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BAMBINI, LOCKDOWN E USO DEGLI SCHERMI

di Benedetta Verrini
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 20 novembre 2020

L’attuale situazione di scuole e asili chiusi, lezioni da remoto, assenza di spazi gioco ha fatto drasticamente cambiare le cautele dei genitori nei confronti dell’esposizione agli schermi e ha “uniformato” il tasso di consumo di ore online da parte dei bambini e ragazzi. La riflessione del pedagogista Pier Cesare Rivoltella.- 


Esiste ancora uno “scrupolo educativo” rispetto al consumo digitale dei bambini? Se lo stanno chiedendo in molti esperti, a livello internazionale, in questo tempo di pandemia: i lockdown, le regole di distanziamento, il confinamento nelle case, la didattica a distanza hanno prodotto come risultato che anche le famiglie più restie all’uso di tecnologia nell’educazione dei figli si sono trovate a “fare i conti” con gli schermi.
Uno studio sulla pandemia condotto da un gruppo di ricercatori del Boston College e dell’Università del Maryland ha mostrato anzi che se, in passato, l’abuso degli schermi poteva essere collegato a condizioni di povertà socio-economica tra le famiglie, l’attuale situazione di scuole e asili chiusi, lezioni da remoto, assenza di spazi gioco ha fatto drasticamente cambiare le cautele dei genitori nei confronti dell’esposizione agli schermi e ha “uniformato” il tasso di consumo di ore online da parte dei bambini e ragazzi.
E in Italia? Il Cisf aveva dedicato il Rapporto 2017 al tema delle Relazioni familiari nell’era delle reti digitali in cui era emerso il modello di “famiglia ibridata”, in cui le relazioni e le stesse responsabilità educative, compresi gli aspetti normativi e affettivi, si svolgevano in parte di persona e in parte a distanza, attraverso le reti digitali.
Anche nell’ultimo Rapporto Cisf (2020), dedicato alla famiglia nella società post-familiare, Pier Cesare Rivoltella rilancia il tema dell’educazione nella società iperconnessa: si parla dello smartphone come di un “guinzaglio molto lungo”. "La “lunghezza” del guinzaglio celava le opposte rappresentazioni di madri e figli, seppur nella loro complementarietà”, scrive Rivoltella, facendo riferimento a una ricerca realizzata nel 2008. “Era “lungo” per le madri, il guinzaglio, perché nella loro percezione grazie ad esso diveniva possibile controllare il figlio e sapere sempre dove si trovasse (anche se questa percezione non corrispondeva ad un’esperienza di reale controllo, quanto piuttosto ad un vissuto di riduzione dell’ansia); il guinzaglio era “lungo” anche per i figli, perché grazie ad esso potevano muoversi con maggior libertà proprio in virtù della reperibilità da esso garantita. Strumento di supporto alla gestione della funzione genitoriale e terreno di negoziazione affettiva, per le madri oggi il digitale sembra essere una sorta di protesi della loro competenza genitoriale”.
Una situazione che si propone anche nelle famiglie separate: “i genitori divorziati ricorrono con frequenza alla tecnologia per comunicare sia con i figli che con l’altro genitore”, prosegue Rivoltella nel suo contributo al Rapporto Cisf 2020. I dati di ricerca fanno riferimento a un 58% che ricorre a Skype e a videochiamate, l’84% condivide fotografie, il 62% file video. “Si tratta di una prima funzione dei media digitali come ponti e tessuti che possono aiutare a tenere insieme i lembi della famiglia estesa. Questa presenza dei media digitali nella vita della famiglia scomposta può produrre effetti completamente diversi sulla qualità della relazione, soprattutto tra gli ex-coniugi, rendendola migliore o peggiore”.
La “fotografia” di questa situazione si aggiorna con la crisi della pandemia: “Il lockdown e la limitazione stringente ai movimenti delle persone ha sicuramente prodotto nelle famiglie delle temporanee modificazioni dei loro comportamenti e delle routines che scandiscono la vita familiare. Queste modificazioni hanno significativamente a che fare con la disponibilità dei media digitali, più in generale della tecnologia”, ha scritto Rivoltella. “Un primo elemento si deve registrare in relazione allo smart working e al distance schooling”, sottolinea, evidenziando la complessità del confinamento a casa: “Si tratta di una situazione che ha costretto la famiglia a un supplemento di negoziazione per l’utilizzo degli strumenti (non tutte le famiglie dispongono di tecnologia personale per tutti i membri) e per l’uso della connessione (la necessità di utilizzare contemporaneamente connessione per diverse videoconferenze spesso non consente alla banda domestica di “tenere”). Al di là del fatto che questa negoziazione abbia prodotto conflittualità o convivialità, di certo la necessità di discutere ha offerto alle famiglie una nuova occasione di entrare in relazione”.

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