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CHIESA: PIÙ VICINO AI GIOVANI NON SIGNIFICA GIOVANILISMO

di Antonio Sanfrancesco

«Il Papa ha incontrato 70.000 giovani in Vaticano. Sono molti, ma... Chi è andato a Roma appartiene a movimenti, associazioni, parrocchie. e gli altri? Sono loro i grandi assenti».-

Circa settantamila giovani italiani hanno incontrato a Roma papa Francesco e pregato insieme con lui in vista del Sinodo di ottobre. Sono arrivati da ogni parte d’ Italia. A piedi. In bici. Persino in canoa lungo il Tevere. «Un segno di speranza, certo, ma non illudiamoci troppo», dice don Armando Matteo, perché, è la sua diagnosi, quella dei giovani e dei ragazzi (insieme alle donne adulte e ai laici responsabili) è un pezzo di Chiesa che manca. Matteo è docente di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Urbaniana di Roma. Il suo testo più conosciuto è La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, uscito nel 2010 e aggiornato nel 2017. La Chiesa che manca, un approfondimento sulla pastorale giovanile a partire dall’ esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco, è invece il titolo di un altro suo saggio uscito nel marzo 2018 per la San Paolo. A settembre arriva in libreria un altro pamphlet: Tutti giovani, nessun giovane (Piemme). «Facciamo fatica a prendere atto che nella Chiesa i giovani sono i grandi assenti», dice, «anche l’ Instrumentum laboris (il documento di base su cui si poggerà la discussione al Sinodo in programma dal 4 al 25 ottobre, ndr) liquida la questione in maniera piuttosto veloce e questo mi lascia perplesso. C’ è grande difficoltà a riconoscere la nostra distanza con le nuove generazioni».

I giovani italiani che hanno incontrato il Papa a Roma chi sono?

«Sono legati a movimenti e parrocchie (26 mila in tutto il Paese, ndr) che nel tessuto sociale italiano conservano ancora una certa capacità di mobilitazione. Sono certamente un motivo di speranza. Però, attenzione...».

A cosa?

«La mia impressione è che quella di pregare insieme per il Sinodo e incontrare il Papa sia un’ esperienza centripeta. Speriamo, invece, che provochi una mossa centrifuga: non tanto i giovani che vanno verso il Papa, quanto la Chiesa che si muove con più generosità e meno pregiudizi e paure verso le nuove generazioni».

Perché sostiene che la prima cosa da fare è non abusare del termine “giovane”?

«Perché è diventata un’ appropriazione indebita. Prima si occupa il posto che spetterebbe ai giovani e poi gli si azzera il destino. Oggi viviamo un ecumenismo della giovinezza e si fa fatica a riconoscere che questa parola ha una titolarità che non è cedibile».

Quando esattamente si è giovani?

«Secondo le indicazioni europee tra i 15 e 34 anni, per il Sinodo tra i 16 e i 29 anni».

Oggi tutti si sentono giovani...

«Le ricerche dicono che gli italiani riconoscono di non essere più giovani a 59 anni e accettano di definirsi vecchi oltre gli 80. Il giovanilismo è un’ ideologia fomentata dall’ economia anche perché fa girare tanti soldi. Non a caso, uno dei pochi settori che non conosce crisi è l’ industria cosmetica e del fitness».

Quali sono le conseguenze?

«Che non siamo più in grado di riconoscere la specificità del mondo giovanile sia dal punto di vista delle risorse che da quello delle pretese. E questo si vede da vari fenomeni».

Ne elenchi qualcuno...

«In Italia, i Neet (i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, ndr) sono oltre 2 milioni. La disoccupazione giovanile è oltre il 30 per cento. I giovani dicono: “Siamo qui e siamo l’ energia di cui il Paese ha bisogno” e gli adulti gli rispondono: “Di voi non abbiamo bisogno perché noi a 60 anni siamo ancora giovani”».

Anche la Chiesa soffre di giovanilismo?

«Sì, soprattutto nel linguaggio pastorale che conia termini grotteschi come “adulti giovani”, “adultissimi”, “giovani adulti”. Se si diventa vescovo a 50 anni tutti rimangono sorpresi, ma secondo i sociologi si diventa adulti a 35 anni. Poi, c’ è un altro tipo di giovanilismo nella Chiesa, più nascosto e pericoloso».

Di cosa si tratta?

«Ci stiamo abituando a fare a meno dei giovani, questo è il dramma. Come dire, ci siamo noi e bastiamo. Il grosso problema del giovanilismo ecclesiastico è quello di non riconoscere il bisogno di nuove prassi e adattamenti. Il Papa in Evangelii gaudium dice chiaramente che la nostra non è un’ epoca di cambiamenti ma un cambiamento d’ epoca».

Perché alla Chiesa mancano i giovani?

«Nel mondo cattolico c’ è stata una rottura nella trasmissione della fede. Per i giovani lo scarso o nullo interesse del Vangelo nella definizione della propria identità di adulti è dovuto all’ eclissi del cristianesimo domestico».

Quindi la colpa è dei genitori?

«Con la generazione dei baby boomers (i nati tra il 1946 e il ’ 64, ndr), e la “generazione X” (i nati dal ’ 64 al 1980, ndr) c’ è stata una rivoluzione copernicana. Al centro degli interessi di queste due generazioni non c’ è più l’ idea della responsabilità e della generatività ma quella del restare giovani come unica promessa di felicità e di autorealizzazione ».

Che significa?

«Il primato del culto della propria fisicità e sensualità e una libertà irresponsabile: così la fede è lentamente scivolata ai margini».

È cambiato il modo di educare?

«Nelle famiglie si è assistito a una presentazione del cristianesimo molto esangue e formale, dicevano ai figli di andare a Messa ma loro per primi non ci andavano. Il lavoro fatto dalle parrocchie e dai catechisti non ha avuto più una sponda nelle famiglie. E i ragazzi non sono più riusciti ad armonizzare il messaggio della parrocchia con l’ educazione familiare ».

I ragazzi se ne vanno per questo?

«Sì, perché fanno fatica a rispondere a questa domanda: cosa significa essere cristiani quando non si è più bambini? A questo interrogativo non può rispondere solo la parrocchia ma devono farlo anche le famiglie».

Il modello delle Giornate mondiali della gioventù funziona ancora?

«Le Gmg hanno fatto storia ma non hanno fatto scuola».

In che senso?

«Dovevano essere una forza propulsiva che dal centro, romano e papale, irradiasse una forza rivoluzionaria nelle Chiese locali. Non è andata così e le diocesi sono diventate, per certi versi, degli uffici pellegrinaggi intenti a organizzare la prossima Gmg».

Rischiano di essere un alibi?

«Penso che il Sinodo dei giovani sia stato indetto per rompere questo meccanismo e confutare l’ idea, sbagliata, che del mondo giovanile debba occuparsi l’ Ufficio di pastorale giovanile. No, se ne deve occupare l’ intera comunità».

Tre cose da fare per recuperare i giovani.

«Riconoscere che abbiamo un problema con loro. Ammettere che il problema sono gli adulti. Terzo: la Chiesa deve recuperare gli elementi fondamentali della sua fede che sono quelli della gioia e della festa. Solo una fede gioiosa può interessare tutti, quindi anche i giovani».

da www.famigliacristiana.it

@Riproduzione Riservata del 22 agosto 2018

 

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