ho dimenticato me. Ogni tanto mi sentivo soffocare, ma i loro sorrisi, i loro abbracci, le loro conquiste, le loro “prime cose” mi bastavano, mi pareva che bastassero.

L’anno scorso, complice anche lo stress da Covid e lockdown, sono esplosa. Come una bolla di sapone che volteggia in aria e poi, pum, non c’è più. E gli effetti sono stati fragorosi. Non mi conoscevo più, non mi riconoscevo, sentivo solo la voglia di fuga. Eppure, in mezzo alle macerie, ho ritrovato me, pezzi di me: della donna, dell’amica, dell’adolescente, della figlia, della compagna, della mamma. Ho passato l’autunno e l’inverno a distruggere e ricomporre. Ho tessuto me stessa con un lavoro sfiancante ma certosino, ho ricominciato a fare le cose per me e credo che di questo abbiano anche beneficiato i miei bambini e il mio compagno. Adesso che l’estate sta finendo, mi pare di aver fatto un buon lavoro, ma vedremo. Ho accettato, per esempio, che un figlio può amputare, tagliare, scorticare, annullare. Quanto dà, tanto prende. Un anno fa non avrei mai avuto il coraggio di dirlo o scriverlo. A tante donne questo non accade. A volte le invidio un po’, mi sembrano madri vere, madri come quelle di una volta: solide, sicure, certe di se stesse, piene dei loro figli. Ma a tante madri invece, accade proprio quello che è successo a me. Per ricomporre se stesse credo che il primo passo stia proprio nel vedere quell’amputazione, accoglierla e poi combatterla.

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