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Bambini e social media: la guida di Alberto Pellai per i genitori tra divieti, controllo e dialogo

di Stefania Medetti
da www.repubblica.it
@Riproduzione Riservata del 08 febbraio 2021
In un mondo che non sa dire “no”, Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta, ricercatore dell'Università di Milano e autore, invita i genitori a una presa di coscienza per concordare con i figli le regole per l’uso della rete.-
Bambini e social media: la guida di Alberto Pellai per i genitori tra divieti, controllo e dialogo
La cronaca ha riacceso i riflettori sulla blackout challenge, ma non è una novità. Generazioni di ragazzini sono a conoscenza o hanno partecipato a questo “gioco”. Uno studio condotto in Canada nel 2008, ha rilevato che 79mila studenti - il 7% dei 12-17enni - avevano partecipato a una sfida con l’obiettivo di usare l’asfissia per raggiungere un breve istante di euforia. Fra il 1995 e il 2007, il Center for Disease Control and Prevention americano ha calcolato che 82 bambini e ragazzi fra i sei e i 19 anni sono morti per strangolamento. I numeri, fanno notare gli esperti, sono al ribasso, perché non tengono conto dei casi considerati suicidi e delle volte in cui il gioco non finisce in tragedia, ma in un ricovero in ospedale o in danni neurologici che arrivano fino alla disabilità mentale. Internet ha normalizzato questi comportamenti. Un dato per tutti: i 419 video esistenti sulla blackout challenge nel 2015, ha calcolato Università del Wisconsin, sono stati visualizzati 22 milioni di volte. 
I social, come il caso della piccola Antonella Sicomero dimostra, hanno aggiunto un ulteriore livello di pericolosità. La sola compagnia del proprio smartphone, infatti, preclude ogni possibilità di chiedere aiuto. Chiamati a risolvere l’equazione fra divieti e libertà, i genitori sentono il peso della responsabilità e si torna a parlare di limiti anagrafici mentre dal 9 febbraio scatta il blocco di TikTok Italia agli under 13.
“Il limite anagrafico esiste già”, ricorda Alberto Pellai, Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta, ricercatore dell'Università di Milano e autore di “Tutto troppo presto” (DeAgostini), un saggio che tratta il rapporto fra sessualità e nuove tecnologie e, nella versione aggiornata uscita pochi giorni fa, tocca anche tocca anche il tema dei videogiochi e del controllo online. “Per poter usare Tik Tok, in teoria, bisognerebbe aver compiuto 13 anni, ma sono tantissimi i bambini che hanno accesso ai social ben prima limite previsto”. Con tutte le implicazioni del caso.

Un sistema di false sicurezze

“Il social, anche per gli adulti, è uno spazio di grandissima complessità, perché unisce le componenti della relazionalità e della socialità, senza però un contatto con la vita reale”, fa notare l’esperto. Una miscela potenzialmente esplosiva nelle mani di bambini e ragazzi: “Perché i social fanno sentire al sicuro. Il nostro cervello, infatti, ha settato i parametri di allarme basandosi sul principio di realtà. Se siamo per strada e sentiamo rumore violento, ci mettiamo subito in una condizione di allarme. Nella virtualità, invece, questo non avviene, perché la fruizione ha luogo in un ambiente familiare che ci fa sentire protetti”. Questa dinamica, come la cronaca dimostra, espone in particolare i nostri figli. “Facciamo un esempio, se qualcuno per strada invitasse un bambino a fare il gioco del soffocamento e a stringersi una cintura attorno al collo, il bambino scapperebbe via spaventato”. ù
In rete, invece, il campanello di allarme che dovrebbe suonare, non suona. L’adolescenza complica ulteriormente le cose. Il cervello “in formazione”, infatti, è per sua natura meno capace di valutare conseguenze a lungo termine e anche quando l’ipotesi del pericolo si affaccia, i teenager credono nella propria invincibilità. Il filtro, dunque, dovrebbe essere posto a monte, non a valle.

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