CONGEDI PARENTALI - BELLETTI DEL CISF: «LA DIREZIONE È GIUSTA, MA LA STRADA È ANCORA LUNGA»

da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 04 aprile 2022
«Le misure scarseggiano, ma è positivo l'adeguamento alle normative dell'Unione Europea. Segno di miglioramento per il nostro Paese», il direttore del Centro Internazionale Studi Famiglia commenta così le novità del decreto legislativo del 31 marzo in merito ai congedi parentali.-

Lo schema di decreto legislativo approvato il 31 marzo 2022 dal consiglio dei Ministri sui congedi parentali è un piccolo segnale positivo di attenzione alla famiglia e alla questione natalità, sul quale però serve qualche ulteriore riflessione. Si allungano leggermente i tempi disponibili per il congedo (11 mesi), si dedica maggiore attenzione ai congedi dei padri (10 giorni obbligatori, tra i due mesi precedenti al parto e i primi cinque giorni di vita del bambino), si allunga l’età del figlio entro cui poterne usufruire (da 6 a 12 anni – forse è questa la scelta più rilevante, rispetto alle concrete esigenze delle famiglie).
In positivo, queste misure diventano strutturali. Le famiglie hanno bisogno prima di tutto di stabilità, nelle scelte di politica familiare. Inoltre per una volta l’adeguamento alle normative e alle scelte dell’Unione Europea è una reale opportunità di miglioramento per il nostro Paese. Non è un mistero che in Italia le politiche familiari e le politiche di sostegno/conciliazione tra famiglia e lavoro siano sostanzialmente rimaste ben al di sotto della media europea (basti ricordare la spesa italiana del 1,5% del PIL per interventi diretti alla famiglia, contro una media europea del 2,2%). Quindi in questo caso imparare dall’Europa sarebbe opportuno, doveroso e soprattutto urgente.
In negativo, in questa prospettiva, rimane la sostanziale scarsità della misura – aspetto tipico di tante misure sulla famiglia, compreso il recente assegno unico universale, per troppe famiglie ben poco incisivo dal punto di vista della quantità di risorse economiche ricevute. Sia la durata complessiva del congedo (da 10 a 11 mesi) sia la durata dei giorni di congedo obbligatorio per i padri (10 giorni), pur allungate, rimangano decisamente nella parte bassa della graduatoria dei Paesi europei . Ma soprattutto dal punto di vista della remunerazione, il congedo “costa ancora troppo” al lavoratore/lavoratrice. Esso viene infatti pagato al 30% dello stipendio: troppo poco, per renderlo davvero utilizzabile, soprattutto per famiglie con redditi medi o medio bassi. Anche in questo caso un confronto europeo ci farebbe bene; nella maggioranza dei Paesi il congedo è superiore al 50%, in diversi Paesi si attesta al 66% (due terzi , anziché un terzo scarso).
Purtroppo quando si parla di famiglia questa dinamica è troppo spesso frequente: le misure presentate vengono annunciate con grande enfasi ed energia comunicativa (ma quando diventerà operativo, uno “schema di decreto legislativo approvato in Consiglio dei Ministri”? Le slide di presentazione sul sito del Ministero del Lavoro non lo dicono…). Ma in sostanza si tratta sempre di aggiustamenti minimali, rispetto a quelle che dovrebbero essere scelte su una reale priorità: troppi giovani padri e giovani madri non possono facilmente rinunciare al 70% del reddito di uno dei due per diversi mesi, e così questi aggiustamenti minimali non fanno la differenza (e troppi genitori non utilizzano pienamente i congedi). Il che è davvero preoccupante, se ci si confronta con l’emergenza natalità, così ampiamente segnalata a parole come priorità assoluta, e così scarsamente protetta nei fatti (vale a dire, nell’impiego di risorse aggiuntive).
Ci permettiamo un’umile proposta: quando si metterà mano all’attuazione, invertiamo le “percentuali dei congedi parentali: anziché dire ai genitori che chiedono il congedo: stipendio al 30%, e il 70% lo perdete”, diciamo loro: “per restare a casa con i vostri bambini potete fare conto sul 70% dello stipendio, e ci perdete solo il 30%, perché questi bambini di cui dovete e volete occuparsi sono il futuro del Paese”.
Questa sì che sarebbe una reale svolta nel sostegno alla natalità!